misantropie

Aprile, dolce dormire. Un motto a me indirizzato spesso, di cui ho un vago ricordo, come di parole nettate accidentalmente dalle contingenti lentezze del dormiveglia, opera di una coscienza ritenuta più effetto del miracolo che conseguenza della realtà, sorpresa a cogliere improvvidamente rimproveri provenienti dai tanti illustri docenti incontrati negli anni dell’insegnamento subìto. Esisterà poi davvero la coscienza? Vien da chiederselo, dopo un rapido zapping dei canali del digitale terrestre di prima generazione (a breve, pare, dovremo adeguarci ad un nuovo non troppo richiesto upgrade). E viene da chiedersi, anche, se è mai possibile concedersi all’indolenza nel mese della rifioritura, del rinverdire, del risorto culto a Venere (gli iniziati impugnino il ramo di mirto). Si ritiene che, etimologicamente, il riferimento della mensilità interessata sia al termine “aperire”, forse in relazione allo sbocciare delle gemme nei rami ancora rinsecchiti. Mi giunge quindi altra richiesta di ragionamento applicato, se non dalla coscienza, forse almeno dalla mia eventuale personalità non unitaria: era giusto stare all’erta al fine di ascoltare ciò che non mi interessava, o ciò che avrebbe potuto interessarmi ma in modo tale era espresso da provocare in me il rifiuto? Tanto per dire, al referendum sulle trivellazioni, già da tempo ho deciso che non andrò (prima che fonti autorevoli decidessero di promuoverne le ragioni opposte), ma se il Capo del Governo continuerà a dirmi che faccio bene, che ho ben scelto, forse ci ripenso e vado (voto NO). È aporia questa, non c’è altro da dire. Non trovo soluzione, né tantomeno probabilmente mi interessa rinvenirne alcuna. Bisognerebbe danzare, in Aprile, come lubrichi fauni nei campi, insieme agli insetti vorticanti e le api ronzanti. Così, forse è per questo che, allungandosi le giornate, anche le passeggiate si adeguano, sin fuori città. Non più verso il bosco dunque, nell’entroterra, ma escatologicamente (una delle mie parole preferite, malgrado da casualista non creda al finalismo e alla funzionalizzazione. Forse la mia preferenza è dovuta a una recondita aspirazione alla razionale causalità? Del resto occorrerebbe imporsela, sia pur come splendida finzione, in alcuni ambiti strettamente materiali e quotidiani) indirizzandosi verso il glauco mare. Bello il colore del mare, di questi tempi, soprattutto lì dove si avvicina all’orizzonte; è così provvisorio!, ed incline alla mitezza del tenore, per vie del cielo biancheggiato, se non ingrigito. Mi consola, anche laddove non necessito di alcuna carezza all’animo.

Ora, mentre camminavo, prestando attenzione alle deiezioni circostanziali riposte sul sentiero da ogni tipo animale pensabile, riferivo ad un gruppo di amici che il colonnello Meda, poi al servizio dell’Impero Napoleonico, si chiamava ancora Charles-André Merda ed era un semplice gendarme quando sparò in bocca a Robespierre, prima che quest’ultimo potesse chiamare aiuto. Sono certo che qualcuno sarebbe forse accorso, ma non molti, così come Di Pietro oggi è stato già da tempo ampiamente de-beatificato, e dimenticati se non vituperati gli eroici arresti. Gli eroi del popolo durano un momento, pochissimo, precisamente fino a quando chi dirige il popolo non decide provvidenzialmente di voltarlo dall’altra parte, magari a interessarsi di vicende più amene, in tempi di tristezza. Il calcio, ad esempio, o le prosperosità gommose delle starlette televisive, si chiama tittytainment mi pare (termine coniato da Brzezinki, consigliere per la sicurezza nazionale della presidenza Carter). Chissà perché l’uomo, quando non vive bene il presente, tende a voler tornare indietro, e non pensa mai a una soluzione per andare avanti? Ma in ogni caso, le carriere vanno e vengono, ciò che resta sono i ricordi mondati dalle particelle del sogno. Occorre capire, in vero , cosa rimane del vero e cosa è ancora sogno nel racconto che si fa del ricordo, per quel che può interessarci oggi che esiste solo il presente (e solo facebook di tanto in tanto ci suggerisce i post pubblicati a distanza di anni, nel giorno della ricorrenza anniversaria. Questo sì, un ricordo reale, materiale, senza margine di errore dovuto al dormiveglia di cui eravamo protagonisti all’emissione. Facebook è un inquisitore incorruttibile, in tal senso). Un amico, partecipante al gioco dei rimandi analogici e delle assonanze, mi ha suggerito una strepitosa ipotesi, durante una di queste iniziali passeggiate di Aprile: che l’antico detto medievale (chiaramente riferendomi al tempo delle scuole medie) “va spariti cca merda” derivi proprio dal tristo evento storico riguardante Robespierre?

