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Spesso su queste pagine mi sono dilungato, in più declinazioni possibili, riguardo la rilevanza del ricordo – della memoria – come contenuto da cui la capacità immaginativa possa attingere al fine della conoscenza del mondo. Lo avrò già scritto, probabilmente, ma lo ripeto: è un concetto di cui propugnatore forte era certamente Giordano Bruno, tuttavia occorre segnalare che l’origine ancestrale, nonché la ragione più intima, di tale modus operandi, deriva senz’altro dalle smanie di rigenerazione di alchimisti ed eruditi in percorso verso la divinità (e non vedo perché li si debba deprecare o deridere. In fondo non è lo scopo di ogni teoria mistica, e di molte religioni, che l’uomo si debba approssimare alla santità?), in altre parole lo si immaginava genericamente mezzo mercé del quale si possono infine persino generare infiniti mondi. E per l’appunto un erudito totale, un umanista, con la memoria di Pico della Mirandola, e con l’immaginazione di Leonardo, in una situazione di sonno-sogno, avrebbe potuto dare vita ad uno spazio-tempo alternativo a quello osservato e conosciuto nelle ore di vita diurna, e sempre tale uomo eccezionale dal suo empireo avrebbe potuto riempire quel cosmo di entità ricordate, prendendo cioè spunto dal magazzino della memoria per generarne di simili a quelle precedentemente vedute, o persino formandone di nuove, e giungere così per il tramite di tale momento creativo al definitivo superamento della morte (anche la sua, essendo infinito il tempo immaginabile in un istante di sogno. E se è vero che l’infinitezza non coincide con l’eternità, allora faremo forte questo dio della massima di Berkeley: Esse est percipi!). Ovviamente, come è noto, dai sogni agli incubi il passo è breve; agevole sovviene il ricordo delle vicissitudini di Funes el memorioso.

E quindi restiamo alla pratica della percezione attuale, quella che a priori ci azzardiamo a immaginare comune a molti, nella quotidianità. Quali risvolti pratici possono essere ipotizzati, e perché tanti uomini di cultura si sono comunque ingegnati di studiar tecniche utili a ricordare (mnemotecnica), operata la necessaria esclusione laica di quella velleitaria aspirazione a divenir dio? Non è che non mi interessi la divinità, intendiamoci, anzi mi piacerebbe proprio esserlo, magari uno di quelli “minori”, senza troppe pretese, solo una per la precisione: generare infinite Cavalariche. Tuttavia qui occorre sforzarsi di pensare a qualcosa che valga per tutti, o quanto meno per molti, e che sia adoperabile individualmente solo in preparazione di una attività utile in spirito consociativo. Non mi sento ovviamente nella necessità di rafforzare l’idea già comune che il mantenimento della memoria serva ad evitare gli errori futuri, già fin troppe si impongono le giornate della memoria; una giusta prospettiva etica questa, senza dubbio, che purtroppo però si limita alla risoluzione in negativo (riguardando quel che non si dovrà fare in futuro). L’immaginazione è forse l’aspetto atteso (da ad-tendere) per un intervento sul materiale della memoria, attore di un momento dirimente per qualunque ambizione di progresso dell’umanità. Nulla di nuovo, se ne parlò benissimo nel corso dei favolosi anni ’60, e proporzionalmente orribile fu l’applicazione che seguitò negli anni appresso. Il peccato è sempre il solito: quando l’immaginazione interagisce nell’ambito sociale lo fa senza il bagaglio culturale necessario; quando invece resta la sola memoria spesso nessun atto creativo consegue.

Ora, fatta questa premessa – perché tale era, e quindi al lettore sin qui giunto chiedo un sorriso di compatimento – voglio chiudere con il vero argomento che mi interessa trattare (oh, vi dirò la verità, gli sciclitani sono dei gran bugiardi): la circonvallazione ancora da inaugurare lì giù vicino al fiume recentemente straripato, sì proprio quella stradicciola di neanche due chilometri che illumina i sogni beati in seno ai congregati presso talune forme di socialismo sciclitano. Ebbene, poiché mi pare che tale meravigliosa arteria più non circonvalli granché, e tangendo altro che qualche fluviale ansa dai perigliosi risvolti torrentizi, risulta probabile che in cambio del rischio alla fine non smaltirà poi così tanto il tentacolare traffico della mia montalbanica cittadina, ne deduco tristemente che possa ambire ad essere annoverata, tra qualche decennio, tra le più inutili opere pubbliche realizzate nel nuovo millennio. Perché scriverlo ora? Che se la sbrighino gli sciclitani del futuro, no? È così che si fa di questi tempi di facilissimo fare, di versi che cambiano e restano misteriosamente simili ai precedenti. E però lo scrivo ugualmente, senza troppe pretese (come quel dio minore di poche righe più su), poiché magari, sempre tra qualche decennio, a qualcuno potrà far piacere leggerlo per constatare che non tutti erano plaudenti.

Certo, con una buona lena creativa – assodato l’approssimarsi alla vanità pratica dei due esigui km di manto stradale – sarebbe facile immaginare quello spazio da adibirsi a una mutata destinazione d’utilizzo, ossia alle pratiche sportive. Ah, noi sciclitani siamo tutti sportivi!, e impavidi conquistatori di spazi utili alla nostra bisogna: l’anello multifunzionale di Zagarone, da poco munitosi anche di pista-corsia per ciclisti, è un luminoso esempio dell’autodeterminazione cittadina, e di fatto allo stato attuale già avviene qualcosa di simile anche sulla circonvallazione non inaugurata (e così le ragioni del socialismo prevalgono comunque). Mi pare dunque di capire che in città ci sia una richiesta di spazi utili in tal senso, e dunque che sussista un’istanza tacita. Mah?!? Interessa a qualcuno? A che scriverle queste cose? Anzi a “chi”? Aspetteremo (aspettare, da adspicere, cioè supinamente auspicare, perché proprio non riesco ad immaginare che si possa fare altro), l’imperversare di nuovi fastidiosi eretici umanisti, pungolanti e aggreganti per mezzo di idee, che ci costringano al risveglio, così da indurci alla realizzazione di sogni nel nostro ristretto andito spazio-temporale.
Che Giordano Bruno ci protegga…

Gaetano Celestre