famigliacompleto

Certo risulta strano, in tempi di ritrosia ai legami affettivi duraturi, quando la scelta coniugale più diffusa ha assunto le forme della mera convivenza tra due individui, che qualche partizione sociale si incaponisca nella richiesta – di natura giuridica – di nuove forme paramatriomoniali atipiche. La parvenza è quella di una polemica speciosa, poco utile in momenti di crisi endemica. In realtà le cose non stanno proprio così, e invece il tema è piuttosto interessante – era ora che si affrontasse! – per finalizzarlo in ogni caso a una soluzione culturale prima ancora che normativo-giuridica. Non credo sia proficuo intraprendere il ragionamento dal dato biologico, né tanto meno trincerarsi dietro la banale falsità che contraddistingue la percezione dell’incontro ad incastri uomo-donna come solo tramite propizio (o propedeutico) alla procreazione e conseguentemente unica forma di composizione duale sussumibile nella fattispecie matrimoniale. Sono convinto che qualunque cosa esista, esista in natura, per cui è naturale (anche nella forzatura). Sarà altrettanto naturale la produzione di figli con metodi alternativi al “vecchio collaudato sistema”, nei dovuti distinguo di piacevolezza sensoriale incidente alle diverse procedure ipotizzabili e intraprendibili.

L’assodato possibilismo non impedisce, in virtù degli ordinamenti diversi e della coscienza individuale, che si discuta invece dell’opportunità di optare per tali alternative o meno. Ciò che intendo suggerire è che qualora si dovesse dare per opzionabile, con solo discrimine della volontà individuale, qualunque decisione possibile, si finirebbe per giustificare a-priori persino l’eugenetica nazionalsocialista. La questione, di conseguenza andrebbe affrontata fuori dai numeri e dalle prove di forza, ma in serenità e ragionevolezza, magari seguendo l’iter storico dei significati che l’umanità ha dato alla forma di partizione sociale che usiamo chiamare famiglia. Questa è una realtà consociativa che prescinde eventualmente dagli elementi religiosi (gli elementi religiosi si innestano, semmai, sulle realtà familiari, e in maniera sempre diversa). Il matrimonio non ci riguarda, in quanto si configura nella mera forma giuridica strutturale e null’altro (anche la Chiesa Cattolica ha cominciato ad occuparsene realmente solo con la Controriforma). Se stiamo tentando la soluzione politica, si dovrà partire dall’etimo. I famuli, tra cui anche gli schiavi, erano coloro che abitavano la stessa casa (oikos in greco). Per quanto non sia un esperto, né uno storico, mi pare che la radice storica sia ben diversa da quella ebraica presso cui “familiarmente” usiamo far risiedere la presunta e fantasiosa origine presepiale della famiglia come nucleo consociativo in odore di sacralità. È possibile che la famiglia, in qualche modo così come intesa in tempi recenti, sia un’invenzione, magari anche piacevole e supportabile socialmente, in realtà discendente da post-interpretazioni influenzate dalla cultura ellenico-latina. Al di là della facile boutade sulla famiglia atipica di Gesù Cristo (si ricordi cosa risponde ai genitori adottivi preoccupati perché non lo trovavano: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”), si tenga presente che il nucleo sociale-familiare di tipo cristiano, perlomeno al suo esordio, si prefigurava più precisamente come micro-comunità allargata e non come oikos. Ebbene, si perdoni la ridondanza, ma l’intenzione sembra preludere una visione socialista, nel senso di volontà di allargare il sistema a tutto il mondo (cattolicesimo questo è, come evoluzione dalla visione cellulare), quindi ribadisco l’impressione che l’idea cristiana – quella originaria – di famiglia sia ben diversa dall’esclusivo oikos greco, così come è da non escludere un’evoluzione dell’aspirazione universalizzante tendente a parare ancora altrove. Ne deriva che potrebbe essere solo il nostro retaggio culturale classico ad indurci nella dogmatica credenza di una famiglia-oikos. E ciò prescinde dalla valutazione di merito che se ne voglia dare. Tuttavia, persino il sobrio Bertrand Russell mette in crisi la visione claustrofobica precristiana, cercando di delineare architetture sociali allargate (simili a quelle comunitariste di tipo paolino) dove i fanciulli sono affidati a donne competenti e preparate alla migliore educazione da impartire. E con questo ultimo cenno giungo alla delicata e scottante questione che riguarda l’eventuale figliolanza delle coppie unite civilmente (ma io allargherei a tutte le coppie i dubbi di cui tra qualche riga scriverò).

La Ragionevolezza è il giusto medio per qualunque tipo di adozione o affidamento possibile di fanciulli. Intendo dire che probabilmente sarebbe più giusto che lo Stato-Comunità si occupasse esclusivamente dei bambini privi di genitori, e solo come extrema ratio dovrebbe avviare il procedimento di concessione alternativa. Sarei, inoltre, personalmente più propenso ad affidare un bambino a singoli individui piuttosto che a una coppia (tutte le coppie di individui sono composizioni di dissidi potenziali), di qualunque genere sessuale e/o matrimoniale. Il formalismo giuridico forse può sorreggermi: individuerei prima le preclusioni (normazione in negativo), in funzione restrittiva, piuttosto che affermare possibili concessioni, e queste ultime residuali le renderei prevedibili solo in considerazione di un esame storico-clinico della maturità e del senso di responsabilità raggiunto dall’affidatario (sull’indagine della ragionevolezza di questo stesso). Sarei ostico riguardo l’affidamento di un bambino ad una coppia di individui che si atteggiano a donna (o a uomo) entrambi, quanto ad una coppia eterosessuale di disoccupati. Mi sono espresso male, probabilmente, quello che volevo dire è che il metro dovrebbe essere quello assolutamente restrittivo della ragionevolezza, per tutti. E su pochi casi sporadici di affidamento (e adozione) sarei persino disposto a sobbarcare la società del rischio di una eventuale scelta errata del magistrato (e del medico). Sono opinioni, ovviamente, e ognuno ha le sue. Non le proporrei mai in termini di certezza, chiaramente. Chi ce l’ha, questa chiarezza di visione, è bravo.

Ciò che mi genera un qualche sconforto invece è il modo in cui la discussione si sta svolgendo, nei media, nelle piazze, e in Parlamento. È altamente verosimile che al passante per strada (quello che non si sposa, ma convive, ossia il membro di una tendenziale maggioranza possibile, ad oggi) importi veramente poco delle coppie di fatto (che, lo ricordiamo, possono anche configurarsi nei termini dell’eterosessualità), a buona ragione o meno che avvenga. Per cui mi sorge il dubbio che se i nostri amministratori litigano per cose che interessano a pochi, insormontabili saranno quei valichi che impediscono una risoluzione decisa sui temi scottanti di lavoro e finanza (attendibilmente cose più serie per il passante). In realtà non è così, poiché lo studio delle soluzioni politiche a tutte le questioni sociali (e quella delle unioni civili è serissima), è sempre utile alla tendenziale ricerca di un nomos dell’oikos globale (Economia), funzionalmente alla lieta convivenza. Non si può fermare il progresso delle tecniche, siano pure quelle preordinabili per il miglior equilibrio sociale, non si può interrompere il flusso degli eventi dietro la dogmatica indiscutibilità (religiosa e laica), tuttavia temo non sarà semplice chiarirlo ai più, soprattutto agli ingovernabili governanti. Fischiamo per farci coraggio, nella piena oscurità.

Gaetano Celestre