Sarò sincero: non avevo idea di cosa scrivere per l’articolo di questa settimana. Ed è grave per uno come me che ama scrivere e leggere. Poi, improvvisamente, mi si è accesa una lampadina (fortunatamente me ne basta una e non trentadue come per Mr. Gwyn): perché non chiedersi cosa fanno gli scrittori quando non scrivono? Ci avevate mai pensato? Io no!

Strano, nonostante io sia uno scribacchino di racconti (e con un romanzo che non riesco mai ad iniziare pur avendo abbastanza idee per scriverne almeno una ventina!) non me la sono mai posta questa curiosità. La prima cosa che ho immaginato è stato (non so perché): William Shakespeare mentre si pettina davanti allo specchio. Ve lo immaginate? Il celebre drammaturgo inglese che si fa la messa in piega, magari fumandosi tranquillamente una sigaretta, oppure mentre si pulisce le orecchie o va in bagno. E qui devo confessare una mia gravissima mancanza: ebbene, non ho ancora letto nulla del mitico Shakespeare, nonostante sei anni fa ho comprato un edizione con testo inglese a fronte di Romeo e Giulietta. Ma la frase che leggete nel titolo di questo articolo non è mia, non mi permetterei mai di dire che un autore non mi piace senza prima aver letto nulla di lui. Questa piccola critica viene da un altro scrittore, un certo Charles Bukowski, del quale lessi soltanto Panino al prosciutto (devo ammettere che mi colpì molto il titolo quando lo scelsi casualmente in biblioteca a Scicli anni or sono).

Nella sua biografia Il capito è uscito fuori a pranzo Charles ci narra che “un giorno ricevetti una lettera furibonda da un tale il quale sosteneva che non avevo diritto di dire che Shakespeare non mi piace. Troppi giovani mi avrebbero creduto senza nemmeno darsi la pena di leggere Shakespeare. Non avevo diritto di affermare una cosa simile. E così via. Non gli ho mai risposto. Lo faccio adesso. Fottiti, amico. E non mi piace nemmeno Tolstoj!”

Bukowski si immaginava i suoi scrittori preferiti in diversi modi: Dostoevskij mentre si tagliava le unghie, Hemingway che si esercitava nella danza classica dietro una porta chiusa, E. E. Cummings che giocava a biliardo. Io mi immagino Clive Cussler mentre pesca solitario al lago, magari bevendosi una bella birra ghiacciata, oppure Poe che va a caccia di farfalle saltellando giulivo nei boschi, o Asimov che fa i cruciverba (e li azzecca tutti) e Dickens che osserva le belle signorine dalla finestra di casa sua.

Charles Bukowski precisa, però, che queste fantasie gli venivano quando moriva letteralmente di fame, era diventato mezzo matto ed incapace di stare in società. Il povero Charles non è diventato subito uno scrittore famoso, anzi, verso i cinquant’anni ha raggiunto una certa notorietà ma anche dopo la sua morte, avvenuta a settanta e qualche anno, i critici non l’hanno mai apprezzato più di tanto. A me Charles sta simpatico, e sapete perché? Semplicemente perché ha scritto su carta le cose che ha vissuto e che ha sentito, senza censura alcuna. E questo è uno dei consigli che una volta sentii dire da uno scrittore a chi voleva accingersi a diventarlo: scrivi come se tutti i tuoi parenti e amici fossero morti! Non è male come consiglio, vero?

Secondo me lo scrittore autentico deve uscire fuori quello che sente, parafrasando Bukowski “uno scrittore non ha niente da dare se non quello che scrive. C’è un solo giudice ultimo della scrittura, ed è lo scrittore. Non c’è niente che possa impedire a un uomo di scrivere, tranne se stesso. Se uno desidera scrivere, lo farà. I rifiuti e il ridicolo serviranno solo a rafforzarlo. E più lo ostacolano, più forte diventa, come una massa d’acqua che preme contro una diga. Scrivendo non si perde mai; ti fa ridere le dita dei piedi mentre dormi, ti fa muovere come una tigre, ti accende l’occhio e ti mette faccia a faccia con la Morte. Morirai guerriero, sarai onorato all’inferno. Fortuna della parola. Vai, lanciala. Sii il Buffone delle Tenebre. È divertente. È divertente. Un’altra riga ancora…”

 Francesco Camagna