È passato un anno dall’arresto di Matteo Messina Denaro. La mattina del 16 gennaio del 2023 è una data storica per l’Italia, è stato infatti arrestato di uno dei più importanti boss di Cosa Nostra. Dopo l’arresto di Totò Riina e Bernardo Provenzano, il capo del mandamento di Castelvetrano è stato individuato e arrestato dopo 30 anni di latitanza fuori dalla clinica “La Maddalena” nel capoluogo siciliano, dai carabinieri della CrimOr e Gis. Qui stava curando un tumore al colon che ne causerà la morte il 25 settembre dello stesso anno.

Nato a Castelvetrano nel ‘62, è rimasto irreperibile dal 1993 fino al suo arresto, avvenuto il 16 gennaio 2023. L’ultima volta era stato visto in vacanza a Forte dei Marmi. Poi di lui, ritenuto responsabile di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Di Matteo, si erano perse le tracce. L’8 agosto le sue condizioni di salute si sono aggravate ed è stato trasferito nell’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Il 22 settembre il coma irreversibile, muore il 25 settembre.

Per anni la caserma dei Ros a Boccadifalco a Palermo è stata la casa di tutti i militari che hanno dato la caccia a Matteo Messina Denaro. Appena si entra lo si capisce subito: non è un semplice ufficio, qui notte e giorno si lavorava per cercare l’ultimo stragista di Cosa Nostra.

Appena si apre la porta della caserma c’è la foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La sensazione è che in questo posto si faccia la storia. Nell’angolo a sinistra della cornice invece è stata appoggiata l’immaginetta di Don Pino Puglisi, il “beato” per chi si occupa di lotta alla mafia. Le stesse foto che il 16 gennaio del 2023 ha visto anche Matteo Messina Denaro.

La svolta nelle indagini arriva il 6 dicembre del 2022 quando tre militari entrano a casa della sorella del boss, Rosalia Messina Denaro, e trovano un appunto scritto dalla donna nascosto in una gamba della sedia della camera da letto. La coincidenza vuole che i carabinieri nello stesso punto volevano nascondere una microspia per attivare le intercettazioni in casa.

Ogni militare della CrimOr quel 16 gennaio aveva un compito preciso. L’obiettivo era comune: portare a termine l’operazione “Tramonto”.

Matteo Messina Denaro è entrato nella clinica per fare una seduta di chemioterapia. Registrandosi, così come le altre volte, con il nome di Andrea Bonafede, per poi allontanarsi.

“Per qualche minuto – racconta il Comandante dell’Operazione – si sono perse le sue tracce. Si è pensato abbia preso l’ascensore per andare al piano per le cure, ma una volta aperte le porte non è uscito nessuno. Abbiamo deciso di andare a verificare la videosorveglianza della struttura. Ovviamente le comunicazioni iniziali tra di noi sono state tutte quante di massima attenzione: non potevamo rischiare che lui scappasse. C’è stato questo momento che non si riusciva a capire dove fosse andato.”

Solo una questione di attimi. Matteo Messina Denaro è stato trovato all’interno di un’auto in via Domenico Lo Faso a Palermo, una piccola via vicino alla clinica. Sono i militari Pietra e Turco i primi a trovarlo e a bloccarlo: “Quando si è girato verso di me l’ho riconosciuto subito – spiega Turco -. Anche perché ho notato una somiglianza incredibile con la sorella maggiore Rosalia. Lo abbiamo fatto scendere dalla macchina. Nel frattempo il collega ha bloccato l’autista, identificato poi come Giovanni Salvatore Luppino”.

In poco tempo è scoppiata la gioia tra i colleghi e tra i cittadini che si trovavano lì per caso. Le persone che erano presenti hanno fatto scattare un lungo applauso. Ma non c’è tempo per festeggiare: Matteo Messina Denaro è stato prima portato in caserma per firmare i verbali e poi trasportato in aereo al carcere al 41 bis de L’Aquila. Intanto altri militari si sono precipitati a raggiungere il covo dell’ormai ex latitante.

