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Questa estate, durante uno dei pasti che più proustianamente si prestavano alle ricordanze, quando ovviamente le ‘mpanate e le scacce si sostituivano alle madeleine, un ospite di una certa età – la terza, senza tanti fronzoli – in una delle digressioni possibili nel corso del dialogo intrapreso, tra le masticazioni, temporalmente traslava per l’appunto quelle cibarie sino al ricordo di un picnic di infanzia a San Matteo, nell’occasione di una pasquetta dell’immediato dopoguerra. Incuriosito da una simile ovvietà, mi è stato successivamente confermato in qual modo il Colle fosse naturale meta di scampagnate da parte della cittadinanza sciclitana di quei tempi che furono.

Cosa è cambiato da allora o cosa oggi risulterebbe diverso rispetto a quei tempi, oltre ovviamente ai residui e possibili rifiuti di plastica dell’eventuale avventore, è quello che cercherò di prendere in esame perlomeno superficialmente (chiedo perdono per l’eventuale inconsistenza della disamina. Di solito sono io ad essere esaminato). Probabilmente il mutamento più importante è avvenuto nell’animo della cittadinanza stessa. Si tratta forse della percezione che il cittadino ha di ciò che gli sta attorno, del senso d’appartenenza al territorio. Anzi, una delle diciture più errate che in qualche modo è andata affermandosi negli ultimi anni è “il territorio ci appartiene”. È una mia opinione ovviamente, ma nel quadro di una considerazione, persino di genere panteista (o animista) della faccenda, preferirei affermare che “apparteniamo al territorio”, o ancora meglio che “siamo territorio”. Vaneggio utopie lontane e irraggiungibili! In qualità di cittadino, qualora dovessi accontentarmi della proprietà dei beni comuni – cosa falsissima e traviante, dal momento che il bene comune nei fatti appartiene più a chi amministra, eletto o meno, e dunque solo indirettamente al cittadino che poi in sostanza finisce per disinteressarsene – dovrei anche cercare di promuovere la necessaria conseguenza logica che dovrebbe incitare genericamente tutti a prendersi cura di un contesto in cui si vive per forza di cose. Prendersi cura del box doccia della stanza d’albergo, almeno nei giorni della permanenza, è base essenziale di una lieta convivenza nello stesso (dunque anche se il box non ci appartiene).

La Politica, ma anche il mondo culturale, dovrebbe virtuosamente tendere alla promozione della media felicità consortile della popolazione umana (lo limito a questa, ma non perché nutra più simpatia per tale razza rispetto ad altre), in un territorio che liberisticamente ci si vuol convincere appartenga a noi. Ebbene, qualora possa immaginare che ciò stia avvenendo o avverrà, devo ammettere che il mio stato di media felicità ambientale, limitatamente a Scicli, come cittadino, al momento è assolutamente e fortemente al di sotto delle possibilità statisticamente immaginabili.

Al di fuori del sistema liberistico poi, e dunque nel piano della mia convinta appartenenza al territorio, la mia relazione con il Colle di San Matteo, ad esempio, risulta disturbata dalla inaccessibilità ai camminamenti e dalla eventuale paradossalità di leggi e norme che li inibiscono al passaggio, spesso in forza di una ricerca della assoluta sicurezza oltremodo irraggiungibile. La stessa ricerca della sicurezza, sia pur quella gesuitica (la miglior sicurezza possibile, come la media felicità possibile), io temo condurrà in futuro a un preconfezionante e deleterio sistema di sentieri per nulla fascinosi, o quantomeno non quanto quelli che naturalmente tendono a formarsi nel ciclo delle stagioni. Intendiamoci, non è colpa degli operatori della sicurezza pubblica, ma di chi ai piani alti pensa alla sicurezza entro troppo angusti limiti di pensiero, così stretti che proprio non si passa (inaccessibilità al Colle sine die?).

Dirò di più, mi incutono timore anche gli sviluppi del pensiero di tipo imprenditoriale sul tema ambientale. Mi riferisco all’idea che in mancanza di fondi pubblici, potrebbe essere il privato a rendere fruibile e “agibile” il bene ambientale. Eventualità che io ritengo debba essere scongiurata in ogni modo. La gestione del sito da parte di privati sarebbe l’avvio di un processo i cui esiti sono incontrollabili, l’apertura di una maglia che potrebbe dar luogo a conseguenze rischiosissime. Le soluzioni ci sono, tra cui la buona volontà (sia pur essa rappresentata da rigorosamente controllate “tassazioni di scopo”. Mi riferisco anche al futuro ed eventuale Parco di Truncafila), ma soprattutto un crescente percorso di formazione del cittadino che deve essere avviato in tal senso sin dai primi accessi alle scuole.

Occorre convincersi che non tutto deve essere per forza produttivo di ricchezza economica. Chi ha necessità di “arricchirsi a tutti i costi”, ci provi con le montalbanate e si accontenti di queste. Ci si convinca a far parte del territorio, essere porzione integrante di esso, nella giusta dimensione della “normalità”, in qualità di esseri umani girovaganti o stanziali, rumorosi, inquinanti e danneggianti nella maggior parte dei casi.

“Non c’è alcuna correlazione accertata tra la ricchezza monetaria o materiale, da una parte, e la felicità e il benessere, dall’altra. La situazione ecologica del pianeta rende necessario ricercare tutte le forme possibili di una prosperità senza crescita.”  (dal “Manifesto Convivialista – Dichiarazione d’Interdipendenza”).

 

Gaetano Celestre