La Sinistra sappia cosa fa la Destra: la necessità di nuove teorie
- 12 Dicembre 2014 - 10:57
- 4
Quest’anno ho deciso di tesserarmi nuovamente a uno dei Partiti italiani che in qualche modo rappresentano il progressismo di “sinistra” europeo. Non l’ho fatto per una sorta di tendenza al masochismo, e con maggiore vigore ho operato la scelta nei giorni dei recenti “scandali romani”. Intendiamoci, non sono affatto convinto della bontà intenzionale della gran parte delle cose che accadono internamente ed esternamente al Partito in questione, in realtà la scelta è dettata dalla volontà di partecipare idealmente – e criticamente – al “cambiamento” di cui tanto si vocifera da qualche anno (interno ed esterno al Partito, ancora una volta). Il mio, chiaramente, è un impegno ozioso, da chiacchierone e non altro, privo di ulteriori ambizioni che oltrepassino l’auspicio di bagnarmi tra i sacri flutti nella prossima estate.
Ognuno il cambiamento lo interpreta pro domo sua, ovviamente. Per quanto mi riguarda, io spero che per la prima volta si corra ad intraprendere quel “cambiamento delle regole” di cui parlava già Bobbio negli anni ’80. La Sinistra deve impegnarsi non per cambiare i macchinisti, ma il sistema di locomozione. Generalizzerò e magari sarò anche un po’ troppo generico, e sin da ora chiedo scusa a tutti quei fedelissimi del conservatorismo (di destra, di sinistra), ma ho maturato una forse insana convinzione per la quale Socialismo, Comunismo e Liberismo, in tutte le accezioni possibili non sono altro che appendici di un ottocentesco e purtroppo spesso disatteso Pensiero Liberale. Fuori dalla lezione di filosofia, che non era nelle mie intenzioni, questo modello di pensiero nasce in un contesto che ruotava attorno al “produttivismo”, alla redditività (ancora oggi, il discrimine per accedere a finanziamenti da enti parastatali è la redditività dell’impresa che si vuole avviare, l’utilità economica ipotizzabile!). Dunque le distinzioni ideologiche si modellavano attorno a un unico punto certo che era la “produzione”, e l’elemento che si poneva in discussione restava la sola mera gestione di quel risultato. Oggi appare ormai certo un appiattimento generale su tale cosiddetta “gestione”, perlomeno dal punto di vista della discussione teorica, e nessun nuovo pensiero (oltre quello della “decrescita”) viene realmente prospettato come alternativa ideale, filosofica e politica. Non sono mai stato convinto dai risultati conseguenti all’accordo comune, non mi convince l’idea generica del “siamo tutti d’accordo”, e aspiro sempre alla proposta alternativa, per una scelta di democrazia, e innanzitutto a causa di una mia fede scettica che da sempre professo. I teorici della “decrescita”, dicevo, propongono un’alternativa, tuttavia così poco strutturata da fornire forse solo lo spunto di riflessione iniziale. Cosa deve fare l’uomo politico per uscire fuori dall’apparente dicotomia socialismo-liberismo? I teorici dovranno rispondere a questo interrogativo nei prossimi anni, da che appare scontatamente superato il “produttivismo” industriale ottocentesco, quanto l’ottimismo oltreoceanico dei fintamente mitici anni ’80 del novecento.
