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Riportiamo di seguito le lettere di dimissioni dal club UNESCO di Scicli, da parte del Presidente Gaetano Celestre e del Segretario Guglielmo Pacetto.

Lettera di dimmisioni da Presidente del Club UNESCO di Scicli da parte di Gaetano Celestre

gaetano celestreScicli, 21-1-2016
All’attenzione dei soci del Club UNESCO di Scicli, del Direttivo, e della Dirigenza FICLU.
Carissimi,
sono costretto ad esternarvi il mio cruccio, e il rammarico che ne deriva, essendo mutati progressivamente i presupposti al mio impegno associazionistico, per come questi mi hanno a suo tempo consentito di accettare la candidatura e successivamente la carica di Presidente del Club UNESCO di Scicli; risultato delle scorse burrascose elezioni interne, di circoscrizione, come voi tutti ben ricorderete. Il gruppo di amici presso cui si era costituita un’alternativa idea progettuale riguardo l’operatività del Club (e ammetto che forse si è sempre un po’ presuntuosi, quando autonomamente si ritiene alternativo il proprio operato), si è andato sfaldando materialmente nel corso dei mesi che si sono ab origine susseguiti dopo il momento elettorale su menzionato. Le ragioni delle defezioni (tacite o espresse) sono da rinvenire, nel caso di taluni, innanzitutto nell’esigenza primaria, in capo ai medesimi, di procurarsi i mezzi utili alla sussistenza quotidiana. Non mi sento di censurare tali scelte, dacché il periodo e le circostanze infelici, dal punto di vista lavorativo ed economico, sono realmente manifeste nella loro gravità, checché i governi abbiano a dirne tramite i loro bei giornali. Debbo tuttavia aggiungere qualcosa d’altro, oltre la mia personale difficoltà, che per dovere di cronaca è da segnalare come la dubbiosa fatica di chi è rimasto solo: ad essere intervenuta, nel corso dei mesi, quale cagione ulteriore di una mia montante disaffezione – ormai ben chiara ai più, del resto – è la scarsa idealità raggiunta nell’attività del Direttivo, la mancanza assoluta di partecipazione degli altri iscritti (i soci esterni al direttivo), che dunque sono da considerare (postume) mere risorse economiche cui attingere per il tesseramento annuale. Non posso che assumermi la responsabilità di non essere stato in grado di coinvolgere il resto degli associati. Non posso lamentare neanche dei contrasti dialettici sui progetti da realizzare e sulle eventualità future, cosa questa che avrei assunto persino con favore. Posso in realtà constatare solo l’assenza di voci, di ogni tipo.

È tempo di ripensarci, rifondarci, non come enti soggetti all’immanente, non come proprietari del circostante naturale, ma come uomini che compartecipano al tutto cosmico. Forse nella moderazione, alle pretese di profitto e allo sfruttamento delle risorse, occorre cercare la svolta rivoluzionaria che da tempo attende la nostra civiltà. Scicli, come appendice micro-capillare di un sistema complessivo, e in una finzionistica ma virtuosa visione delimitante, deve farsi carico di tale svolta, ritornando alla sua tradizione, se vogliamo rurale e contadina. D’altro canto occorre ritornare alle radici solo per progredire, avvalorando e rafforzando l’azione riformista di quei contenuti che chiamiamo “valori fondativi”, rintracciabili nella nozione storica che riguarda la città, ossia negli elementi strutturali e in quelli sovrastrutturali. Se è vero che siamo ciò che mangiamo, occorre per forza di cose imporsi una dieta nuova, e magari indagare l’origine delle disfunzioni – se è pacifico per tutti che viviamo una società della crisi – individuando il momento in cui è cominciata l’esagerazione, come origine presumibile e desumibile dei malfunzionamenti. L’esempio da cui voglio far partire una breve disamina, di quello che per me doveva essere l’operato del Club UNESCO di Scicli, riguarda il rapporto del cittadino con l’ambiente e il paesaggio.
Scicli, orograficamente beneficiata da condizioni invidiabili, per piacevolezza dell’aspetto ambientale, e operata la dovuta distinzione esclusiva di tutte quelle brutture figlie dell’urbanizzazione selvaggia avviatasi sin dagli anni ’70 del secolo scorso, si trova ad essere situata nel punto d’abbrivio di un antico percorso rurale di collegamento alla via Francigena di Sicilia. Per la precisione, partendo dall’antico porto medievale (Marsa Shiklah), e risalendo gli iblei attraversando Scicli, Modica e Ragusa, e infine Vizzini, il pellegrino sin da epoca normanna si immetteva in quella che era denominata via Fabaria (da Favara). Si trattava, a suo tempo, di un insieme di reti viarie, tra minori di collegamento, e vere e proprie arterie di origine romana, che tangendo i centri abitati più grossi e i porti più rilevanti dell’isola, culminava a Messina, vero punto nodale per gli imbarchi propedeutici ai pellegrinaggi, in direzione di Roma, Santiago di Compostela e Gerusalemme (da cui, avendo questa rete viaria la stessa funzione di quella che da Roma conduce ai Pirenei, in Sicilia fu mutuato lo stesso nome di “francigena”). Oggi, in tempi di riscoperta laica di questi percorsi rurali (e recentemente in tal senso tanti fondi di provenienza comunitaria sono stati profusi da Roma in su), in funzione di un benessere spirituale e corporale dell’uomo, compagnie di camminatori attraversano ancora la Trinacria in lungo e in largo, cercando di individuare ove possibile il solco originario, o adattandosi come conviene a consentire il camminamento.

