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Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da riteneresi puramente ideale e fondato su concezioni metafisiche.

Istantanea di una Individualità

Gatto, è un gatto!, non ha la lunga coda di una volpe, non è neanche una civetta, o un gufo. Ne ho visti di rapaci notturni, in quasi vent’anni di sali scendi su questa strada secondaria extraurbana, da monte a valle e viceversa per anni, dalla città al paese dove ancora mi costringo a vivere, malgrado tutto. Si appollaiano, talvolta, nel bel mezzo del battistrada e guardano verso qualche punto indefinito, fin quando non arrivo con l’auto quasi a ridosso, a velocità ridotta ovviamente. Poi, a corpo fermo, voltano il capo verso di me per qualche secondo – forse meno – prima di spiccare il volo. Altri chiamerebbero in causa l’inquietante. Ho letto Poe anch’io, ma non mi impressiono per così poco. Comunque, certe rare volte si è trattato di un istrice, più frequentemente di un mediocre canide bastardo, stavolta è proprio un gatto e me ne rendo conto mentre rallento e mi avvicino piano piano.

L’apparizione ha interrotto il flusso dei miei pensieri, stavo riflettendo sulle politiche di De Mita, per distrarre la coscienza da ciò che devo fare non appena giungerò a casa. Ma mi riesce davvero difficile non pensarci. Io so che è sbagliato diffamare un qualsiasi individuo. Il gatto però non si sposta e sono costretto quasi a piantare sul freno, malgrado viaggiassi già piuttosto lentamente sento il rinculo. Rilascio il pedale, perché c’è ancora un tratto di strada che non avevo ben considerato, rispetto all’esserino. Ripenso per un attimo al tizio, devo farne un mostro per l’opinione pubblica, anche se esso non lo è, di fatto, e lo riconosco anch’io. Già, è buon padre di famiglia, lo sanno tutti. È sbagliato il mio comportamento? Lui però se lo merita, per tanti motivi, tra cui quello essenziale che si è comportato male con me e ha provato a farmi le scarpe, come si suol dire, in nome dell’etica bla bla bla bla. E poi è un cretino. Se lo merita, bando alla coscienza. Io non sono cattivo, mi costringe la vita. E poi dovrò pur sfogare anni di prese in giro, a Scuola, ma ancora oggi. Mi prendono in giro per qualunque cosa, persino perché non mi cresce la barba e faccio il riportino coi capelli. Adesso che posso sfruttare la mia posizione non mi fermerò facilmente. È il mio lavoro, d’altro canto, sono un imprenditore di successo, non posso tentennare sui dubbi, anche se forse a fine mese devo chiudere qualche attività se non voglio rischiare nuovamente il fallimento. Voglio vedere chi avrebbe mai avuto il coraggio di fare quello che ho fatto, di costruire quello che ho costruito. Comunque, appena torno a casa contatto qualche pezzo di merda del giornalismo locale e gli faccio fare un bel servizietto al tizio che gioca a fare il politico onesto. In fondo, oggi non ha importanza fallire, l’impresa deve essere avviata. È solo in quella fase che si vede il vero uomo.