Io penso sia ben difficile che l’alternativa possa partire dai rappresentanti stessi del pensiero liberale (o liberista che sia, in molti casi), e dopo la grande delusione movimentista, non resta altro che appellarsi alla buona volontà di una Sinistra volenterosa (e in partenza pur “liberale”), perché riprenda il cammino progressista ormai da tempo abbandonato. Non vedo altre possibilità. Eppure ammetto che mi riesce difficile immaginare oggi una nuova sinistra che propugnatrice dell’utilità ritrovata nella non-utilità. Spesso si confonde la “popolarità” con la “popolosità” (o la “popolanità”, ancora peggio). Il Partito, i Partiti, e persino i Movimenti, devono riunire le aspettative di cambiamento di un popolo sotto una direzione teorica ben precisa, e questo lo si può fare solo elevando la qualità (anche di chi deve “recepire” la direzione), non abbassando la materia. Grillo, per fare qualche nome, è stato incapace di formare un gruppo dirigente qualitativamente elevato, e se qualche suo affiliato pur spicca tra i pentastellati, non si deve dimenticare nella valutazione che esso risalta in un dato contesto. Ci si aspettava qualcosa di più da un grande artista. Più di tanto non mi allargo nella critica perché è ironicamente pericoloso, i movimentisti sono sempre più violenti, perlomeno verbalmente. E guai ad adombrargli questa fideistica idea che loro sono i salvatori della patria. La destra invece non esiste, forse non è mai esistita in Italia, essendo stato il gruppo di Mussolini, sin dalle premesse al ventennio, un’accozzaglia di personaggi provenienti dalle più disparate (e disperate) aree storico-ideologiche (per non dire che i “nazionalisti” si aggiunsero in fieri al progetto), e se oggi i revivalisti non sentono a sé più di tanto la sofferenza di questa schizofrenia di pensiero, ciò è dovuto – anche per loro – in ragione di una accettazione quasi fideista di un credo basato su una interpretazione personalistica e autoescludente dei principi di “ordine e disciplina”, raggiungibili poi – come ipotetica prospettiva governativa – per mezzo della violenza verbale e non solo. Che il PD sia un partito al cui interno brulichino parecchi loschi figuri (tantissimi) è cosa scontata, logica! Dobbiamo finirla di pensare (o perlomeno moderare il ragionamento) che le mafie fondino partiti, esse più materialmente si agganciano a quelli più popolari, i partiti di massa come si diceva una volta. Si servono dei partiti-contenitore, è una cosa logica, perché dove ci sono più pesci si pesca meglio. Sono, o dovrebbero essere, gli Statisti a riuscire nell’intento di reggere la mano sul timone e allo stesso tempo tenere a bada la ciurma, talvolta anche gettando qualcuno di essi fuori dalla barca. Se Renzi sarà in grado di farlo lo vedremo, su questo sono abbastanza fiducioso. Ciò che invece non mi riesce per nulla di ipotizzare a breve è che Renzi abbia intenzione reale di “cambiare le regole del gioco”, nel senso espresso poche righe più su, e di supportare una crescita di pensiero che possa risultare realmente alternativa all’idea del profitto a tutti i costi.
Occorrerà forse organizzarsi sin dal livello sussidiariamente più vicino, ma occorrerà farlo seguendo le già espresse direttive di “buona navigazione”. È probabile che stia declinando la possibilità di un cambiamento in base alle mie preferenze e preconvenzioni ideologiche sinistroidi, ed è plausibile che una reale alternativa al pensiero liberale possa essere intrapresa dai liberisti stessi (in meglio o in peggio), ciò che resta fondamentale è l’esigenza di “progresso” ideologico, teorico, dalla base pur validissima (perlomeno in partenza) del pensiero liberale, su cui comodamente da qualche secolo andiamo decadendo con estenuante lentezza.
Gaetano Celestre
Giovanni Padua
Mi chiedo solo quali siano, per te, i pregi del pensiero liberale. Precisamente, tenendo conto della nostra tradizione politica, quali sono i punti di forza del pensiero liberale italiano?
Quando cerco la parola “Liberalismo” nella mia mente, la ritrovo accompagnata da loschi figuri: “Liberismo”, “Globalizzazione” e “Democrazia rappresentativa”. Quando penso al concetto di “Pensiero liberale italiano” lo ritrovo avvinghiato ,in uno struggente abbraccio, con un altro concetto: “Cattolicesimo”.