È indubbio che una maggiore attenzione delle amministrazioni pubbliche risulterebbe utile, e dal punto di vista motivazionale anche le associazione potrebbero impegnarsi di più nella promozione di questo modello opzionale di vita, trascendendo nel dovuto le esigenze meramente “turistiche” e/o economiche. Poiché molti sono i segnali lasciati nel corso dei secoli, in tutta l’ampiezza del territorio che ci riguarda, dal Convento della Croce (fondato dai francescani di ritorno da Gerusalemme), alla chiesetta trecentesca di San Giacomo alle porte di Modica bassa (presso cui svetta ancora, presumibilmente, una croce dell’Ordine del Tempio), per non dire della toponomastica (ricorrente infatti è l’affidamento al “buon cammino”, dal greco odigitria e quindi itria. A Ragusa è rinvenibile una chiesa-hospitale dedicata alla Madonna dell’itria), e infine segnalando la vicinanza di questi simboli alle bellissime aree verdi di pertinenza forestale (Cava Maria, Mangiagesso e la Pineta di Sampieri, perlomeno per ciò che riguarda strettamente il territorio sciclitano), vien da pensare che la naturale visione d’insieme debba per forza di cose condurre alla valorizzazione del tracciato sommariamente delineato. Ancora, tocca rilevare che un insieme di percorsi rurali, ben segnati e promossi, potrebbero favorire un tipo di agricoltura pre-(o post)serricola (orticolture e arboricolture tradizionali, ad esempio), la quale deve essere attivata quanto prima, nel quadro delle nuove tecnologie (e su questo deve allacciarsi un rilancio dell’artigianato locale), per il bene di tutto il comparto, e di quelli collegati (zootecnico in primis). Va detto e precisato una volta per tutte che il settore primario è la reale vocazione del territorio.

Tutto ciò deve essere intrapreso, quale incarico dell’associazione culturale-tipo, in un solo possibile ordine di idee, ossia infine con l’obbiettivo di incidere nelle scelte politiche (nel senso più elevato) e culturali di un popolo, perché gli spazi verdi siano sempre fruibili gratuitamente da ogni cittadino. Ed è in conseguenza auspicabile che misure proporzionalmente affini vadano adottate entro la cinta urbana. Con tale intento il Club UNESCO deve sentirsi in dovere di pensare a una proposta di godimento futuro del Parco di San Matteo da parte della collettività. Il quale “Parco” – è ovvio! – deve essere assolutamente integrato nei percorsi viari già delineati, in qualità di spazio monumentale-storico-paesaggistico libero e aperto a tutti. La cultura non può che essere avulsa da ogni tipo di escatologia speculativa. Il cittadino deve essere educato alla cultura del bene comune, per il tramite degli indirizzi ideologici istituzionali, ma deve poterlo fare anche da sé, in completa libertà, senza dover sottostare in ogni caso al pagamento di alcun ticket. Questa deve essere l’aspirazione costituzionale del buon amministratore, ma anche l’aspettativa sociale e civile di ognuno di noi, come cittadino, in veste di socio di un consesso civico ancora – purtroppo – in deficit identitario.

