Un illustre sciclitano, qualche tempo fa, disse che in Scicli non vi sono vere e proprie “opere d’arti”, ma che la vera ricchezza del paese sta nel suo stesso territorio, complessivamente osservato. Ciò – a mio modestissimo avviso – non vuole solo e semplicemente dire che Scicli va contestualizzata a ciò che gli sta attorno, compresi i centri urbani limitrofi. Non basterebbe, e sarebbe una lettura non produttiva di altro che di una pur sana razionalizzazione dei campanilismi. Il discorso, cioè, non tende solo ad una sorta di “globalizzazione” provinciale, ma dovrebbe giungere sino alla riconsiderazione del nostro “io”. Non se la prenda a male il compaesano, ma in nulla eccelliamo se non nella nostra stessa banale normalità. Ed è proprio tale normalità che rappresenta la nostra sicurezza e forza. O almeno così dovrebbe essere. Ne scrivevo recentemente, a proposito della hollywoodiana nuova piazzetta di Mazzareddi (link) ed ora ribadisco come introduzione generale ad un discorso diverso.

Il barocco fuori tempo della nostra bella cittadina ci simboleggia quotidianamente, nella nostra esigenza di voler apparire. Non parlo solo degli sciclitani, ma dell’intera odierna società teleoccupata. Il barocco vuole essere osservato, notato. Ed è motivo di accrescimento nelle nostre aspirazioni di “grandeur” a finalità di promozione turistica. Eppure, pur essendo d’accordo anch’io sulla bellezza di questo nostro anacronistico barocco – sempre vivendo l’impegno a voler contestualizzare rispetto l’ambiente circostante – credo che si sia persa di vista la vera grandezza della nostra storica comunità iblea. Sto parlando di quella “praticità” che nel passato ci ha sempre contraddistinto, anche nei momenti di ricostruzione che hanno generato lo stile architettonico di cui scrivevo prima.

Forse Vittorini non ci ha fatto un gran bene, dicendo che questo è il paese più bello del mondo. Oh, che sia chiaro, ne sono convinto anch’io… ed è proprio questo l’errore fondamentale. Perché probabilmente l’incoscienza del dato avrebbe favorito un maggior dinamismo. Tra le citazioni letterarie che riguardano Scicli, quella che personalmente preferisco è forse quella tratta dal Primo Canto della Gerusalemme Conquistata:

Non lunge Leontino, e ‘l nuovo porto

de l’antica Megara, e Siracusa,

dove di novo appare Alfeo risorto,

come favoleggiò la musa:

e più vicina alquanto al lucid’òrto

l’alta piaggia di Sicli e di Ragusa;

Eraclèa, Noto ed Enna, e ‘l campo aprico

ove a Cerere sorse il tempio antico.

(Canto I, verso 68, Gerusalemme Conquistata)

 

Le parole del Tasso riguardano le città che prestarono i propri militi per la Crociata, al fin di “conquistar” Gerusalemme. Si deve ricordare al lettore, che la “Conquistata” segue temporalmente la “Liberata”, ed è dunque deliberatamente espressa l’intenzione dell’autore di mostrare talune cose che prima aveva tralasciato di evidenziare. Tra queste, appunto la storicità dell’alta piaggia sciclitana. C’è la volontà di fondare, come fatti realmente accaduti, quelli inerenti la Prima  mitica Crociata. Scicli è dunque un dato storico. Lo era nel 1581, data della prima edizione del Poema.

Sarebbe interessante capire quanto abbiano influito tra le idee del Tasso, i ricordi storici della dominazione Normanna. Accenno brevemente al fatto che, sin dall’epoca del Gran Conte, Scicli era città demaniale, mentre Modica era sottoposta ad un Barone e Ragusa altrettanto (seppur un Altavilla, per quest’ultima). Ciò che poco più tardi scrive il geografo di Corte, Idrisi, è indicativo dell’importanza militare del cittadina chiafurara, spesso venendo denominata addirittura come Porto nei pochi documenti coevi, o di poco successivi. Sarebbe astruso collegare in qualche modo il ricordo agli eventi della Guerra del Peloponneso. Tucidide, quando parla della prima battaglia di Siracusa, annovera “la cavalleria di Camarina, circa venti uomini con il rinforzo di una cinquantina d’arcieri” tra le forze schierate dai siracusani. Ma – Casmene o non Casmene – sarebbe operazione caricaturale, intendere Camarina come territorio circostante. Qui non si può e non si deve contestualizzare, anche per non rievocare gli interventi sin troppo analogici di certi annalisti di qualche secolo fa. Uno su tutti, il nostro Arciprete Antonino Carioti, dal quale comunque preleverò talune informazioni che probabilmente chiariranno meglio in merito ai ricordi e le idee di Torquato Tasso, ed infine le mie intenzioni.

 

Tutto ciò, alla prossima puntata, poiché per oggi vi ho già sottratto troppo tempo.

Buon fine settimana.

 

Gaetano Celestre