La fuga dal mondo reale è ormai irrimediabile, per cui l’ipotesi del mio amico mi soddisfa, mi compiace e la abbraccio come un imperatore gentile avrebbe fatto – pacificamente – nei confronti di un nuovo dio arrivato ad aggiungersi agli altri, fosse pure un dio con la fissa di essere l’unico e il solo. Sì, dai, io lo aggiungo, come un like su qualche contenuto da social, puoi comu vena si cunta. La segnalavo già in uno scorso articolo, tale possibilità di salvezza, ma forse ne vanno precisati i confini con una breve chiosa: il mondo ideale e il mondo del reale entrano in equilibrio nel momento in cui la società propone a se stessa, e in termini ideali, un fine accettabile nella moderazione complessiva delle singole pratiche materiali. Cioè, l’individuo diventa cittadino solo quando gli è proposto un buon compromesso, o perlomeno uno accettabile. Preciso ancora, vuol dire che da sé, l’individuo, non ha la forza di imporsi autonomamente un ideale sociale (o di altruismo laico), perlomeno non per tempi troppo lunghi e senza alcun effetto positivo in cambio (checché ne dica il luminoso Kant); traducendo nella forma inversa: quando il cittadino si sentirà abbandonato dagli altri rimedierà tornando alla mera auto-soddisfazione come individuo. In termini di inevitabilità pragmatica, se chi governa come rappresentante dei molti non è in grado di proporre un buon compromesso, o addirittura ne propone uno per realizzarne un altro tendente all’inaccettabilità, provocherà una dissociazione crescente nel tempo, proporzionalmente alle disattese prospettive in progresso. Dapprima l’individuo si scinderà dalla cittadinanza, e poi da se stesso come entità del quotidiano, rendendosi immune via via alle responsabilità eventualmente ipotizzabili o tragicamente richieste dal caso, lo farà in due modi, e fino a quando non lo si spingerà alla sommossa, o con la fuga o con l’adattamento al reale, sistemandosi comodamente nell’alcova del mondo delle idee. Ciò lo renderà presente fisicamente dinanzi agli altri e solo come mera finzione se ne potrà dedurre la partecipazione, mentre in realtà la vita interiore – quella vera, dove c’è – resterà celata ai più.

Chiaramente, si tratta di percorsi ipotetici e circolarmente irrinunciabili, poiché il giro riparte proprio dalle idee generate in quel frangente di dissociazione dal reale sociale, ma ci vorrà ancora molto tempo prima di riuscire a convincere due-tre persone a pensare, a ragionare, congiuntamente sulle cose e sulle eventuali soluzioni perseguibili per una generalità in espansione dall’unità semplice. Una delle pratiche di adattamento migliori, nel contempo, è suggerita in Aprile dalle temperature in rialzo e dalla sonnolenza conseguente. La faccenda non è poi così drammatica, del resto basta sorridere ai rimproveri dei professori, con atteggiamento remissivo e accondiscendenza verso chi si sente far parte dell’oligarchia regnante, in tutti gli ambiti del reale. Così si eviteranno accidentali ripercussioni dolorose e violente. Va tutto bene, benissimo, basta lasciarlo credere a chi vuole che sia così!

Gaetano Celestre