Il dato di fatto è che lo sversamento di petrolio in Contrada Moncillè a Ragusa non è stato fermato, l’altro è che la quantità di greggio fino nel torrente non la sappiamo. Il terzo dato è che l’inquinamento delle acque c’è ed è evidente in superficie. adesso bisognerà capire quanto abbia intaccato il sottosuolo e la vegetazione. Nell’ultimo vertice che si è tenuto in Prefettura sono stati chiesti all’Eni azioni più incisive per fronteggiare la perdita di petrolio e per controllare il grado di inquinamento. Il pozzo 16 è dismesso all’incirca da 20 anni, ma non è mai stato chiuso definitivamente. “Enimed – ha spiegato a La Sicilia un  addetto ai lavori- ha provveduto alla messa in sicurezza dell’area come da prassi, non è il caso di fare allarmismi, stiamo lavorando per ripristinare la situazione”.




Da La Sicilia (26 giugno) Intervista di Riccotti La Rocca Carmelo al Professore Aldo Ferrara Massari

Esiste un livello di sversamento che consente di stare tranquilli? La situazione è più che mai complessa e va affrontata guardando alle diverse sfaccettature che riguardano il mondo delle perforazioni petrolifere. Ne abbiamo parlato con Aldo Ferrara Massari (nella foto), professore di malattie respiratorie all’università di Siena e autore di diverse pubblicazioni tra cui “la vita al tempo del petrolio” e il recentissimo “Oil Geopolitics” che dedica un intero capitolo alla questione petrolifera in Sicilia, con particolare riferimento all’area del Ragusano.

Partiamo dal caso Ragusa con lo sversamento nel torrente Moncillè, premesso che non conosciamo ancora i dati, c’è da stare tranquilli?

“Le attività petrolifere hanno impatti diretti e indiretti sull’ambiente e sulla salute umana a tutti gli stadi, di esplorazione, di produzione e di uso che ne comporta un forte inquinamento ambientale. Ciò premesso, trovo molte analogie tra la condizione ragusana e quella della Basilicata (dove si è registrata una perdita di 400 tonnellate di greggio creando danni enormi al paesaggio e all’ambiente). Abbiamo verificato che le attività petrolifere sono incompatibili nei territori ad alta frequenza sismica come quello della Sicilia Orientale e dell’Appennino Meridionale. Gli impatti ambientali violentano i territori vulnerabili densamente popolati, a vocazione agricola, ricchi di risorse naturali come acqua, aree naturalistiche, specie se la geoconformazione è ad alta pericolosità sismica”.

Chi deve fare i controlli in questo caso?

“Il problema è complesso, come quello relativo alle concessioni. Paghiamo lo scotto di normative non del tutto adeguate circa la prevenzione e lo studio del sottosuolo e soprattutto della mancanza di strutture degli Enti preposti. Diversa la situazione in altri Paesi. In Norvegia ad esempio opera un’autorità indipendente di controllo, la Petroleum Safety Authority (PSA), per la supervisione delle attività petrolifere circa tutela della salute, ambiente e sicurezza. In Italia invece i controlli vengono generalmente affidati alle strutture Arpa, spesso non del tutto adeguate per la complessità petrolifera. Non solo, ma i controlli ambientali sono spesso svolti dagli stessi controllati; solo in caso di incidenti rilevanti vengono coinvolti enti superiori, come ad esempio l’Ispra”.

Esistono controlli preventivi?

“E’ la prevenzione il puntum dolens. Non c’è. Manca un piano efficace, globale, omnicomprensivo di Valutazione d’Impatto Ambientale. Se è possibile farlo sul piano geologico, manca la necessaria e globale attenzione al territorio. Esso va inteso non soltanto come suolo, e quindi bene comune, ma come tessuto di attività commerciali, turistiche e realtà sociali. Inoltre andrebbe utilizzato il principio di precauzione, adottato nella Legge Quadro sull’Inquinamento Elettromagnetico (D.Lgs 36/2001) per cui, in assenza od in attesa di rilievi scientifici idonei e comprovati sull’impatto di salute, vige un principio precauzionale, discrezionale, ma che comunque fornisce una sponda alla prevenzione attiva, in questo caso con lo strumento legislativo”.




Per lo sversamento registrato a Ragusa, Legambiente ha annunciato un esposto in procura rifacendosi alla Val d’Agri, lei già ne ha accennato, è corretto o esagerato quindi fare questo parallelismo?

“Vede, in Italia, malgrado i ripetuti tentativi di Enrico Mattei in Val Padana, la maggiore estrazione avviene in Basilicata (80%) e nel Ragusano gran parte del restante. Ciò serve ad un fabbisogno di un misero 12%. Il restante 88% è greggio e gas d’importazione (Russia, Libia, Algeria etc). A fronte del 12% di greggio e di pochi milioni di Royalties ai Comuni, quanto dovremo spendere per risanare? Al 2018 sono presenti 39 pozzi petroliferi, di cui 24 in produzione, il Centro Olio Val d’Agri (COVA), per il trattamento e desolforazione degli idrocarburi, e il pozzo di reiniezione dei reflui petroliferi Costa Molina. Il COVA si trova a breve distanza dall’invaso del Pertusillo, che ne subisce gli impatti ambientali. Il tutto nel territorio del comune di Viggiano, area del terremoto del 1857. Già l’analogia sismica è ciò che accomuna il territorio Ragusano e la Val d’Agri ma quel che è avvenuto in Val d’Agri può riprodursi all’infinito. In Italia, sono presenti faglie attive sismogenetiche”.