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La Polizia di Stato e la Squadra Mobile di Ragusa, ha tratto in arresto  una famiglia di scafisti egiziana. Si tratta di Ahmed Ibrahim, 19 anni,  Saad Hameda, 53 anni, Neema Mouhamed Selim,  23 enne,   IbrahimAbo Scahin,  18 anni e e Omar Hameda,21 anni.

Denunciati due minori di 14 e 17 anni per essere stati tutti promotori, predisponendo beni e approntando strutture logistico-organizzative volte a reclutare e concentrare i migranti sulle coste egiziane, riscuotere le somme di denaro imposte agli stessi migranti quale costo per l’intero viaggio, provvedere alle loro esigenze abitative in attesa dell’imbarco clandestino verso l’Italia ed eseguire tutte le attività necessarie per assicurare la partenza degli scafi con i rispettivi carichi umani, struttura funzionale dell’illecito ingresso nel territorio dello stato di cittadini extracomunitari nonché alla permanenza illegale dei predetti, il tutto al fine di commettere più reati.

Il reato di favoreggiamento è aggravato dal fatto che ha riguardato l’ingresso e la permanenza illegale in Italia di più di 274 migranti siriani ed egiziani molti dei quali neonati e minori, dal fatto che è stato commesso da più di 3 persone in concorso tra loro, per procurare l’ingresso e la permanenza illegale le persone sono state esposte a pericolo per la loro vita e incolumità, per procurare l’ingresso e la permanenza illegale le persone sono state sottoposte a trattamento inumano e degradante e perché nel commettere il fatto gli indagati hanno avuto la disponibilità di armi minacciando i migranti.

Alle   19.25 del 25 aprile scorso  nell’ambito dell’operazione denominata “Mare Nostrum”, la nave Aliseo della Marina Militare Italiana avvistava un natante carico di passeggeri in posizione ricadente nell’area SAR di competenza libica. La nave militare si dirigeva su tale punto verificando che il citato natante era lungo 15 metri circa e aveva attrezzature per la pesca; i sistemi di sicurezza della citata barca risultavano pressoché inesistenti. Ritenuto fondato ed imminente il pericolo per la vita umana il comandante dell’Unità Militare dichiarava l’evento SAR e nello stesso tempo procedeva in tutte quelle operazioni tese al recupero dei numerosi soggetti che erano imbarcati sul natante predetto. Tali operazioni si concludevano in nottata con il recupero di tutti i 281 soggetti presenti sull’imbarcazione, di cui 167 uomini (90 minori), 38 donne e 76 bambini piccoli anche neonati, prevalentemente di nazionalità egiziana e siriana. La nave militare lasciava alla deriva il natante clandestino e giungeva nel porto di Pozzallo alle   15  del 26 aprile.

Giunta la nave in banchina l’Ordine Pubblico veniva gestito dal Funzionario della Polizia di Stato della Questura di Ragusa coadiuvato da oltre 40 uomini, i soccorsi per chi ne aveva necessità venivano affidati all’Asp di Ragusa presente con 8 medici e 5 ambulanze, l’assistenza ai migranti era ad appannaggio della Croce Rossa Italiana e della Protezione Civile. Una volta fatti scendere dalla nave, i migranti raggiungevano a bordo di pullman i centri per immigrati di Pozzallo e Comiso. L’Ufficio Immigrazione della Questura di Ragusa e la Polizia Scientifica si occupavano di identificarli uno per uno.

Come sempre le indagini. La Squadra Mobile della Polizia di Stato le inizia salendo a bordo della nave che ha trasportato i migranti. I poliziotti, appena approdata la nave unitamente ai militari hanno iniziato a cercare indizi e segni su ogni migrante che potessero essere utili per identificare gli scafisti. L’esperienza professionale degli operatori di Polizia è tale da individuare i pochi elementi utili al momento dello sbarco. Tra questi di sicuro l’atteggiamento di riverenza che tutti i migranti hanno nei riguardi degli scafisti, a volte non si alzano se non prima aver avuto un cenno di assenso da parte dei membri dell’equipaggio; i calli sulle mani, indice di aver lavorare per mare con i segni del logorio delle cime; i segni dell’abbronzatura sul corpo, tipico di chi sta per mare; il grasso dei motori vetusti sotto le unghie e per finire gli odori, loro di sicuro sono quelli ridotti meno male, i migranti sono costretti a subire condizioni disumane, loro no.

Dopo una prima ricognizione sulla nave, inizia una seconda fase quella di entrare in empatia con i migranti che per la Polizia sono i potenziali testimoni. Basta poco a volte, una bottiglia d’acqua, una sigaretta o una pacca sulla spalla accompagnata da un sorriso e chi è onesto ti aiuterà. Spesso però, vi è una grande diffidenza nei confronti della Polizia perché i migranti vengono da paesi lontani con culture completamente diverse e sistemi di governo completamente diversi, dove la Polizia non è rispettata ma temuta e quindi hanno paura.