Sono d’accordo con te, quando parli di una Sinistra che deve ripensare se stessa, ma cambierei il soggetto della frase: è la Democrazia liberale che deve riflettere sulla sua struttura interna. La dicotomia Destra-Sinistra è intrinseca al concetto moderno di democrazia e nel panorama globale, i paesi filo-atlantisti l’hanno superata creando una grande minestra che non sa di nulla e che legittima il grigio potere dei Mercati; in Italia, con Renzi, si vuole percorrere questa strada: i Totem ideologici sono stati abbattuti metodicamente per permettere il consolidamento dei poteri economico-politico del Capitale e dei suoi servi. L’egemonia del Capitale si è consolidata negli anni 80 e con esso si è rafforzato quello che tu chiami “Produttivismo” ma che, erroneamente a mio parere, liquidi come una sorta di smania ottocentesca da superare. Il produttivismo e l’utilitarismo sociale è un fattore che assume la sua forma perfetta proprio nei nostri anni ed è a causa di questo fattore che il mondo e gli stati si sono trasformati in grandi fabbriche al cui interno deve essere valutata l’efficienza dei suoi “operai”, è all’interno di queste logiche che l’uomo è stato trasfigurato in una merce/macchina proprio come aveva profetizzato un poveraccio di Treviri. Ora la questione è la seguente: abbiamo tutti gli elementi per dire che il sistema partitico non ha più ragione di esistere, non viviamo più in una società di massa ma in una realtà monocromatica dove decidono le merci e il pensiero unidimensionale/crematistico dell’economia e alla crisi del concetto di Rappresentanza (vista come un ostacolo al cambiamento) si unisce la crisi e il fallimento di democrazia liquida propugnato dai Movimenti; ti chiedo, non è proprio il concetto liberale di democrazia il vero problema del nostro tempo?
Gaetano Celestre
Carissimo, ragioniamoci su – per quanto possibile – nella maniera più positivistica. Mi pare di ricordare che sei universitario, non so cosa studi, se fosse “filosofia” o qualcosa di simile, dovrei bacchettarti metaforicamente e con simpatia, si intende. 😉 Noi, postpostilliministi, uomini della tecné, non dobbiamo cercare i pregi o i difetti delle ideologie superate o in corso di superamento, al fine di stabilire se occorre deprecare un “pensiero” formatosi in altro contesto (finiremmo come nel film “non ci resta che piangere”, a fare elenchi di buoni per capire se è il caso di scoprire l’America) Cercare poi di darne una lettura morale è roba da Repubblica platonica, da nuovi De Maistre, da conservatori. La valutazione dei pregi e dei difetti va fatta con serenità d’animo, poiché anche tra le peggiori ideologie può esservi qualcosa di interessante (il nazzismo promosse l’ecosostenibilità estetica). Purtroppo, in questo mio articolo, non ho voluto avanzare idee, non ne ho, sono piuttosto stupido, se mi metto pure a spargere idee siamo rovinati, ma ho fatto la mera e sbrigativa rappresentazione della storia evolutiva del pensiero liberale (molto, ovviamente, è tra le righe. Essendo nozioni risapute non volevo dilungarmi e giungere subito alla domanda finale). Per cui, ti ripeto, la dicotomia che tu presenti tra destra e sinistra è fondamentalmente falsa, e non si appiattisce nei modi come tu scrivi (quella è conseguenza), ma innanzitutto nello scopo (produzione). Era inevitabile, così avrebbe concluso anche il grande poveraccio di Treviri se avesse avuto possibilità di continuare a ragionarci su seguendo il suo metodo. Aggiungo alcuni elementi valutativi personali: io penso che i sistemi non crollino ma decadano lentamente e già in questo momento ci muoviamo verso qualcosa di diverso e nuovo (chiedo solo alla Sinistra di studiare cosa sia e di tradurlo in chiave mutualista e neosocialista, prima che gli individualisti lo accorpino ai conservatorismi), dunque ritengo anche che abbiamo bisogno più che mai dei Partiti. Su tale ultima mia affermazione puoi anche contraddirmi, è di carattere personale, opinionismo. Su quasi tutto il resto, con simpatia, ti dico che sbaglieresti, non comprendendo che noi siamo figli del pensiero liberale, piaccia o meno. I totalitarismi, la TV, Borges (il quale mirabilmente riusciva ad essere conservatore e progressista allo stesso tempo), Umberto Eco e Celine, Sciascia, Napolitano e Renzi, Loris e la sua povera madre, tutto questo è pensiero liberale (siamo finiti a fare elenchi di buoni e cattivi, visto?). Vale la pena scomodare una valutazione morale dei fatti quando essi sono fatti? Lasciamo queste pratiche ai talk show e cerchiamo di andare avanti verso l’interpretazione del progresso che ci attende ed è sempre più passato. Dimenticavo: “liberale” è una bellissima parola, e nel significato ben diversa da “liberista”. Occhio…
Giovanni Padua
Ricordi bene, studio Filosofia ma cercherò di dimostrarti che la mia posizione critica nei confronti del pensiero Liberale non è frutto di una lettura moralistica o di una svista, bensì una presa di posizione ben definita. Rispondo partendo dalla fine del tuo commento.
