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U vientu re tri jorna, da stamattina si è gradualmente innalzato – per la prima volta da quando è iniziata la caldissima estate 2017 – portando fragore e scompiglio nella quieta Cavalarica. Ne sono lieto, poiché di fatto l’impetuoso punintulu è una forma canonica delle circostanze storiche, ripetitive, della località costiera. In quanto la “conservazione”, nel limitato hortus conclusus cavalaricense, è anche mezzo di mantenimento delle condizioni d’amenità, mi concedo questa limitata e controllata scappatoia ideale alla necessità categoricamente imperativa del progressismo. Tutti i compatrioti di Cavalarica sanno bene che il mare: è sempre calmo a Sampieri, è vago e indeciso nella più cittadina Donnalucata, mentre a Cavalarica si manifesta spesso guerresco e feroce sospinto da temperie di virilità eolica. E di fatto a Cavalarica, quando soffia il ponente in tutto il suo vigore, sembra di stare sulla nave sballottata dalle onde. Un lieve rammarico c’è, senza dubbio!, proprio ora che sembrava tutto adagiarsi agli accondiscendenti placet divini per un prolungamento senza termine del mare piatto, liscio come l’olio, fino a Febbraio. E qualche malcapitato bagnante del fine settimana potrà chiedersi arrabbiato chi mai tra tutti noi cretini dell’equipaggio ha aperto il sacco facendo fuggire gli ardimentosi venti, per incauta curiosità sperando magari di trovarvi dentro chissà quali tesori donati dal noto custode dei venti. Bene, si consoli il bagnante domenicale, e speri nella clemenza olimpica per il prossimo fine settimana, poiché se non basta a rassicurare la temporale specificazione in siciliano, perlomeno è il sito web del meteo – ormai piuttosto attendibile – a decretar la fine dello spirare violento ponendo un punto al termine per l’appunto di tre giorni da ora.

Nel frattempo, mentre gli aliti, gli spifferi, come gementi spiriti si insinuano nelle fessure delle persiane, generando immaginari-immaginati vortici e orbite a spirale negli ambienti interni donde scrivo, scosto e disserro timidamente le lamelle per gettar l’occhio oltre. Non nascondo lo stupore – del resto atteso – per il mutamento avvenuto sulla superficie dei flutti, da qualche ora a questa parte. La diffusa spuma bianca sembra la criniera di un vecchio leone che ancora ruggisce verso la riva sabbiosa, ma solo per stabilire una supremazia di dialogo temporalmente infinita. O be’, finita sarebbe, per rigor di scienza, ma ci fingiamo di non trovar termine all’indefinito orizzonte, leopardianamente. Malcapitati gli scogli, nella folle rincorsa delle onde, hanno a subir gli schiaffi di una rabbia ancestrale. È uno scenario che a dispetto delle immagini non atterrisce, poiché come ricordava Melville in capo al suo capolavoro, l’uomo è affascinato dal mare, gli piace goder degli spettacoli furiosi che esso inscena, ma solo fino a quando può farlo dal molo; lì si radunano le folle dei “contemplatori dell’acqua”, al sicuro da ogni pericolo che attenti alla sempre vicina – a portata di mano! – routine della nostra quotidianità borghese.

Così mi sento di consigliare al visitatore del fine settimana di prendersela comoda, e bearsi della maestosa rappresentazione naturale; poi del resto è tutto gratis! Potrebbe sortirne qualcosa, anche di positivo, inframmezzando la visione con la lettura di un libro all’uopo utile per la buona interpretazione del momento: il “Vocabolario marino e militare” di Alberto Guglielmotti (pubblicato nel 1889). Riguardo la superficie equorea, irta di pinnacoli ondosi, egli scrive che è “coperta di scaglie”, assimilandola alla corazza degli antichi guerrieri, il vento intacca i flutti come spada appuntita che rompe maglie di ferro, ed un continuo formarsi e spezzarsi di moti ondosi improvvisi, convulsi e irrazionali, boati e clamori, cozzare strepitoso di diavoleschi cavalieri umidi. Sciascia tremerebbe di vergogna, per l’inverecondo spettacolo irragionevole. Il campo di battaglia non induce al ricordo delle epiche baruffe degli improbabili e comici guerrieri ariosteschi, ma piuttosto occorre far inclinare l’idea verso la serietà eroica (la quale poi, in eccesso, non è detto che alla fine non faccia più ridere). In ogni caso, come più volte ho espresso, lontano da riflessi politici, ho stima del lavoro lirico del vate D’Annunzio, il quale si lasciò senz’altro ispirare dal Guglielmotti nella composizione di una sua poesia, “L’Onda”:
Nella cala tranquilla
scintilla
intesto di scaglia
come l’antica
lorica
del catafratto,
il mare.

…questo l’incipit, poi in libertà ognuno se la cerchi, se vuole…
Per quel che mi riguarda, pur sedotto dalle immagini forti, godendo letterariamente degli impeti furenti, con facilità mi faccio distrarre e abbandono i beati per i beoti pensieri. Guglielmotti mi è d’aiuto ancora una volta, quando rinuncia ai fatti d’arme e l’audaci imprese degli armigeri tritonici, per dir del mare che sembra “un campo dove corrono sbracati gli agnelli”. Agnelli candidi…, ma perché non anche pecore lanose da contare, ad libitum?! …così, pianamente, mi addormento…
Gaetano Celestre