Dunque alla stessa stregua gli altri siti culturali dovrebbero tornare alla libera e gratuita fruizione pubblica, e l’intervento del privato imprenditore deve essere consentito solo nella misura marginale del servizio aggiuntivo (il c.d. surplus da addebitare a chi se lo può permettere come costo. Ad es. il servizio di guida, o quello di navetta…). Il paesaggio e la cultura non sono un brand, ma il contesto presso cui agiamo e viviamo la quotidianità, anzi non solo una circostanza ma soprattutto la nostra stessa totalizzante dimensione estetica esterna al corpo individuale, lo specchio delle nostre decisioni interiori. Nulla è da considerarsi rientrante nel novero della perfezione, né potrà mai esserlo sul pianeta terra, tanto meno per tutto quel che consegue l’agire umano, ma se non si aspira in ogni momento al miglioramento (una sana tendenza alla perfettibilità), la civiltà decade vertiginosamente sino a barbarie. Scicli è bella, si dice. In realtà forse lo era. In ogni caso, se lo è, o lo è stata, consentendo la lietezza del vivere alle generazioni passate, ciò non giustifica un rallentamento nell’opera di accrescimento continuo della bellezza medesima. Lo sforzo del buon socio-cittadino non può prescindere dalla assoluta pretesa di gratuità della convivenza in rapporto diretto alla stessa gradevolezza. No, la bellezza non salverà nessuno, non lo ha mai fatto, rassegniamoci alla caducità delle cose e quindi indirizziamoci al miglioramento della convivialità. Convinciamocene! Il rispetto reciproco, il senso di responsabilità e l’intraprendenza dell’individuo completamente immerso nella società da cui è inscindibile, ci indirizzeranno verso un nuovo umanesimo. Ma solo a questa condizione, che lo si faccia per essere felici, senza ambire allo sfruttamento e alla speculazione.

Il Club UNESCO, come ogni sana associazione culturale, non amministra i beni pubblici, è chiaro. E mai dovrebbe ambire a farlo, anzi fuggendo le facili ingerenze e gli eventuali, seducenti, profitti personali. Il Club UNESCO fa politica, invece, e la fa nel senso statutario, come ente morale di indirizzo, progettuale se vogliamo, ma soprattutto di formazione ed educazione al rispetto dei beni patrimonio dell’umanità, siano essi riconosciuti con bollino o meno. Conferenze, consigli sotto forma di progetto, eventi culturali di ogni tipo possono essere utilizzati a questo fine. Che altro pertiene al Club UNESCO se non il ruolo di garante, col solo fine di sostenere l’ideologia della “cultura per tutti” (ribadisco: gratuitamente!!!), che altro riguarda l’operato del club se non l’esigenza di allargare il consenso attorno all’idea di lieta e libera convivialità? Qualora dovessimo dimenticarlo il rischio sarebbe uno solo, far passare la perversa opinione che la “cultura” , nel senso più ampio e meno salottiero (da leggersi frivolo!), spetta solo a chi può permettersela.