Lungi da me la valutazione morale dei fatti, se ho fatto Filosofia lo devo ad un pensatore come Nietzsche, quindi dal mio punto di vista, dalla mia prospettiva, stiamo parlando non di fatti ma di interpretazioni dei fatti. Partendo da questo assunto, il mio giudizio nei confronti del pensiero Liberale è complementare al tuo; inoltre non intendevo inglobare il liberismo economico nel Liberalismo ma precisare che i vari liberismi ( nei quali possiamo ritrovare teorie dello Stato minimo) sono stati possibili solo ed esclusivamente in virtù della teoria Liberale e del suo concetto (parziale) di Libertà. Ora ragionando serenamente è ovvio che le principali conquiste del pensiero Liberale debbano essere un punto di partenza per una nuova riflessione teorica (Nessuno oggi sarebbe disposto a rifiutare i propri diritti di uomo) ma sono pure convinto che il tema principale di questa nuova riflessione teorica, fondativa, debba essere proprio un nuovo concetto di Uomo e un nuovo concetto di Mondo. Riflettendo su questi due concetti possiamo giungere a ridefinire l’idea di Progresso, slegandola dal linguaggio economico e riportandola sul piano culturale e politico: per fare questo dobbiamo da una parte farla finita con logiche individualistiche e imprenditoriali, dall’altra ragionare su un nuovo modello di sviluppo e quindi di produzione tenendo conto che la cattiva globalizzazione ha comunque prodotto buoni strumenti di innovazione come il Web e le nuove tecnologie che in un certo senso hanno già rivoluzionato, in potenza, il mondo del lavoro e della produzione.
Riguardo i tuoi “elementi valutativi personali” ti dico che sono d’accordo: da un punto di vista generale, I sistemi non crollano bensì si trasformano in qualcosa d’altro ma da un punto di vista particolare, i soggetti all’interno di quel dato Sistema percepiscono questa trasformazione come un momento di crollo strutturale e di fine della Storia. Come dici tu, è su questo punto di rottura che la Politica deve ragionare, in maniera molto realistica (seguendo la corrente del realismo politico, che peraltro era comune sia a Machiavelli che al Platone della Repubblica) e senza cadere nel baratro dell’Istantismo. Di sicuro il nostro è un momento di cambiamento e dobbiamo decidere se lasciarci trascinare dal corso degli eventi oppure scegliere di trainare con un duro lavoro teorico-pratico questo cambiamento in modo da ammortizzarne le conseguenze.
Sul ruolo dei partiti, è vero, abbiamo posizioni diverse soprattutto sei Partiti «tradizionali». Per quando abbia sempre avuto delle posizioni critiche riguardo al movimento cinque stelle devo dire che hanno anticipato o comunque cavalcato una nuova concezione della politica che non sia più scenario di lotta di gruppi partitici ma palcoscenico di interessi comuni a tutti i cittadini. Hai detto un’altra cosa su cui concordo: Grillo non ha lavorato per migliorare la qualità della «materia» concentrandosi troppo sui numeri. Se in politica ci fossero più soggetti politici che, partendo dalle stesse premesse dei pentastellati, portassero delle qualità e delle eccellenze forse potrebbe vedere rinascere una gestione della Cosa pubblica che abbia come punto fisso quel concetto del «non-utile» che ti è tanto caro.
Ps: scusa se sono stato poco positivista in alcuni ragionamenti, ma tutta la fiducia nel progresso dell’umanità nun mi va molto a genio.
