Sulla Dignità di Beethoven
- 6 Novembre 2016 - 22:03
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Quando poco dopo l’attacco del quarto movimento fa capolino per la prima volta il motivetto dell’Inno alla Gioia, ciò accade del tutto inaspettatamente. Con la delicatezza di un pensiero che passa per la testa, mentre si passeggia su qualche affollata strasse, sbadatamente guardando di qua e di là, considerando i volti e immaginando i pensieri dei passanti. Il pensiero sopraggiunto nella mischia è interessante, sì, ma occorre soffermarsi e rimuginargli attorno, per svilupparlo, e far sì che divenga il tema lungamente atteso, forse fondante, della Sinfonia dell’Umanità Sovrana e Affratellata. L’uomo sovrano? Vien da ridere di gusto, a pensarvi. Ancora di più a immaginarlo concretamente solidale al suo prossimo. Eppure, se c’è qualcosa che riesce a sollevarlo, a elevarlo sopra le sue stesse meschinità, è proprio quel ragionamento, quel rimuginare sopra le idee che può condurlo fino alla realizzazione completa del progetto, o perlomeno in percorso di approssimazione. Ma non è solo questo, c’è qualcosa di istintuale che immediatamente si insinua all’ascolto in crescendo della melodia che si sviluppa. Si racconta una storiella molto interessante a proposito di Beethoven e Goethe. Pare che i due amici, nel corso di una passeggiata, si trovarono a incontrare l’intera corte imperiale in gruppo. Il poeta subito si pose di lato e chinò il capo riverente, mentre il musicista imperterrito continuò dritto il suo cammino. Pochi istanti dopo Beethoven rimproverò l’amico con parole dure, di dignità: “Quella gente non merita tanto onore da parte nostra”. Così, forse conoscendo l’aneddoto, ogni volta che mi capita di ascoltare la Nona, non posso fare a meno di provare orgoglio per la capacità – assolutamente potenziale – di ragionare sulle cose che mi comprendono nel mondo e fuori di esso.
Gaetano Celestre