Oggi Libera non potrà essere in piazza a Vittoria per ricordare il più sanguinoso ed efferato evento criminale che la comunità cittadina subì un pomeriggio di 22 anni fa. La memoria e l’impegno proseguono, a distanza. Ricordare è doveroso, ribellarsi alle mafie è necessario.

Il 2 gennaio 1999 è una sera di freddo e pioggia. Al bar della stazione di servizio Esso, appena dopo lo Stadio e dove inizia la strada per Comiso, si ritrovano, come sempre, Salvatore Ottone e Rosario Salerno. Stanno giocando una schedina del Totocalcio, con il titolare del bar Sebastiano Lorefice. Salvatore e Rosario sono arrivati da pochi minuti. Dentro al bar,  sedute intorno ad un tavolo, altre tre persone.

Si apre la porta: Giovanni Piscopo, esponente di spicco della Stidda vittoriese, e Gianluca Gammino, killer gelese affiliato al clan Emmanuello, entrano nel locale. Carmelo La Rocca attende al volante di una Lancia Thema, sotto la tettoia e pronto alla fuga.




Il bar diventa il teatro infernale di un massacro: numerosi colpi vengono esplosi dalle due pistole. “I colpi non finivano mai” racconta Sebastiano Lorefice, che si protegge rannicchiandosi dietro il bancone e viene risparmiato dai sicari.

I tre seduti al tavolino cadono a terra crivellati dai colpi: Angelo Mirabella, aspirante capo della Stidda vittoriese, Claudio Motta, cognato di Mirabella, e Emanuele Nobile, sono gravemente feriti. Piscopo e Gammino li finiscono con un colpo alla nuca. Allo stesso modo, uccidono anche Salvatore Ottone e Rosario Salerno. “Loro due sono stati uccisi per

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