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Profeta fu Berlusconi allorché rilevò anzitempo, e nel bel mezzo della tempesta finanziaria, l’incongruenza delle pizzerie piene. Anche un mio amico, che certo berlusconiano mai fu, mi ha segnalato nel corso di recenti passeggiate le forti assonanze di spensieratezza con altro periodo particolarmente libertino, la cosiddetta Belle Epoque. Scriveva Yeats “Dopo un’epoca di necessità, di verità, di meccanismo, di scienza, di democrazia, di astrazione, di pace, viene un’epoca di libertà, di finzione, di male, di affinità, di arte, di aristocrazia, di particolarismo, di guerra.” Verrebbe da pensare che manca solo la guerra, a concludere il ciclo delineato, già un nuovo ciclo rispetto quello cui si riferiva Yeats. Tuttavia, meglio tranquillizzarsi, oggi non vi sono basi per guerre mondiali, gli intrecci economici troppo intricati perché si possa rischiare di diradarli a cuor leggero sotto le bombe. E poi le guerre oggi si fanno all’interno del Mercato, e le banche non falliscono, lo scrivono tutti!, come agli inizi del novecento si diceva impossibile alcun tipo di conflitto bellico generalizzato. Anzi, è possibile che fosse proprio sulla base di tali sicurezze, imposte dall’informazione dell’epoca, che si ballava e brindava in allegria.

Si festeggia, si canta e si balla anche oggi, forse più che a quel tempo, e con maggior spirito di libertà (siamo tutti estremamente liberi, perlomeno in occidente, così liberi da non saper che fare, spesso), si sorride inebetiti alle banali frivolezze dei tempi, scongiurando i timori – che pur sono presenti – dietro le cortine dell’ottimismo imposto. L’ottimismo, capiamoci, è sempre cosa buona (io stesso sono ottimista!), ma solo se fondato sul realismo progressista. Cioè sulla capacità di immaginare il progredire in meglio, e non certo un improbabile ritorno a situazioni di felicità retrò (magari da anni ’80 del secolo scorso) in funzione della conservazione perpetua. Purtroppo ho la sensazione che il corpo mummificato sia oggi da venerare o da esecrare, senza mezze misure ragionevoli. Se salvare il salvabile significa salvare il peggio di ciò che è stato, perché si stava bene quando si stava peggio, temo che l’ottimismo risulterà solo utile finzione imposta al fine di scongiurare la visione del reale. Si tenterebbe, in questo caso, di ignorare che il velo di Maya è ormai ridotto a brandelli e si è giunti alla nudità. Così si canta e si balla, per l’appunto discinti, ancora senza avvertire pienamente il tono parodico di ciò che facciamo. Dicevo, ad un altro amico, sempre durante queste lugubri passeggiate di febbraio, che la parodia è in effetti il canto cacofonico dei tempi, per cui sarà ineludibile una futura apostasia. In termini teologici, per chi ha da comprendere, dovremmo essere nei paraggi della fine dei tempi, il potere che frena (Katechon) non frena più bene. È un bene o un male? Boh!?!

 

Dovrebbe importarci poco, se fossimo realmente impegnati in qualcosa di concretamente produttivo di profitto sostanziale, magari nel senso pieno del termine “economico” (pazienza, il mio vecchio pallino del socialismo scientista-positivista alla fine ha sempre il sopravvento sulle interpretazioni millenariste), non so!?, tipo ad esempio piantare alberi. E il tempo e il mondo sono sempre in fuga, scriveva sempre Yeats. Mi sarei dovuto accorgere, ad esempio, che Febbraio non è stato affatto lugubre come mi attendevo e scrivevo poco fa. Ricordo di aver letto da qualche parte – nel mese di Gennaio – che Febbraio è statisticamente rilevante per suicidi. Sarà a causa del maltempo, del freddo, dell’ombrosità. Chissà?! Ad ogni modo, in occasione di quella svagata lettura, mi sono trovato a riflettere immediatamente su uno degli elementi corollario del dato statistico, ossia su quale ghiotta occasione sarebbe stata questa per tutti i misantropi. Ebbene, a posteriori, trascorsa la prima metà del mese, e dovendo constatare che il bel tempo sovrano ha reso l’inverno siciliano assolutamente primaverile (o autunnale, a piacere!), ameno e persino oltremodo lieto, resta da auspicare che la statistica sia infine da rivedere. Siamo tutti vivi, o perlomeno in tanti. Che faremo dunque? Guardo ai rami degli alberi, cercando nuovi germinanti virgulti, complice la primavera anticipata, ma già mi chiedo se saremo meritevoli dell’ombra.
“Un uomo che piantava alberi, pur sapendo che la loro ombra non avrebbe confortato discendenti più prossimi dei suoi pronipoti, aveva, secondo lei, una nobile e generosa fiducia. Ed essa pensava che ci fosse qualcosa di terribile in questo, perché era terribile stare sotto dei grandi alberi e dirsi: sono degno di quella fiducia?” (W.B. Yeats)

Gaetano Celestre