Matteo Messina Denaro è ritenuto responsabile di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia. Era nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani. Il papà Francesco, don Ciccio, era il capo mandamento della zona. Da lui Messina Denaro ha imparato anche i segreti della latitanza: dopo anni di ricerche, l’uomo fu trovato solo nel 1998 – morto stroncato da un infarto – nelle campagne vicino al paese. Da allora ha comandato Matteo. Prima nella provincia di Trapani, poi in Sicilia. Fedelissimo di Totò Riina, dopo l’arresto del boss si è messo agli ordini di Provenzano, padrino con cui scambiava pizzini pieni di rispetto e di affetto, ma che in realtà seguiva solo in parte. Perché Messina Denaro preferiva l’azione. Poi, quando i boss sopra di lui sono caduti a uno a uno, Diabolik ha iniziato a contare sempre di più. Ed è diventato tra gli uomini più ricercati al mondo.

La sua latitanza era iniziata nell’estate del 1993. L’ultima volta era stato visto in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Poi nei suoi confronti era stato emesso un mandato di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e altri reati minori. E da allora Messina Denaro è rimasto irreperibile, fino all’arresto del 16 gennaio 2023. Nessuna traccia.

Polizia e carabinieri più volte sono stati a un passo dalla cattura, ma per molti anni è riuscito a farla franca, potendo contare su una fitta rete di protezione in Sicilia e nel Nord Italia. Non solo picciotti, ma anche gente che conta. Si sospetta che avesse legami persino con personaggi vicini ai servizi segreti, con i quali – come emerso da alcune indagini – avrebbe avuto rapporti. Attorno al boss mafioso, ritenuto il più pericoloso in circolazione, polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno fatto negli anni terra bruciata. In carcere sono finiti decine di fiancheggiatori e uomini d’onore che ne hanno garantito la latitanza, ma anche suoi familiari (come la sorella).

Boss della new generation, di Matteo Messina Denaro si racconta che amasse il lusso, le donne, i viaggi, le auto, i vestiti. E i soldi, montagne di soldi che gli hanno permesso di fare il salto da Castelvetrano ai salotti che contano. Insomma, Matteo U siccu sarebbe stato lontano anni luce dallo stereotipo del capomafia semi-analfabeta, che mangia pane e cicoria, che si nasconde in tuguri sotterranei in chissà quale rudere sperduto di campagna.

Quel che ha sempre sorpreso più di tutto gli inquirenti è l’immenso tesoro accumulato dal boss. Miliardi di euro, frutto di attività illecite in ogni campo, che hanno fatto di Matteo Messina Denaro uno tra i mafiosi più abili nella gestione dei proventi criminali. Negli ultimi anni, gli investigatori hanno sequestrato centinaia di beni mobili e immobili riconducibili al latitante. I suoi interessi spaziavano dalle grande distribuzione organizzata all’edilizia. Persino un grande parco eolico è finito coi sigilli. Nelle mani di Messina Denaro sarebbe finito persino un risarcimento di 2 milioni di euro a vittime di mafia. Le tante inchieste sul boss di Castelvetrano hanno permesso allo Stato di acquisire palazzi, ville, appartamenti, terreni, magazzini, autovetture e decine di conti correnti bancari e polizze assicurative: tutti beni, per milioni di euro, a lui riconducibili.

Nell’interrogatorio dopo l’arresto, il boss negava di aver commesso stragi e omicidi e di aver trafficato in droga, ma ammetteva di aver avuto una corrispondenza con il capomafia Bernardo Provenzano: “Io non mi farò mai pentito”, aveva detto Messina Denaro. “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia”. Poi aveva aggiunto: “Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali. La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata”, aveva detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi. “Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo…ma con l’omicidio del bambino non c’entro”, aveva aggiunto Messina Denaro parlando dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido.