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Quest’anno ho deciso di tesserarmi nuovamente a uno dei Partiti italiani che in qualche modo rappresentano il progressismo di “sinistra” europeo. Non l’ho fatto per una sorta di tendenza al masochismo, e con maggiore vigore ho operato la scelta nei giorni dei recenti “scandali romani”. Intendiamoci, non sono affatto convinto della bontà intenzionale della gran parte delle cose che accadono internamente ed esternamente al Partito in questione, in realtà la scelta è dettata dalla volontà di partecipare idealmente – e criticamente – al “cambiamento” di cui tanto si vocifera da qualche anno (interno ed esterno al Partito, ancora una volta). Il mio, chiaramente, è un impegno ozioso, da chiacchierone e non altro, privo di ulteriori ambizioni che oltrepassino l’auspicio di bagnarmi tra i sacri flutti nella prossima estate.

Ognuno il cambiamento lo interpreta pro domo sua, ovviamente. Per quanto mi riguarda, io spero che per la prima volta si corra ad intraprendere quel “cambiamento delle regole” di cui parlava già Bobbio negli anni ’80. La Sinistra deve impegnarsi non per cambiare i macchinisti, ma il sistema di locomozione. Generalizzerò e magari sarò anche un po’ troppo generico, e sin da ora chiedo scusa a tutti quei fedelissimi del conservatorismo (di destra, di sinistra), ma ho maturato una forse insana convinzione per la quale Socialismo, Comunismo e Liberismo, in tutte le accezioni possibili non sono altro che appendici di un ottocentesco e purtroppo spesso disatteso Pensiero Liberale. Fuori dalla lezione di filosofia, che non era nelle mie intenzioni, questo modello di pensiero nasce in un contesto che ruotava attorno al “produttivismo”, alla redditività (ancora oggi, il discrimine per accedere a finanziamenti da enti parastatali è la redditività dell’impresa che si vuole avviare, l’utilità economica ipotizzabile!). Dunque le distinzioni ideologiche si modellavano attorno a un unico punto certo che era la “produzione”, e l’elemento che si poneva in discussione restava la sola mera gestione di quel risultato. Oggi appare ormai certo un appiattimento generale su tale cosiddetta “gestione”, perlomeno dal punto di vista della discussione teorica, e nessun nuovo pensiero (oltre quello della “decrescita”) viene realmente prospettato come alternativa ideale, filosofica e politica. Non sono mai stato convinto dai risultati conseguenti all’accordo comune, non mi convince l’idea generica del “siamo tutti d’accordo”, e aspiro sempre alla proposta alternativa, per una scelta di democrazia, e innanzitutto a causa di una mia fede scettica che da sempre professo. I teorici della “decrescita”, dicevo, propongono un’alternativa, tuttavia così poco strutturata da fornire forse solo lo spunto di riflessione iniziale. Cosa deve fare l’uomo politico per uscire fuori dall’apparente dicotomia socialismo-liberismo? I teorici dovranno rispondere a questo interrogativo nei prossimi anni, da che appare scontatamente superato il “produttivismo” industriale ottocentesco, quanto l’ottimismo oltreoceanico dei fintamente mitici anni ’80 del novecento.

Io penso sia ben difficile che l’alternativa possa partire dai rappresentanti stessi del pensiero liberale (o liberista che sia, in molti casi), e dopo la grande delusione movimentista, non resta altro che appellarsi alla buona volontà di una Sinistra volenterosa (e in partenza pur “liberale”), perché riprenda il cammino progressista ormai da tempo abbandonato. Non vedo altre possibilità. Eppure ammetto che mi riesce difficile immaginare oggi una nuova sinistra che propugnatrice dell’utilità ritrovata nella non-utilità. Spesso si confonde la “popolarità” con la “popolosità” (o la “popolanità”, ancora peggio). Il Partito, i Partiti, e persino i Movimenti, devono riunire le aspettative di cambiamento di un popolo sotto una direzione teorica ben precisa, e questo lo si può fare solo elevando la qualità (anche di chi deve “recepire” la direzione), non abbassando la materia. Grillo, per fare qualche nome, è stato incapace di formare un gruppo dirigente qualitativamente elevato, e se qualche suo affiliato pur spicca tra i pentastellati, non si deve dimenticare nella valutazione che esso risalta in un dato contesto. Ci si aspettava qualcosa di più da un grande artista. Più di tanto non mi allargo nella critica perché è ironicamente pericoloso, i movimentisti sono sempre più violenti, perlomeno verbalmente. E guai ad adombrargli questa fideistica idea che loro sono i salvatori della patria. La destra invece non esiste, forse non è mai esistita in Italia, essendo stato il gruppo di Mussolini, sin dalle premesse al ventennio, un’accozzaglia di personaggi provenienti dalle più disparate (e disperate) aree storico-ideologiche (per non dire che i “nazionalisti” si aggiunsero in fieri al progetto), e se oggi i revivalisti non sentono a sé più di tanto la sofferenza di questa schizofrenia di pensiero, ciò è dovuto – anche per loro – in ragione di una accettazione quasi fideista di un credo basato su una interpretazione personalistica e autoescludente dei principi di “ordine e disciplina”, raggiungibili poi – come ipotetica prospettiva governativa – per mezzo della violenza verbale e non solo. Che il PD sia un partito al cui interno brulichino parecchi loschi figuri (tantissimi) è cosa scontata, logica! Dobbiamo finirla di pensare (o perlomeno moderare il ragionamento) che le mafie fondino partiti, esse più materialmente si agganciano a quelli più popolari, i partiti di massa come si diceva una volta. Si servono dei partiti-contenitore, è una cosa logica, perché dove ci sono più pesci si pesca meglio. Sono, o dovrebbero essere, gli Statisti a riuscire nell’intento di reggere la mano sul timone e allo stesso tempo tenere a bada la ciurma, talvolta anche gettando qualcuno di essi fuori dalla barca. Se Renzi sarà in grado di farlo lo vedremo, su questo sono abbastanza fiducioso. Ciò che invece non mi riesce per nulla di ipotizzare a breve è che Renzi abbia intenzione reale di “cambiare le regole del gioco”, nel senso espresso poche righe più su, e di supportare una crescita di pensiero che possa risultare realmente alternativa all’idea del profitto a tutti i costi.

Occorrerà forse organizzarsi sin dal livello sussidiariamente più vicino, ma occorrerà farlo seguendo le già espresse direttive di “buona navigazione”. È probabile che stia declinando la possibilità di un cambiamento in base alle mie preferenze e preconvenzioni ideologiche sinistroidi, ed è plausibile che una reale alternativa al pensiero liberale possa essere intrapresa dai liberisti stessi (in meglio o in peggio), ciò che resta fondamentale è l’esigenza di “progresso” ideologico, teorico, dalla base pur validissima (perlomeno in partenza) del pensiero liberale, su cui comodamente da qualche secolo andiamo decadendo con estenuante lentezza.

 

Gaetano Celestre