Acquiescenza

Per cortesia non riferite il mio ozio svagato al tristo “bivacco”, anzi prendiamo principio da questa mia richiesta al fine di cominciare a discutere con serietà, e senz’altro con proprietà, del futuro che riusciamo a immaginare per noi stessi. “Bivaccare”, in vero, proviene dal tedesco: guardare presso un luogo, questa è la significazione, più o meno. Si badi bene però – ed è proprio questo il punto essenziale che mi costringe alla ripulsa – che il termine in questione non è originariamente da relegare alle essenze (o non essenze) metafisiche di un guardare errabondo, per l’appunto svagato, invece, in pieno senso nordico (ah, quanto mi sollazzano i luoghi comuni), si pensi all’attento stare a guardia di un luogo, pratica da riferire spesso ai militi esercitanti l’arte della guerra. Io, come tutti ben sanno, al milite preferisco il mitile. E neanche al fine di cibarmene, s’intenda, piuttosto mi piace stare a guardare la lumaca di mare, con spirito di assoluta nullafacenza.

Figuriamoci se riesco a immaginarmi a guardia di qualcosa. Io? Ma dai, finiamola! Se proprio volete relegarmi (re-lego come religio) a qualche vocabolo, pensate ad acquiescenza (da quies, quiete, riposo. E per ragioni di assonanza ricordo l’acquatile di dannunziana memoria. Molto più, ad ogni modo, mi sarebbe piaciuto scrivere della “scienza dell’acqua”, peccato per l’occasione persa). Quando staziono all’ombra di qualche albero – una vera rarità nell’arredo urbano di Scicli, il suppellettile arboreo – per qualche attimo, silenziosamente, basta poco a farmi scomodare e celermente andar via, qualche scocciatore rumoroso, uno sguardo inquisitore particolarmente interessato, l’implicita richiesta nello sgarbato approssimarsi di qualcuno che vuole il mio posto, ad esempio.

Sono fondamentalmente portato a cedere tutto di me, tranne il corpo, il quale ultimo è già da anni in proprietà delle multinazionali dell’ambito vestiario (i nostri culi sono stati ormai colonizzati dai jeans, se ne prenda atto). Parlo di me, o di altri, o di molti? In effetti ho solo estremizzato una sensazione che forse provo in comune, nel senso che la immagino latente, sottaciuta, magari anche solo limitata al subconscio del grande “io” sociale sciclitano. Se tale modo di essere inutili, arrendevoli, sia generazionale, probabilmente andava indagato prima. Non si illuda chi vede il giovane che fa politica come promessa di socialità. Potrebbe essere solo mero interesse personale, e non per forza completamente da eccepire in negatività. Potrebbe essere tale manifestazione, e dico solo potrebbe!, non che sia per forza, solamente un tentativo di realizzazione del “particulare”. Tutt’al più, per chi si accontenta, l’unica conseguenza sociale (atta ad attecchire presso la moltitudine) è quella di chi cercando di curare gli interessi di un “io” enorme, ma pur sempre personale, riuscirà ad intercettare gli interessi individuali di altri limiti umanoidi. L’acquiescenza, del resto, è anche una forma di difesa, magari di chi rimane fuori dalla curatela degli interessi individuati più rilevanti. In seguito ci sarebbe ancora da considerare una acquiescenza da disinformazione, ma lì per discernere occorrerebbe la scienza dei furbi e dei preparati, degli intellettuali veri, mentre io mi intendo solo di acqua. Serve un rimedio per tutto il resto, o va bene così?

Gaetano Celestre