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Dispiace che Ovidio non abbia completato i Fasti; il mio sincero rammarico propone nient’altro che il duolo classico dell’insonne. Quel che fu scritto, ad ogni modo, appartiene al novero dei meravigliosi testi che riconducono prestamente alla serenità magari interrotta da qualche inatteso funesto pensiero sopravvenuto carico di presagi sgraditi; paventati dall’inconscio per possibili, eventuali, incidenti alla futura esistenza individuale, spesso questi si materializzano inaspettati nelle visioni oniriche di qualche circostante cattiva digestione notturna. Orbene, occorre segnalare al lettore di questa mia lettera che il genere da me prediletto per propiziare i sonni beati è quello dei “libri antichi preoccupanti” (definizione data da Lucio Dalla in una sua furiosa tangante canzone). Ma poi mi chiedo, “preoccupanti” lo sono davvero, le questioni dei secoli andati?, o forse non sono troppo vetuste per destare clamorose irritazioni istantanee, immediate e attuali, tali da frapporre ingombri al sopraggiungere di Morfeo?

Capiamoci, non è che le questioni poste da Orazio (quello delle Satire, a scanso di equivoci), o da Cicerone, siano mai state realmente superate dall’umana riflessione, esse tuttavia appaiono riconcilianti all’idea che nulla termini mai veramente (sia lode a Lucrezio che mi ha convinto in maniera definitiva dell’immortalità, …del corpo!); in special modo non conosce fine tutto ciò che può esser riletto e ripensato, ed è in tale contesto che sorge un sorriso e la palpebra si abbassa nella piena e incauta sicurezza che qualunque errore compiuto di giorno potrà essere infine rimediato (al ritorno del giro), o quanto meno da intendersi come già risolto – assorbito – nel tutto armonico che ci attende, qual compimento di ciò che  consciamente o meno desideriamo essere. Molto meno preoccupanti di quel che si crede, ad esempio, tra gli antichi libri, sono quelli che trattano di alchimia: la Tavola di Smeraldo, le Nozze Chimiche di C. R., l’Atalanta Fugiens (al suo interno vi sono delle immagini che imprimono in me beatitudine e serenità, quasi come una birra al crepuscolo), oppure in settori parzialmente diversi i più transigenti trattati di Swedenborg e Fechner sulla rappresentazione di un oltretomba rassicurante (quel che desideriamo è in fieri, dicono questi ultimi). È consolante, nelle silenziose notti afflitte da preoccupazioni improvvise, poter leggere di queste amene pensate e servirsene come se fossero pillole di valeriana al fine di riappropriarsi delle ore che si debbono al riposo.

Sciascia, Rugarli, Pasolini, per esempio, invece, le ritengo letture diurne, troppo recenti nel loro profetare (Todo Modo, Il Contesto, Il Cavaliere e la Morte; ossia la trilogia del declino sociale, infonde una preoccupazione che solo certi medievali lettori di Virgilio potrebbero comprendere e avranno provato alla lettura della famosa quarta egloga delle Bucoliche, constatando che il cristianesimo aveva di fatto annichilito l’Impero Romano, altro che pacificazione augustea), impongono meditazioni eclatanti da risveglio brusco. Si tratta cioè di una letteratura fin troppo poco adattabile alle mestizie delle ventose nottate di inverno, mi si creda. Essa è più utilmente da preferire nel contesto delle riflessioni da desti (oh, per quel che è possibile, si intende!, si fa quel che si può per esser svegli, e spesso lo sforzo non conduce certo a buon fine); affini preoccupazioni inducevano Gramsci, durante la sua prigionia, allo studio attento del Risorgimento italiano. Si tratta quindi di una occupazione intellettuale che ben lontana dal puro svago impone a corto raggio un tentativo di applicazione politica (ripensamento della storia recente, ricerca e individuazione degli errori che hanno costretto il corso della storia a nefande derive da evitare in funzione di ipotetiche risoluzioni future auspicabilmente più amene). E però chiaramente questi sono pensieri da non dormirci la notte: “…erano personaggi piuttosto modesti, i loro discorsi apparivano raccattati in uno scompartimento ferroviario di seconda classe, però era anche vero che le grandi idee spesso si vestivano di parole banali. Nessun partito aveva una propria fisionomia; erano tutti arroccati nella difesa di un proprio patrimonio di potere. La democrazia si identificava con la pantomima della democrazia. Le ideologie erano abrogate, senza rimpianti. Il guaio era forse questo: in Italia alla politica spesso accedevano gli ultimi della classe, i ripetenti.” (Rugarli così scriveva nel 1989, vengono i brividi a “ideologie abrogate”). Non diversi crucci, ne sono certo, assaliranno i nostri nipoti alla lettura de I Buoni di Rastello (mai troppo compianto).

