Per capire la politica italiana, almeno quella dell’ultimo ventennio – ma non solo quella e soprattutto non solo la politica italiana – un buon punto di partenza può essere la visione del recente Django Unchained di Tarantino. Non volendo scrivere una recensione, darò per assodato che molti abbiano visto il film o che comunque non abbiano bisogno di vederlo per comprendere le mie puerili considerazioni.

Come scrive il critico cinematografico Umberto Mosca, nella sua ottima analisi pubblicata su L’Indice dei Libri del Mese di Marzo, “prima di essere un film decisamente colto, Django Unchained è un film scandalosamente politico”. Mosca si sofferma brevemente sulla possibilità di assimilazione tra gli schiavi di colore e quelli moderni – multicolore – sottoposti al duro rigore padronale delle Banche. In seguito all’uscita del film, ne è nata una contesa verbale tra Quentin Tarantino e Spike Lee. Il motivo del dissidio tra i registi è tutto da ricercare nella chiave ideologica della questione:
Django non è il “negro” qualunque! Lo era in partenza, quando ancora vagava nelle campagne americane incatenato con gli altri suoi simili, sino all’arrivo del cinico e colto “educatore” europeo. Da quel momento in poi l’uomo qualunque si eleva sopra la massa, ma solo per risolvere i suoi casi personali. Ed è proprio su questo che Spike Lee dissente fortemente. Occorre comprendere che l’ideologia di fondo del regista afroamericano è essenzialmente di tipo socialista, quanto meno quel tanto che basta ad uno statunitense per fargli preferire che sia il popolo – la massa – a sollevarsi contro i padroni, e non il superuomo.

Tali discussioni toccano da vicino la storia del nostro popolo, come in generale quella dei Paesi di area latina. Il culto dell’uomo forte, del duce, del “ghe pensi mi”, si è presentato nella forme più diverse, con le connotazioni più disparate, pur se con la stessa idea di fondo: la massa non sa risolvere i suoi casi, dunque occorre il superuomo che fondi su di sé il superstato a sua immagine e somiglianza. I rischi sono tanti, infinite le controindicazioni a questo sistema che vuol delegare potere ad altri perché pensi per tutti. Si va dalla degenerazione violenta, alla noncuranza in stile Django (ripeto, lui vuole solo recuperare sua moglie, non liberare un popolo; così come altri possono avere interesse a non andare in galera o ad avvantaggiare le proprie imprese economico-finanziarie, e non ad apportare benessere generale). Tutto ciò non può prescindere da un elemento essenziale, a background della cultura occidentale, un carattere rischiosissimo per la tenuta democratica del Sistema: la cattiva comprensione – anche inconsapevole – di Nietzsche ed Hegel, sempre alla finestra!

In Italia, volendo prendere ad esempio il solo spazio temporale che va dagli anni ’90 del secolo scorso sino ad oggi, vi è stato un ricambio di attori nella scena politica, in cui dei soggetti tecnicamente preparati – anche in misura elevata – sono stati sostituiti, perché giudicati corrotti, da nuovi soggetti altrettanto corruttibili (questo è l’animo umano), soltanto meno preparati tecnicamente. Il fatto è del tutto conseguente alla volontà di portare alla ribalta, forse anche con buone intenzioni, dei politici meno furbi. Il tutto è stato in parte causato dalla sbagliata analogia che si è imposta più o meno in questi termini: tecnicismo burocratico e filosofico = imbroglio. Si ricordino gli anatemi contro la Politica, da parte dell’antipolitica di venti anni fa circa. Eliminate dunque dalle credenziali personali, le qualità “tecnico-politiche”, il requisito richiesto per poter “scendere” in politica, è divenuto essenzialmente il valore “economico”.
Il cittadino elettore ha senz’altro gradito il cambio, trascinato dall’onda emotiva che lo portava ad assimilarsi al politico nuovo che da quel momento gli si poneva di fronte: “è cretinu comu a mia, sulu ca iddu c’havi i sordi!”.

Ma la “discesa” della (e non “in”) politica non si è fermata qui. Oggi, secondo alcuni analisti, con l’avvento di una nuova forma di antipolitica (leggi “grillismo”), il livello “tecnico-politico” si è abbassato ulteriormente, sino all’appiattimento consistente nella omologante “normalità”. Devo in effetti ammettere che l’ipotesi non è lontana dalla realtà, per quanto necessiterebbe di talune specificazioni. Tuttavia, fiduciosamente, io credo che i presupposti generali siano già così diversi, rispetto quelli di un ventennio fa, da rendere infondata la preoccupazione. A regolare la massa informe di uomini “normali” non vi è più un soggetto “normale ma economicamente superdotato”, né mi sembra ravvisabile all’orizzonte un revivalismo fascistoide, per una mera carenza muscolare e ideologica.

Nei giorni scorsi leggevo delle strambe analogie conducenti a sillogismi di una certa sconfortante spassosità, riguardo un certo fascismo latente e presunto del Movimento 5 Stelle. Se Grillo è come Hitler perché vuole spazzar via tutti i partiti, io sono come Stevenson perché scrivo romanzi? La smetteremo, prima o poi, di estrapolare frasi dal discorso, come dal contesto? Ma forse il problema è che non abbiamo più pazienza, adoriamo brevi slogan diretti. E poi, al resto, alle lungaggini che ci pensino gli altri.

Dicevo, Grillo non ha un potere economico di portate condizionanti, ma solo una più che discreta capacità comunicativa (per quanto riguarda le facoltà mediatiche, credo che altri siano più avvantaggiati). Il suo ruolo (come quello di Casaleggio), in parte e sino ad ora, è stato quello di una semplice segreteria generale. E non mi si venga a dire che le Segreterie dei Partiti sono state meno dittatoriali, anche in tempi recenti. Ho visto frotte di mangiapreti andare a braccetto con alti prelati, dall’avvento di Prodi in poi.

Il fatto è un altro, il sistema di reclutamento adottato dall’antipolitica ha funzionato piuttosto bene sino ad ora, in una fase che possiamo definire destruens. Ma adesso occorrerà elevare il livello “tecnico-politico” di questi “cittadini normali” che hanno scelto di salire sull’agone politico. Altrimenti il rischio è che in ogni momento possa venire fuori un finto-Django qualsiasi, più influente nelle facoltà di comando o più preparato – perdonatami l’ennesima ripetizione – tecnicamente, in senso politico. E mi pare di poter leggere in tal senso le recenti difficoltà di Grillo, sul tema delle alleanze con gli altri partiti, perlomeno nei confronti di una fazione djanghista della base M5S. Forse è tutta lì la difficoltà nel serrar bene le fila, e si ha come la sensazione che qualcuno, senza neanche accorgersene, si voglia lasciar affascinare dai canti – per così dire – responsabilizzanti delle più suadenti e spregiudicate sirene, insediate da un bel pezzo tra gli scogli parlamentari. Queste sono le conseguenze di una mancata formazione politica, adeguatamente predisposta.

Parliamoci chiaro, Django è un personaggio “positivo”, ma noi sappiamo bene che il superuomo di solito non lo è, o non lo è del tutto. L’antipolitica ancora una volta è diventata parte integrante della Politica (lo è sempre stata, a dire il vero. Per non scadere negli errori del passato, deve inderogabilmente abilitarsi all’innalzamento dell’uomo qualunque, un innalzamento che nella migliore delle prospettive deve condurre ben oltre la visione liberista di Django. In poche parole, adesso si deve fare Politica e Formazione Politica!

 

Gaetano Celestre