Il gatto però non si sposta. Meglio rallentare ancora di più, non si sa mai in una stradina di campagna. E poi non vorrei iniziare oggi la mia carriera di gatticida. Non ho mai ucciso un gatto in trent’anni di patente. Una volta venne a schiantarsi sul parafango un gazza, anzi a esser precisi s’infilò col becco e parte del corpo piumato nel foro di una delle prese d’aria anteriori del mio veicolo d’allora. Qualche chilometro dopo mi fermai, in parte insospettito dai segnali con gli abbaglianti di quelli sull’altra corsia. Pensai ai carabinieri, ma non incrociai alcun posto di blocco e i segnali continuarono per un po’. C’erano le zampe (?), si chiamano zampe quelle degli uccelli?, che spuntavano come due stecchi di ghiacciolo dal parafango. E poi tanti insetti, ma mai gatti e nemmeno cani, per fortuna. Si rischia di lasciarci il radiatore con bestie troppo grosse. Povere bestie, in fondo, che ne sapevano loro dei progressi che avremmo fatto dall’invenzione della ruota al copertone gommato. In ogni caso, il tizio che devo distruggere, a malincuore o meno che sia, non è neanche il primo e dunque non comprendo perché mi sto facendo tutti questi problemi etici. Etica e Politica, ricordo un saggio di Bobbio che mi fecero studiare per un master nell’ambito del marketing per il turismo, ma nel suo caratteristico modo di procedere il saggio pensatore non mi rese mai chiaro che valutazione ne traesse. Era dalla parte di Machiavelli o stava con Kant? E poi che c’entrava Bobbio col Turismo? Che me ne frega, ormai. Quegli studi non sono serviti a nulla, ho dovuto farmi una famiglia e conseguentemente divorziare sulle basi della mia intraprendenza, e non sulle cose che mi rimangono di quegli inutili libri. È uno sfogo, ovviamente, anche se la laurea, i master e tutti quegli stage all’estero, non mi sono serviti a nulla, in estate mi piace ancora leggere. Mi piacciono le cose che fanno commuovere, tipo Gramellini, ma anche Saviano mi piace, che è di inchiesta.

Il gatto è fermo e sembra quasi che mi fissi. Non mi sono mai stati simpatici i felini, da quando uno di essi mi graffiò senza motivo all’età di cinque anni. Ma sì, mi sta proprio osservando. È assurdo, ma è così. Spengo il motore (di conseguenza i fari in autonomia meccanica lo fanno da sé), apro la portiera e scendo dall’auto. La luce lunare rischiara il paesaggio. Non mi è mai fregato granché dei paesaggi, non ho avuto gran tempo, in realtà, per interessarmene. Il micio è mielato, con striature della stessa tonalità ma più scure, e mi guarda con serietà. Anzi, la parola giusta è severità. D’un tratto lo vedo muoversi verso il muro a secco quasi del tutto dirupato sul ciglio della strada. Si intrufola nel mezzo di un fitto cespuglio erboso che in parte forma parete unica con un basso ramo frondoso di un tortuoso carrubo, non prima di avermi lanciato un’ultima penetrante occhiata. Temo che dovrò andargli dietro per forza. Non so neanche perché. Mi immetto in questa fitta vegetazione e mi ritrovo immediatamente nell’oscurità più completa, qui non filtrano i raggi della luna. Come se mi trovassi in una caverna. Sento pungermi da per tutto, spinosi rovi mi strappano brandelli di pelle. Forse non sarei mai dovuto entrare qui dentro, ma ormai è troppo tardi. Per fortuna è più doloroso a pensarsi che a viverlo. Chiudo gli occhi per non accecarmi. Finalmente dopo qualche attimo – sicuramente meno di un minuto sarà durato questo mio attraversamento – sento di essere nuovamente all’aria aperta e mi sento sicuro di poter aprire gli occhi. Una normalissima campagna. Un casolare a circa trecento metri, sembra diroccato. L’erba è bassa. Sicuramente a causa del passaggio di pecore o vacche. Spunta qua e là qualche asfodelo, non ne avevo mai visti prima se non nelle foto dei libri di università. Del gatto non c’è traccia. Mi guardo attorno, non vedo niente. Piuttosto mi sembra di udire un lamento flebile. Qualcuno avrà bisogno di aiuto. Sembra una voce umana. Chi è?, comincio a gridare. Dopo qualche reiterata mia richiesta l’invocazione arriva più distinta: “sono qua!”. E proviene dal casolare abbandonato. È senza tetto e le mura sono in parte rovinate. Mi avvicino con passo spedito, ma poi con cautela entro attraverso l’uscio. Un lungo corridoio tinto di un antico blu tendente al viola, ormai sbiadito e in larga parte crepato. A metà corridoio c’è una nicchia con dipinta una colomba. Doveva esserci qualche santo o qualche madonna, in tempi passati. Subito sulla sinistra si apre un altro ambiente ed è lì che scorgo una figura umana, nuda, in posizione fetale. È un uomo, molto peloso e in sovrappeso da sembrare un maiale, un cinghiale. Non ne scorgo subito il volto. Chiedo se serve aiuto. Mi risponde, sempre a volto celato, che ormai è troppo tardi. Infine si mostra. È padre Mollone, parroco di Santa Ninfa. Mi meraviglio e mi sorprendo. Cosa ci fa qui? Mio figlio va al catechismo da lui. Non so perché ma penso quasi subito che sia un depravato, forse un pedofilo. Ma esso chiarisce subito, senza che io faccia domanda: “Sono nudo perché mi hanno rapinato.” Gli chiedo se gli hanno fatto del male, cerco il cellulare in tasca, ma non lo trovo, per chiamare aiuto. Egli mi ferma: “Non c’è bisogno. Mi hanno solo derubato e spogliato ma non mi hanno fatto nulla. Solo che poi dopo che se ne sono andati che io sono rimasto da solo poi mi hanno cominciato a far male i testicoli, così, all’improvviso.” Io penso che gli facciano male perché i sacerdoti non sfogano le loro pulsioni sessuali, oppure quando lo fanno arrecano danno al prossimo, ma non glielo dico. Egli continua a parlare: “Per favore figliolo, lasciami e vattene, ma non ci dire niente ai parrocchiani di questa mia disavventura che mi è capitata.” Io insisto per aiutarlo, anche perché mi ha chiamato lui poco prima, ma non sente ragioni e in un pessimo italiano mi dice che se ne faccio parola a qualcuno sarò dannato per l’eternità. Gli rispondo che non sono un appassionato di teologia ma che mi rendo conto benissimo da solo che non sarebbe un peccato il mio parlare dell’accaduto. Lui prende a discorrere della confessione e del valore del “silenzio”, e io ribatto che non confesso io, ma lui. E poi, questa non è e non può essere considerata una confessione. Intanto dai suoi lamenti mi rendo conto che il dolore deve essergli aumentato. Lo abbandono al suo dolore, non vuole aiuto, né io posso pretenderne da lui. Figuriamoci, i preti non sono più d’aiuto a nessuno, men che meno potrebbe esserlo un prete in queste condizioni.