La lettura notturna dei libri antichi preoccupanti apparirà a qualcuno come una fuga dalla realtà (scrivevo in queste pagine, qualche mese fa, la finzione di una mia tensione alla fuga nel mondo delle idee: il luogo ameno, rifugio lieto). È probabile che si tratti di un mio divertissement (per nulla divertente, al di fuori del mio personale e individuale esperienziale). Chiariamolo, una volta per tutte con onestà: senza neanche un minimo di originalità, cerco di approcciarmi alla ben battuta via umida di approssimazione alla conoscenza (ne scrivevo la volta scorsa), percorso dall’eventuale approdo di distillazione finale in termini di ideale compenetrazione nell’eterno (John Dee sarebbe orgoglioso di tale mia perversa ambizione alla grappa). Il rifiuto stoico dell’andazzo diurno (e ricordiamoci che stoici quanto epicurei avevano la medesima impressione che, a una data situazione di irrisolvibile disagio civile, occorresse ritirarsi nell’ozio degli studi particolari), non mi aliena comunque dall’idea che le letture notturne abbiano una possibile applicazione politica nella pratica quotidiana. Certo, è complicato, anche quale intento da trasmettere agli altri. Forse è più limpida una birra non filtrata. Ci sarebbe un’alternativa, apparentemente più semplice, snella di pensiero e di parole; avrei potuto sbrigarmela con un articolo di qualche riga e mandare a quel paese, scissionisti e non, di quella entità amorfa chiamata PD. Chiuso il discorso, applausi e compiacimento della ggente incazzata. Ma sarei caduto, non tanto nella perversa falla del mancato e opportuno distinguo, quanto più gravemente in quella di non aver specificato sugli “angoli” della questione. Esiste infatti una via secca (ne scrivevo sempre la volta scorsa), di semplificazione apparente, di approssimazione a quella già detta compenetrazione spinoziana nel tutto (il fine è comune alla via umida), un percorso di asciuttezza, o meglio di “asciugatura”. Confucio scrive: “Potete essere felici anche avendo solo grano non raffinato come cibo, acqua come bevanda e il gomito come cuscino. Per me le ricchezze e gli onori senza la giustizia non sono che nuvole passeggere.”
A parte il fatto che oggi il grano non raffinato essendo presidio di qualità lo rifilano a prezzi esorbitanti, e che salato è diventato il costo dell’acqua pubblica anche quando non potabile, occorre rilevare che il Maestro giunge coi suoi detti direttamente dagli “angoli” sostanziali, ma lo fa sottintendendo la conoscenza del resto della “questione”.

A me pare che una sintesi tra le due pulsioni ancestrali, rispettabili entrambe, qualora volessimo associare l’idea del collettivismo alla lunare complicazione teoretica (umido), e quella di intima virtuosità dell’individuo alla pratica solare (secco), fosse del PD il buon proposito politico (ideologico, malgré le ubbie dei renziani). E invece s’ammuccarru tutti cosi, a Scicli e fuori Scicli, per non aver dato possibilità al dialogo tra le posizioni differenti, per non essersi concessi lo spazio e la parola reciprocamente. Quel che appare più grave – di fatto il reale motivo per cui non è riuscita la sintesi delle sintesi delle due vie, tra le distillazioni alchemiche politiche più ambite degli ultimi decenni – è che questa addivenuta nequizia di circostanza sia stata causata non da una forte dialettica di contrasto tra idee, piuttosto invece in grazia ai poco lodabili attriti dei gretti personalismi (nulla di virtuoso, quindi, o di ideale), conseguenza di tragicomiche opere di ingegno infimo per nulla utili alla causa del bene comune. Mi sono spesso chiesto, osservandone l’operato talvolta di acclarata misantropica conservazione, specie nelle tortuose ambiguità periferiche, se Renzi può veramente fidarsi dei renziani. Ma a questo punto tale dilemma poco appassionante non mi appartiene più, o forse sarebbe meglio dire che in maniera coatta non mi riguardava già da tempo, giacché il Partito si muove come entità autonoma rispetto la base e gli organismi interni di dirigenza (accade in molte realtà locali, che Renzi lo sappia o meno).

