scafista arrestato 9 luglioVentidue anni, tunisino, è stato incastrato dalla Squadra Mobile per i soldi nascosti nelle infradito, 3000 dollari, il provento dell’attività illecita del trasporto dei clandestini in Italia.

KARAOUI Zied, reo confesso,  è ritenuto responsabile di aver condotto il 7 luglio scorso  l’imbarcazione con a bordo 297 eritrei, eludendo i controlli di frontiera.  Il soccorso era stato effettuato a sud di Malta ed il barcone era in condizioni precarie.

L’identificazione dello scafista è stata abbastanza semplice perchè era l’unico cittadino non eritreo soccorso in mare. A carico dello scafista tunisino sono emersi elementi di responsabilità schiaccianti: la Polizia Giudiziaria ha scoperto la strategia per nascondere i soldi,  elemento che ha permesso di sequestrarli ai fini della confisca. Ogni migrante ha pagato in media 1.500 dollari  per un totale di quasi 450.000 dollari che sono andati quasi tutti agli organizzatori e così come riferito dallo scafista reo confesso a lui sono andati 3.000 dollari. Sino ad oggi, solo nel 2014 sono stati arrestati 62 scafisti dalla Polizia Giudiziaria a Pozzallo e sono in corso numerose attività di collaborazione tra le Squadre Mobili siciliane (coordinate dal Servizio Centrale Operativo) al fine di permettere scambi informativi utili per gestire indagini sul traffico di migranti dalle coste libiche a quelle Italiane.

Le testimonianze:

ho vissuto per molti anni in Sudan, nella città di Khartum, in quanto nel 1986 mi sono colà trasferito per motivi di lavoro. In tale nazione ho svolto l’attività di tassista. Purtuttavia negli ultimi tempi ho deciso di cambiare vita e ciò a causa delle condizioni esistenti in Sudan dove è praticamente impossibile risiedere con la relativa autorizzazione di quelle autorità, per cui sono stato sempre clandestino. La mia situazione economica, poi, non era tale da potere garantire a mia moglie e ai miei figli un degno mantenimento, atteso che i guadagni che ricavavo dal mio lavoro di autista erano particolarmente esigui. Come molti miei concittadini ho, dunque, deciso di tentare la fortuna e di trasferirmi in Svizzera, prima attraverso la *** e successivamente attraverso ****.

Tre settimane orsono alcuni elementi *****, ai quali mi ero rivolto, mi hanno fatto oltrepassare la frontiera esistente tra ****** e ******, il tutto a seguito di un compenso di 1.500 Dollari USA. Non ho ritenuto opportuno portare con me la mia famiglia e ciò in quanto non era nelle mie possibilità corrispondere alla medesima organizzazione ****** una somma più alta rispetto a quella già dichiarata. Il viaggio tra il **** e la ******* aveva una durata di dieci giorni e i ****non hanno accompagnato il solo sottoscritto in ****** ma una moltitudine di soggetti, tutti come me intenzionati all’ulteriore trasferimento via mare in Italia, il cui numero complessivo era di centoventi soggetti, di cui alcune donne, tutti eritrei. Una volta giunti in *********** ci consegnavano nella città di ******agli elementi di una consorteria ****** e questi, a mezzo di camion, sui cui cassoni venivamo stipati, ci trasferivano nella città di ******. Ivi giunti, ****** ci conducevano in una zona di campagna e colà giungevano più autovetture sulle quali prendevamo posto per ritornare nuovamente a ***** e quindi essere allocati, cinquanta di noi, all’interno di una struttura abitativa che era una casa di grosse dimensioni. In tale abitazione ho trascorso tre settimane senza mai uscire all’esterno di essa. Ciò a seguito di esplicito ordine da parte dei libici nonché del soggetto sudanese che quotidianamente vedevo sopraggiungere nella casa per portarci del cibo. Oltre alle chiare intimidazioni da parte dei ******* nessuno di noi poteva uscire dalla struttura abitativa di cui ho detto in quanto la porta d’ingresso della stessa veniva di volta in volta chiusa a chiave. Non era possibile, poi, tentare di scappare dalla struttura abitativa dalle finestre in quanto la stessa era ubicata al secondo piano di uno stabile, mentre al terzo piano dello stesso vi era altro appartamento adibito ad alloggio per le sole donne. Ho dovuto corrispondere ai primi l’importo di 1.650 dollari USA quale corrispettivo per il viaggio clandestino in Italia. La casa conteneva dei mobili ma gli stessi non erano sufficienti a permettere a noi di dormire su di un letto, cosa che invece veniva fatta direttamente sul pavimento. Il cibo che ci veniva dato non cotto e costituito prevalentemente da legumi era sufficiente per le nostre necessità alimentari.

Per quanto riguarda l’acqua era poca e di pessimo gusto. Affermo che i miei accordi e quelli degli altri, all’atto di essere da questi prelevati, erano quelli che avrebbero organizzato il viaggio solo ed esclusivamente verso l’Italia. La partenza senza preavviso dalla casa avveniva nella giornata del decorso giorno 5, che era sabato, alle ore 14.00 e tutti quanti siamo stati nuovamente stipati sui cassoni di alcuni camion. I predetti mezzi percorrevano per circa un’ora e mezza una strada per poi giungere in una campagna dove vi era una grande casa ed altri soggetti che come me e gli altri erano destinati a partire per l’Italia. L’attesa in tale struttura ha avuto una durata di circa quattro ore e prima che i vigilanti   presenti iniziassero a mangiare dopo il digiuno per il ramadan, alcuni di questi, esattamente due, ci facevano uscire dalla casa per accompagnarci a piedi, e dopo una camminata di almeno tre ore, su di una spiaggia, ove si giungeva in pieno buio. La successiva attesa sulla spiaggia aveva come sua finalità quella di attendere l’arrivo di altri gruppi di soggetti, anche questi destinati a partire e tutti quanti venivamo raggruppati in un solo gruppo. La partenza dalla spiaggia avveniva alle ore 24.00 successive e tutti quanti, a gruppi di quarantacinque, prendevamo posto su di un gommone ove vi si trovavano tre libici. Tale mezzo percorreva un tratto di mare e a conclusione del breve viaggio i libici ci facevano salire tutti quanti su di un battello in legno, quello poi utilizzato per il viaggio. Alcuni di noi, esclusivamente uomini e tra i quali il sottoscritto, venivano fatti sistemare all’interno della stiva del battello mentre, altri, sulla coperta dello stesso. A conclusione delle operazioni di imbarco il natante cominciava a navigare e ciò per circa sei ore e fino a quando lo stesso non si fermava. Utilizzando un grosso apparecchio telefonico munito di antenna, lo scafista telefonava e chiedeva aiuto.”

Viviana Sammito