Giovanni Padua
Ricordi bene, studio Filosofia ma cercherò di dimostrarti che la mia posizione critica nei confronti del pensiero Liberale non è frutto di una lettura moralistica o di una svista, bensì una presa di posizione ben definita. Rispondo partendo dalla fine del tuo commento.
Lungi da me la valutazione morale dei fatti, se ho fatto Filosofia lo devo ad un pensatore come Nietzsche, quindi dal mio punto di vista, dalla mia prospettiva, stiamo parlando non di fatti ma di interpretazioni dei fatti. Partendo da questo assunto, il mio giudizio nei confronti del pensiero Liberale è complementare al tuo; inoltre non intendevo inglobare il liberismo economico nel Liberalismo ma precisare che i vari liberismi ( nei quali possiamo ritrovare teorie dello Stato minimo) sono stati possibili solo ed esclusivamente in virtù della teoria Liberale e del suo concetto (parziale) di Libertà. Ora ragionando serenamente è ovvio che le principali conquiste del pensiero Liberale debbano essere un punto di partenza per una nuova riflessione teorica (Nessuno oggi sarebbe disposto a rifiutare i propri diritti di uomo) ma sono pure convinto che il tema principale di questa nuova riflessione teorica, fondativa, debba essere proprio un nuovo concetto di Uomo e un nuovo concetto di Mondo. Riflettendo su questi due concetti possiamo giungere a ridefinire l’idea di Progresso, slegandola dal linguaggio economico e riportandola sul piano culturale e politico: per fare questo dobbiamo da una parte farla finita con logiche individualistiche e imprenditoriali, dall’altra ragionare su un nuovo modello di sviluppo e quindi di produzione tenendo conto che la cattiva globalizzazione ha comunque prodotto buoni strumenti di innovazione come il Web e le nuove tecnologie che in un certo senso hanno già rivoluzionato, in potenza, il mondo del lavoro e della produzione.
Riguardo i tuoi “elementi valutativi personali” ti dico che sono d’accordo: da un punto di vista generale, I sistemi non crollano bensì si trasformano in qualcosa d’altro ma da un punto di vista particolare, i soggetti all’interno di quel dato Sistema percepiscono questa trasformazione come un momento di crollo strutturale e di fine della Storia. Come dici tu, è su questo punto di rottura che la Politica deve ragionare, in maniera molto realistica (seguendo la corrente del realismo politico, che peraltro era comune sia a Machiavelli che al Platone della Repubblica) e senza cadere nel baratro dell’Istantismo. Di sicuro il nostro è un momento di cambiamento e dobbiamo decidere se lasciarci trascinare dal corso degli eventi oppure scegliere di trainare con un duro lavoro teorico-pratico questo cambiamento in modo da ammortizzarne le conseguenze.
Sul ruolo dei partiti, è vero, abbiamo posizioni diverse soprattutto sei Partiti «tradizionali». Per quando abbia sempre avuto delle posizioni critiche riguardo al movimento cinque stelle devo dire che hanno anticipato o comunque cavalcato una nuova concezione della politica che non sia più scenario di lotta di gruppi partitici ma palcoscenico di interessi comuni a tutti i cittadini anche se le competenze non possono essere livellate seguendo il principio liberale “Siamo tutti uguali”; dico questo perchè, a mio parere, una delle conquiste più importanti della Rivoluzione francese, il suffraggio universale, ha portato le persone a credere di avere di diritto voce in capitolo su tutto anche se nei fatti si dimostra che molti individui pretendono di decidere senza che abbiano avuto cura di crearsi una solida coscienza critica. Mi ricollego ad un’altra cosa che hai detto e su cui concordo: Grillo non ha lavorato per migliorare la qualità della «materia» concentrandosi troppo sui numeri. Se in politica ci fossero più soggetti politici che, partendo dalle stesse premesse dei pentastellati, portassero delle qualità e delle eccellenze forse potremmo vedere rinascere una gestione della Cosa pubblica che abbia come punto fisso quel concetto del «non-utile» che ti è tanto caro e che consideri più la Bellezza che l’utilità.
Ps: scusa se sono stato poco positivista in alcuni ragionamenti, ma tutta la fiducia nel progresso dell’umanità nun mi va molto a genio.