Esco fuori a cercare il gatto, ma non lo trovo. Poco fa, mentre seguivo ancora il gatto, a occhi chiusi, pensavo ancora al mio nuovo nemico del mondo della politica. La politica ormai fa schifo ovunque, proprio qui doveva capitarmi il “santo” e poi proprio a me doveva capitarmi davanti? E, ancora, proprio a me che sarei potuto essere un suo sostenitore. Io sono uno che ci tiene alla rettitudine morale. E mi era montata una rabbia che non mi aspettavo. Pensavo a come rovinargli la carriera, non solo quella politica. E conosco anche l’individuo giusto che poteva essermi utile nell’operazione di diffamazione. Perché sono arrivato a tanto? E soprattutto perché penso che adesso non me ne importi più granché? Sarei potuto essere un uomo migliore se solo mi fossi disinteressato un po’ di più del mio prossimo, e anche di me stesso come uomo? Sarei potuto andare a mare una volta in più, o farmi un passeggiata piuttosto che pensare a come arricchire? Non è un libro di quelli che leggo in estate, non esistono uomini migliori, ma solo uomini. Uomini che si danno da fare. È andata così, ormai è troppo tardi, come diceva il prete. Sempre da guida fa la Chiesa. Mi fermo vicino a un albero, non so che sia, non ne capisco. Di sicuro non un carrubo, né un ulivo. Conosco solo queste due tipologie. Sento una stanchezza dentro che mi cresce a dismisura, immotivatamente e velocemente. Mi appoggio con il palmo della mia destra alla dura corteccia del tronco, insolitamente biancastra. È un albero secolare, sicuramente. Una specie di elettricità mi attraversa il corpo e abbraccio l’albero nella sua interezza, come fosse un’amante (mi chiedo allo stesso istante se ha ancora senso pensare all’apostrofo). Mi annullo con volontà nella dura scorza dell’albero, mutandomi in esso, e scompaio definitivamente alla vista degli eventuali uomini.

Gaetano Celestre