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passiamu #3 (Marzo), ossia “Nel mezzo del cammin di mia vita, mi nni turnai rarrieri”

Si avvicina ineluttabile l’ultima battaglia invernale, di un inverno che si è manifestato privo della propria essenzialità invernale, in effetti. Poco avendo a che vedere l’aequus con l’equus (la pronuncia è comunque sospetta, e forse un’accurata ricerca etimologica potrebbe produrre qualche risultato utile), a meno che non si voglia intraprendere un’astrusa sovrainterpretazione richiamando alla memoria la quadratura di Pegaso, e suffragandosi così da sé la scelta di posticipare in Aprile la festività sacra ai cavalieri sciclitani, l’equinoziale Marzo ci pone nuovamente nel bel mezzo del duale dilemma dell’istante in cui giorno e notte, equanimi e imperturbabili, ci osserveranno per un attimo, dando quasi l’impressione che si possa scegliere. Come primo mese del calendario romano, in rapporto diretto agli aventi astronomici e all’apertura delle porte di Giano, prende nome dal dio sovrintendente al mestiere delle armi.

Una coincidenza preoccupante, se si vuol dar peso alle casuali corrispondenze coi tempi nostri, e le malaugurate previsioni riguardo le vicende libiche. In realtà il mese di Marzo è sacro a Mercurio, in quanto periodo di transizione finale dall’inverno alla primavera (l’equinozio rileva per l’appunto il momento discrimine). Ed è quindi il simbolo della stagionale battaglia della (o “per la”) vita. Così, con tali auspici, giunge la Pasqua di resurrezione, a volerla dire nel canone del linguaggio metafisico più consono alle tradizioni moderne. Mi rendo conto dell’improprietà di linguaggio di cui faccio uso, ma del resto mi sembra questo il modo più chiaro di esprimere le continuità spazio-temporali ai più esigenti interpreti del bar sotto casa. Lo psicopompo ha dunque ormai traghettato le anime nel personale percorso di purificazione, o meglio, le ha “accompagnate” lungo il mesto corso acqueo (altro lemma da associare alla ricerca etimologica su indicata), presso cui si affacciano i filari di pioppi bianchi, e ora si attende solo la fioritura dei tigli. Con questo spirito ogni pomeriggio, in piazza Italia, alzando il capo in alto, cerco i germogli tra i rami forse sin troppo potati.

Interviene allora il pazzerello marzo, ventoso, bellicoso e irruento, imprevedibile. La spada e le lance del guerriero, simboli del fuoco, serviranno per separare il puro dall’impuro così da lasciarne scaturire il rinnovamento tanto atteso. La peregrinazione quaresimale darà i suoi frutti, se questa è stata vissuta nella correttezza del rito, dei gesti appropriatamente giustapposti l’uno all’altro, e nella concretezza dell’animo, ossia in sincerità d’intento. Kant eleva in superiorità l’imposizione etica autonoma sulla naturale propensione d’animo. Poiché chi è buono da sé non comprende appieno la sua bontà, ed è caduco dinanzi ai fortunosi perigli degli eventi casuali. Invece, chi si impone con volontà e ragione il piglio della nobiltà etica, sarà buono anche contro la sua stessa natura, e persino malgrado le nefaste disavventure della vita. La correttezza vige dove il sistema formale regge, così i corpi liberati vengono ricondotti al vero Spirito. In tal senso Michael Maier scriveva, ad esempio, di un uccello in grado di volare più in alto di tutti gli altri, questo nasceva per il tramite del calore imposto all’uovo dalla spada ardente. Diceva di questo uccello che avrebbe infine sconfitto il ferro di Marte. Speriamo bene!, e che le porte di Giano siano presto benignamente richiuse.

L’ottimismo cui dovrebbe indurre il funzionamento dei meccanismi ciclici è tuttavia mitigato da quanto segnalavo in principio. L’inverno non è stato invernale, di pioggia poi neanche a parlarne. Poveri i campi, che già sopportano le malefatte dell’uomo incurante. E pochi, tra noi, si saranno veramente iniziati alla resurrezione imminente, pochi si saranno con cura preparati durante il favorevole periodo di oscura attesa. Per quel che mi riguarda, in effetti, ho fatto poca cosa anch’io, anche nelle pratiche alimentari, operata ovviamente l’esclusione dell’osservanza stretta di qualche sana birretta serale, bevanda/alimento in parte simile al penitenziale ciceone eleusino. Dovrei preoccuparmi, o magari tranquillizzarmi, e magari dovrei fare come scriveva il sommo Petrarca:
Allor mi strinsi a l’ombra d’un bel faggio,
tutto pensoso; e rimirando intorno
vidi assai periglioso il mio viaggio:
e tornai indietro quasi a mezzo ‘l giorno.

Ma già che siamo qua, forse è meglio andare avanti, sperando che i tigli fioriscano.
Gaetano Celestre

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