Un aiuto importante viene dai mediatori culturali, dagli interpreti che assistono la Polizia Giudiziaria nell’intervistare i migranti, loro iniziano a fidarsi quando parlano la stessa lingua a volte addirittura si conoscono, vengono dallo stesso paese. Individuati i sospettati ed i potenziali testimoni inizia il lungo lavoro della verbalizzazione delle dichiarazioni, sempre difficili da “digerire” nonostante l’esperienza decennale della Polizia Giudiziaria nella Provincia di Ragusa.

Un giovane egiziano di appena 20 anni riferisce: Da sempre ho avuto il desiderio di emigrare in Italia per trovare condizioni di vita normali. Tale desiderio è diventato ancor più forte a seguito degli eventi accaduti nel mio Paese e meglio conosciuti come “primavera araba”. Le condizioni economiche mie e della mia famiglia non mi hanno consentito prima di esaudire tali desideri pur sapendo che periodicamente ci sono miei connazionali che si occupano di reclutare noi poveri disperati da trasferire clandestinamente in Italia. Ho concordato insieme mio padre ogni condizione del viaggio ed in particolare l’importo che avrei dovuto pagare una volta raggiunto il territorio italiano che era di 6.000 dollari USA. Il 21 aprile ha avuto inizio il viaggio per Alessandria d’Egitto e dopo circa otto ore di strada arrivavo ed effettuavo una telefonata così come concordato con gli organizzatori del mio viaggio per l’Italia. A notte inoltrata tutti quanti ci dirigevamo in direzione della costa fino a giungere su di un arenile. I furgoni erano più di dieci e in ognuno di essi era stato caricato all’inverosimile, sembravamo bestie Giunti sulla spiaggia ho avuto modo di verificare che tra tutti i soggetti presenti e destinati ad affrontare il viaggio per l’Italia non vi erano solo egiziani ma anche siriani e tanti dei quali neonati ed io avevo paura per loro. Durante tute la fasi da me descritte i comportamenti degli organizzatori erano piuttosto violenti, tanto che uno dei siriani in una circostanza riceveva un violento colpo alla testa sferrato con il calcio di una pistola.

Ad essere armato non era solo tale soggetto ma la maggior parte degli egiziani dell’organizzazione il cui numero complessivo era di circa 20. Ho trascorso quasi tre giorni sul peschereccio e i maltrattamenti da parte dell’equipaggio dello stesso erano un continuo ripetersi nei confronti di noi passeggeri, in molti casi anche per motivi futili. Vi erano momenti di paura ed i bambini piangevano di continuo. L’equipaggio di tale natante era costituito da almeno sei/sette soggetti. Tutti si adoperavano nel governo dell’imbarcazione, chi al timone, chi alla manutenzione del motore, chi alla sorveglianza di noi passeggeri ed anche questi non erano meno violenti rispetto agli altri. L’alimentazione nel corso del viaggio era costituita da solo qualche tozzo di pane che in talune circostanze ci veniva lanciato a distanza dall’equipaggio come si fa con gli animali. Non a caso ci trovavamo in una zona di mare dove operano unità navali italiane di soccorso. Anche tale posizione mi ha fatto comprendere che la rotta mantenuta era un fatto programmato il cui scopo era evidentemente da ritenersi in quello di essere soccorsi in mare dagli italiani.

Dalle risultanze investigative è emerso chiaramente che questo viaggio verso le coste italiane era stato organizzato sia da cittadini libici che egiziani ed il ruolo predominante era quello della famiglia Hameda che aiutata da altri tre soggetti ha potuto speculare sulla vita dei migranti, operazione che se non fossero stati arrestati avrebbe fruttato loro centinaia di miglia di euro. La particolarità di questa associazione criminale è dettata dal fatto che il padre in quanto raìs ha coinvolto nel traffico di migranti il figlio di appena 14 anni ed un altro di 17. Lui, il comandante del peschereccio unitamente al figlio più grande erano già stati in Italia ed avevano avuto problemi di varia natura con la legge italiana, questo lo ha portato, durante la traduzione in lingua araba fatta da un interprete della Polizia Giudiziaria del provvedimento di fermo, a sorridere durante la lettura e volgendo il capo verso il resto dell’equipaggio ha proferito testuali parole: “non vi preoccupate tanto in Italia non c’è legge e non si paga nulla. Io in Italia ho commesso di tutto e solo una volta sono andato a finire in carcere rimanendovi per pochi giorni, poi mi hanno mandato in Egitto”. In questo caso il raìs non ha fatto i conti con gli investigatori della Squadra Mobile della Polizia di Stato, difatti la Procura della Repubblica di Ragusa potrà chiedere la punizione dei colpevoli ed il giudice potrà infliggere una pena fino a 15 anni di reclusione in carcere e 25.000 euro per ogni migrante fatto entrare clandestinamente in Italia.

“Se l’emergenza immigrazione continua, gli sforzi della Polizia di Stato espressi in questi giorni vengono comunque ripagati per aver identificato criminali violenti, sfruttatori di condizioni umane disagiate di poveri migranti che fuggono dai loro paesi, il tutto al fine di poter guadagnare denaro”.