C’è una cosa che più di altre mi ha colpito in questi giorni di protesta dei dipendenti comunali per la mancata corresponsione dei salari. Non il crescente senso di disperazione di alcuni di essi;  il lavoro di bancario mi ha purtroppo abituato a convivere con la realtà di un tessuto di aziende e famiglie che si sta sfilacciando, per cui la disperazione è da diversi mesi che la guardo in faccia ogni mattina di giorno feriale. Non il disinteresse della politica che oramai da anni sappiamo essere dedita unicamente alle cure di se stessa e disponibile a scendere fra le persone solo per cercare voti quando serve. Quello che mi ha davvero colpito è che ogni categoria vive la disperazione in una dimensione di isolamento dal resto della società e che addirittura ciascun individuo è costretto a viverla in una dimensione strettamente privata. In questi anni di degrado morale e civile lo spirito di solidarietà è morto !  Gli stipendi dei comunali sono affare dei comunali e perfino fra gli stessi comunali esistono profonde fratture che impediscono il mutuo sostegno morale tra le persone che sono coinvolte nella medesima tragedia. Qualcosa in questi anni ha inoculato nelle radici della società il germe di un cinismo agghiacciante per cui ciascuno è capace di vivere unicamente l’orizzonte dei propri problemi, ciascuno percepisce se stesso come una monade distaccata e auto sufficiente dal resto della società. Anche l’indignazione politica non è vissuta come senso civico ma come vendetta privata, consumata per colpire chi ci ha personalmente, non politicamente, deluso.

In questi giorni ho visto l’incomunicabilità tra mondi che si credono diversi ma che sono solo pezzi della medesima realtà. E così il cittadino, già preso dai suoi tanti problemi, che solidarietà può avere verso il comunale che magari vent’anni fa gli ha rubato il posto con una raccomandazione appena un po’ più efficace della sua, o che piuttosto lo ha maltrattato per una pratica o per la fornitura di un servizio dovuto ma elargito come una concessione? Ho visto dipendenti dello stesso ente, nella stessa crisi, indisponibili a farsi carico della propria porzione di sacrificio nella lotta comune, e questo per le antiche ruggini verso i colleghi di un altro reparto, di un altro piano, persino verso quello della scrivania accanto. La lotta richiede coraggio, ma che coraggio ti può venire, quando ciò che ti circonda è la meschinità, l’invidia, la divisione in caste. Anche se si ha la precisa sensazione del dilagare della ingiustizia di un sistema che, mentre non intacca nemmeno uno dei privilegi sfacciati delle oligarchie dirigenti,  non considera più le persone come tali ma come numeri, tuttavia resta difficile trovare il coraggio per la lotta se non si trova prima l’unità e la solidarietà: quello di Don Chisciotte più che coraggio si chiama incoscienza, o meglio, pazzia!

Ora, piaccia o non piaccia, la questione dei lavoratori che non beneficiano dell’elementare diritto alla retribuzione è solo un aspetto di una più ampia crisi sistemica ad impatto sociale che nei prossimi mesi è destinata ad aggravarsi in profondità e larghezza. A sua volta la crisi economico sociale è solo un aspetto del deterioramento del quadro democratico che, inevitabilmente, di fronte al drammatizzarsi del disagio sociale, vedrà accentuare l’autoritarismo quale risposta per il mantenimento dell’ordine pubblico.  E di questo fenomeno già si colgono numerosi segnali.

Bisogna che tutti comprendiamo che il rigore declinato col massimo della iniquità sugli enti locali non colpisce solo i comunali, ma l’intera comunità. Ecco perché in questi giorni mi ha profondamente rattristato non vedere accanto a questo pezzo di società che soffre una parte più ampia della società stessa, a cominciare dalla politica, intenta, tanto per cambiare, ad occuparsi di se stessa e delle proprie beghe elettorali. Il disastro del Comune è affare di tutta la Città, così come lo è quello del comparto ortofrutticolo, così come lo è quello del comparto commerciale, così come lo è la condizione di deprivazione di un futuro per la nostra gioventù, così come lo è la impossibilità di riparare le aree del disagio dall’abbandono al degrado morale e sociale a causa della cancellazione dei servizi sociali in generale e del centro diurno in particolare. Tutto si tiene e sono tutti affari nostri !

Io spero che finita la campagna elettorale la rappresentanza politica della Città, nel suo insieme, trovi le energie morali per farsi carico, dei problemi delle persone, e sia capace di mobilitarsi, sempre nel rispetto della legalità e della democrazia, al  massimo delle proprie forze,  per muoversi a fianco di chi soffre. Io dico ai miei colleghi consiglieri che, con la stesso fervore con cui abbiamo chiesto fiducia ai nostri concittadini, dobbiamo in futuro condividerne le sofferenze, diversamente non capisco proprio in cosa si sustanzi il nostro ruolo pubblico, tanto valeva restarsene a casa!


Guglielmo Ferro

Consigliere Comunale IDV-Scicli Bene Comune