Da Ansa

(per info contattare il 338-8507630)

Ha migliorato la comunicazione di centinaia di aziende e professionisti attraverso servizi giornalistici calibrati. Dopo 17 anni nella rivista Platinum (inserto de Il Sole 24 Ore), Ilio Stella è da un triennio in Sì!4Web (la Digital Unit di PagineSi! S.p.A. l’azienda fondata da Sauro Pellerucci) come responsabile nazionale del servizio Si!Reputation. In questa intervista ci parla dell’identità nel mondo digitale: perché non va sottovalutata e quali sono le opportunità che nasconde.  

Ilio Stella, lei da anni si occupa di reputazione ed identità nel mondo digitale. La stupisce che alle soglie del 2020 molti facciano ancora fatica a capire cosa significhi?

«Non molto, perché anche se ormai tutti sono consapevoli che il web ha cambiato le cose, la trasformazione è accaduta così velocemente che non tutti hanno avuto modo di comprendere quello che davvero è successo. Si è generato un nuovo “pianeta”: accanto a quello fisico, ne è nato uno digitale e la nostra vita si è sdoppiata. Abbiamo acquisito una seconda cittadinanza, viviamo contemporaneamente in due mondi diversi ma profondamene interconnessi, l’uno influenza l’altro».




Perché parla di pianeta digitale? Non sarebbe più corretto chiamarlo virtuale?

«Può essere definito virtuale un mondo dove si fanno acquisti “fisici” per miliardi di euro? Un mondo dove miliardi di persone ogni giorno attingono informazioni per poi decidere cosa fare o acquistare nel mondo fisico? Penso proprio di no. Il web è diventato un luogo “reale”».

Molte aziende o professionisti che hanno un business tradizionale dove non si può prescindere da un contatto personale, credono di essere immuni alle nuove logiche del web. Cosa ne pensa?

«Sbagliano clamorosamente. Anche se l’attività non si svolge sul web, quest’ultimo la influenza profondamente. Prima di prendere qualunque decisione è diventato consuetudine prendere informazioni su internet, anche per scelte apparentemente scontate. Come vede, il servizio sarà pure rimasto “fisico”, ma niente e nessuno è “immune” alle informazioni presenti sul web».

Ecco perché lei parla così insistentemente di identità nel mondo digitale.

«Il suggerimento che mi sento di dare ad ogni persona (professionista o imprenditore che sia) è di verificare come appare agli occhi di chi lo cerca attraverso il web. La nostra identità viene generata dai risultati che propone Google digitando il nostro nome. È da quei risultati che il consultatore si fa un’opinione di noi.

Quindi il web da opportunità può trasformarsi in problema se non abbiamo una corretta identità digitale.

«Esatto. Una cattiva identità digitale può sminuire la nostra autorevolezza nel mondo fisico e questo penalizza pesantemente i risultati della nostra attività. Al contrario, chi sul web comunica in modo credibile la sua affidabilità e le sue competenze, magari proprio fornendo alle persone quelle informazioni che stanno cercando, si pone un passo avanti rispetto ai diretti concorrenti, perché viene percepito come l’esperto del settore o dell’argomento. Se poi lo fa “mettendoci la faccia” e attraverso testate giornalistiche, acquista autorevolezza e anche celebrità».

Che c’entra l’autorevolezza e la celebrità?

«Acquisire celebrità verso il proprio pubblico (clienti, potenziali clienti, o comunque portatori d’interesse), non rende più necessario il dover spiegare quanto siamo bravi in quello che facciamo. Mi spiego meglio con un esempio, lei andrebbe mai a chiedere a Giulia Bongiorno se è capace di seguire un processo penale? O a Ferruccio De Bortoli se è in grado di scrivere un buon articolo giornalistico?».

Ovviamente no. Ma loro sono personaggi famosi, non capisco la relazione con la vita quotidiana di un professionista.

«Ha ragione, le ho fatto due esempi di personaggi famosi al grande pubblico nei rispettivi settori con un’autorevolezza riconosciuta che li rende immediatamente – perdoni il gioco di parole – riconoscibili».

Appunto, però non tutte le persone possono essere famose come loro.

«Verissimo ma per la maggior parte di noi non è necessario diventare famosi verso tutti gli italiani. È sufficiente l’essere riconosciuti come delle “autorità” dalle persone collegate al nostro business. Questa è la grande opportunità che è nata grazie al mondo digitale. Oggi è possibile raggiungere con continuità ed in modo mirato il nostro pubblico con contenuti di valore».

Che tipo di contenuti?

«Sto parlando di interviste di taglio giornalistico fatte arrivare alle stesse persone. Articoli calibrati sulle competenze. Con il tempo agli occhi di queste persone appariamo come delle “autorevoli celebrità” che non hanno più bisogno di presentarsi».

Che vantaggio concreto si ottiene da questa visibilità?

«Il non doversi presentare crea autorevolezza. L’essere una persona che ci mette la faccia rassicura i propri interlocutori. L’essere percepiti come gli esperti dell’argomento ci differenzia e attrae il cliente migliore, quello che non sceglie solo in funzione il prezzo».

Riassumendo. Contenuti giornalistici da far arrivare al nostro attuale pubblico e nello stesso tempo far diventare patrimonio del web.  

«Esatto. Così si ottiene un doppio beneficio, uno immediato e in più si andrà a costruire la nostra identità digitale che ci darà altri benefici in futuro. Queste interviste, infatti, diventeranno delle nostre fedeli ambasciatrici che lavoreranno per noi ventiquattro ore su ventiquattro verso tutti quelli che ci individuano o ci cercano attraverso il web».




Certo, perché chi legge le interviste che abbiamo rilasciato avrà la conferma che siamo degli esperti.

«Esatto, prenda l’intervista che mi sta facendo: pensa che rispondendo alle sue domande non sia riuscito a dimostrare che su questo argomento ho un pò di competenze?».

Direi di sì, è riuscito a comunicarle.

«Adesso se questo testo si indicizza sul web, andrà ad arricchire la mia identità digitale».

E qui torniamo al concetto che affrontava in apertura: la cittadinanza sul web. Che consigli darebbe per valutare la dimensione e il peso della propria identità digitale?

«È un’ottima domanda perché distingue le cose. Un professionista può avere molti contenuti che parlano di sé, ma di taglio sbagliato. Ho sempre combattuto contro gli articoli spudoratamente pubblicitari che servono solo ad appagare l’ego personale. Credo nel contenuto di valore che fa informazione: è questo che dà autorevolezza all’intervistato e interessa il pubblico. Il mio suggerimento è questo: vai su Google, digita il tuo nome e cognome, guarda i risultati che vengono proposti con gli occhi di uno che ancora non ti conosce. Che idea ti faresti di te?».