Spero che a nessuno venga in mente di semplificare deduttivamente al punto della faciloneria di assimilazione tra renziani e Spirito confuciano, né d’altro canto vorrei lasciar immaginare che la corrente ex-diessina sia una buona rappresentante delle complicate categorizzazioni di matrice aristotelica (degli ex-margheritini invece si vocifera la già avvenuta assunzione in cielo; Elia stesso è disceso a prelevarli, e chi si rifiutava di seguirlo è stato punito con la ovidiana metamorfosi renzesca). Ma forse possiamo operare la finzione che di tali analogie si dica che siano la degenerazione da originari sistemi di pensiero: individualità (semplificazione virtuosa di approccio intimo al tutto) – collettivismo (strutturale visione della realtà complessa degli uni nel tutto e conseguente pianificazione). Questo ragionamento ci potrebbe consentire di comprendere che la scissione eventuale (probabilmente imminente) del PD, per quanto vi sia da dolersene (e per quante irrisolte e irritanti domande emergerebbero, qualora gli scissi continuassero – e così pare che sarà – a sostenere il Governo dei renziani, cui del resto partecipano tramite loro promanazioni), non è poi un disastro irrecuperabile, ma solo la fine di un ciclo di approssimazione alla paventata distillazione. Quest’ultima è di fatto avvenuta, con il risultato che già da ora si può prendere in considerazione per un giudizio di tipo politico (e mio parere, lasciando l’etica alle valutazioni dei moralisti, il risultato estetico è senz’altro pessimo). Da ora, da qui, si riparte per un nuovo giro il cui fine sarà – a lunghissimo termine – il riavvicinamento. Attendiamo affinché – tra qualche secolo – al momento di incontrarsi nuovamente, le rappresentanze delle due eterne pulsioni vitali possano giungere serene al termine del viaggio, dopo aver attraversato sentieri paesaggisticamente formativi di esperienze apprezzabili dal punto di vista ideale, e attendiamo soprattutto che siano consapevoli di quel che saranno diventati come uomini.

Queste dinamiche non sono nuove, né dovremmo sentirci impreparati nell’attesa di elaborazione: tra le dualità ci si alterna, in periodi di ricerca sintetica (la distillazione volontaria), e altri di giustapposizione multi-processuale (cioè non cercando “per forza di volontà potente” la distillazione, ma valorizzando morbidamente i colorati elementi singoli e diversi, la varietà! Così come si dovrebbe fare nel rispetto degli ambiti di culture diverse). Negli interstizi bui sorgeranno i nichilismi, sarà dura, a tratti orribile. Ci difenderemo con la cultura, in attesa di poterci rallegrare del conviviale sogno gramsciano-ariostesco di una società che si realizzi nella storia per mezzo delle relazioni tra individui. La mia simpatia per i sistemi strutturalisti non l’ho mai nascosta, temo invece coloro che pretendendo di pianificare troppo sulla base di questi, sino al punto di limitare la libertà individuale oltre la naturale reciprocità di rispetto tra entità. Odio i tribunali speciali, siano pure quelli eretti nel cuore, o peggio ancora dentro lo stomaco. E purtroppo in piazza ne sorgono in continuazione, maltaciuti dietro torvi sguardi di sfiducia nel prossimo. Il progresso tecnologico potrà aiutarci e sostenerci nella resistenza alla paura, in quanto sistema di connessione simbolicamente e praticamente autogestito sulla base delle relazioni di condivisione, in nodi di rete. Il sogno marxiano della liberazione dei e dai mezzi di produzione è stato realizzato, senza che ce ne accorgessimo. Sarebbe ora necessario rendere umana la globalizzazione raggiunta (una meta da sfruttare, e non da vituperare a priori), e questo basterebbe per incamminarci verso la felicità. Ma non so… Non so proprio…

Ad ogni modo, concludendo, se ppi daveru u PD si scinde io ho già individuato una possibile ricollocazione: u P.r.C. (Partito ra Cavalarica)

Buona scissione a tutti!

Gaetano Celestre
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