di Viviana Sammito

Il più visionario e tecnicamente virtuoso artista del ‘900 è a Vittoria. Salvador Dalì è in mostra in un suggestivo palazzo ottocentesco, in via Cavour, 39. Merito di accurate ricerche del gallerista e collezionista di opere d’arte, Giovanni Bosco e del figlio Livio, studioso d’arte, entrambi dell’associazione culturale “Edonè –  Arte Viva Club”.

Oltre 20 dipinti di collezioni private sono esposti in un percorso cronologico che narra la battaglia di Alessandro Magno attraverso gli occhi de “le Visionnaire”, qual era l’artista Dalì.

Il fulcro della mostra è infatti la cartella edita da Skira “Roi, Je t’attende a Babylone”, lavoro del 1973 composto da dodici acquetinte e puntasecca che narrano un capitolo del libro di Andrè Malraux “Hote de passage”. Nelle sue opere, il cui significato lascia spazio a diverse interpretazioni, l’elemento chiave, quello che è sovente riproposto è il corpo nudo di donne, la figura mastodontica dell’elefante che è ritratto mentre viene sopraffatto dal corpo imponente del gentil sesso.

<<Grazie all’incongrua associazione con le zampe sottili e fragili, questi goffi animali, noti anche per essere un tipico simbolo fallico, creano un senso di irrealtà. L’elefante rappresenta la distorsione dello spazio –  secondo Dalí –  le zampe lunghe ed esili contrastano l’idea dell’assenza di peso con la struttura>>.

“Dipingo immagini che mi riempiono di gioia, che creo con assoluta naturalezza, senza la minima preoccupazione per l’estetica, faccio cose che mi ispirano un’emozione profonda e tento di dipingerle con onestà”, si legge nella biografia privata. Dalì è un pittore tormentato dalla morte del fratello e del quale si convince di essere la reincarnazione, è un visionario: le sue illustrazioni lasciano ruotare, come in un vortice, l’immaginazione: corpi ermafroditi, figure impercettibili nascoste dietro altri volti, che riemergono quando la mente si abitua alle illusioni ottiche. Illusioni e realtà che lasciano un anelito di mistero, supposizioni in cerca di soluzioni, di risposte che Dalì non potrà e non darà mai. Un visionario nasconde il suo vero essere e rovescia su una tela o una pergamena quello che la mente ordina al pennello. Un viaggio nel surreale che trasporta con ardita curiosità nel mondo onirico e sregolato di Dalì.  Un biglietto da visita che in tanti (più di mille persone in soli due giorni) hanno <<preso al volo>>, tornando più di una volta in galleria per visitare l’esclusiva mostra.

L’esposizione si apre con lo “Studio di Flagellazione” (1960) di Fabrizio Clerici, surrealista italiano, grande amico di Dalì, considerato da Alberto Moravia, <<l’archeologo di se stesso, del proprio animo di gentiluomo milanese di vecchia famiglia cattolica; per Giuseppe Ungaretti è degli <<artisti d’oggi il meglio legato al barocco>>. La mostra è anche impreziosita da una rara incisione di Pablo Picasso, che fu la persona che per prima  avvicinò le Visionnaire all’arte dell’incisione. Con grande orgoglio l’associazione “Edonè –  Arte Viva” ha messo in esposizione tra le più importanti mostre del periodo, in Sicilia, un evento fortemente voluto, che celebra i cinque anni di attività, con un inestimabile talento eclettico.

“Quando avevo sei anni volevo essere cuoco e a sette Napoleone. Da allora la mia ambizione è cresciuta senza arrestarsi”. (Salvador Dalì- biografia privata)

Foto: Vincenzo Canto

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