Le ragioni del mio scetticismo infine sono da riferire all’andazzo generale della città di Scicli, la quale imperversa in acque perigliose – mare scuro come il vino – da lungo tempo. E devo estendere i dubbi alla qualità degli scafi, per come essi sono stati tenuti in scarsa efficienza nei mesi invernali, male impeciati poco prima dell’ormai prossimo varo primaverile, circostanza futura non eventuale, ma addirittura ineludibile. Fuori dalle metafore, le associazioni cittadine hanno raggiunto un numero che è legione. Dacché probabilmente il singolo cittadino ambisce ad esprimere la propria voce in una associazione, ne risulta paradossalmente che ognuno tendenzialmente è portato a fondare la propria, in un microfrazionamento che comporterà negli anni a venire un crescente individualismo, prospettabile sino ai toni dell’esasperazione. Tra l’altro, il motivo unico per cui la quasi totalità delle associazioni sorgono di continuo in Scicli, è quello di fare politica, la quale – intendiamoci – sarebbe attività positiva, come già detto, se non fosse da rilevare nell’accezione peggiore, vertente sul disbrigo pratiche inerenti gli interessi superindividuali, o nel migliore e più allargato dei casi “di fazione”, in ultima analisi a scopo elettorale. Nel perdurare della mia carica, io come presidente, insieme al resto del direttivo, abbiamo tentato – per certi versi, e in alcuni momenti, quasi con unanimità – di imporre nella discussione cittadina un modo alternativo (pardon!) di valutare i fatti che ci riguardano, con una finalizzazione alla a-profittualità degli intenti, da intendere quest’ultima come assoluta ritrosia al profitto economico sostanziale (o a tutti i costi). Io personalmente non ho mai fatto mistero di credere nella decrescita, felice o infelice che sia, ricorrendo al ridimensionamento delle pretese e alla capacità di instaurare rapporti di sana convivialità. Penso di aver tentato in più modi una delle possibili vie di proposizione di questa idea, nei progetti realizzati sino a qui dal Club. Esemplifico ancora una volta su un tema che ormai è sin troppo abusato nel comprensorio sciclitano, forse banalizzandolo in misura eccessiva: io non sono contro il turismo, ma se questa diviene la ragione dominante degli sforzi politici e sociali utili a costruire la città del futuro, mi sento in dovere di dissentire. Forse sbaglio, non lo so, e magari un giorno qualcuno riuscirà a convincermi di ciò, tuttavia nel frattempo non riuscirò agilmente a mettere a tacere la coscienza, quella legge morale che sento dentro di me, malgrado il cielo sia ad ogni ora meno stellato.
Il paesaggio, il territorio nelle sue criticità e nelle sue residue porzioni gradevoli, va preservato e accresciuto in bellezza, ove possibile. E qui mi consento l’ennesima ripetizione, perché forse non è mai abbastanza chiaro, il paesaggio – l’ambiente – non è un orpello da marketing, non “esiste” per utilizzarlo come fosse un brand, né per sfruttarlo in funzione di ricavi economici, i quali se poi sono possibili, lo sono solo incidentalmente alla normale laboriosità di un popolo che si affaccenda per progredire. Ecco, io credo che con una tale balzana idea non abbia in questo momento alcuna possibilità di rappresentare un numero consistente di tesserati. Esprimo ciò sulla base di sondaggi ripetuti, avvenuti nel corso della mia presidenza del Club. Per cui, in occasione dell’avvio di un nuovo tesseramento – 2016 – non riesco a trovare il coraggio minimo per chiedere sovvenzioni monetarie a nessuno di voi. Per cosa vi chiederei, poi, i soldi della tessera? Per quale idea progettuale e quale finalizzazione sociale, sia pur politica nel più elevato dei sensi possibili? Mi chiedo inoltre per quale assurdo motivo dovrei venire a cercarvi io, come presidente, e non voi cercare me, o il resto del Direttivo, per tesserarvi? Se fossi stato un buon presidente, forse i tesserati giungerebbero a frotte, tutti ambirebbero alla tessera. È anche possibile che, buona o meno che sia stata la mia presidenza, non sia riuscita utile a comunicare l’intenzione positiva, o che questa stessa non sia risultata credibile nella persona che la incarnava. Infine bisogna farsene anche una ragione, poiché tale mia vana intenzione ideale potrebbe essere stata assunta come assolutamente inaccettabile. Per tutti questi motivi, rassegno le mie dimissioni come presidente del Club UNESCO di Scicli e invito i soci a proseguire, per quanto possibile, nel solco della ricerca di una via possibile alla convivialità, per il tramite specifico di un’attività volta all’educazione alla tutela, al rispetto, alla conoscenza, dei beni patrimonio dell’umanità. Resto fiducioso, in ogni caso.
Cordiali Saluti
Gaetano Celestre

Lettera dimmisioni da Segretario del Club UNESCO di Scicli del dott. Guglielmo Pacetto

 

GUGLIELMO PACETTOAl Direttivo del Club UNESCO di Scicli
p.c. alla Presidente p.t. della FICLU
e p.c. alla Segreteria Generale p.t. della FICLU
Oggetto: Dimissioni da Segretario del Club UNESCO Scicli

Carissimi,
come avrete ben potuto intuire dall’oggetto affido a queste poche righe la mia scelta di rimettere il mandato conferitomi il 03.06.2014, come già annunziato in occasione del direttivo tenutosi il 12.01.2016 e ribadito a quello successivo del 20.01.2016.
Al fine di sgomberare il campo da ogni dubbio, la mia decisione è certamente legata a motivazioni del tutto personali e non attinenti alla risoluzione presa dal Presidente Gaetano Celestre, seppure ne ho data comunicazione successiva.

È però vero che una delle cause che hanno portato Gaetano a dimettersi ritengo sia indubbiamente da rinvenirsi nella progressiva riduzione del mio impegno nell’associazione, dovuta in parte alle medesime considerazioni espresse dal Presidente nella sua lettera, ed in parte alla mia necessità di profondere ogni sforzo nell’attività lavorativa, ritenendo in questa fase prioritario concentrarmi nell’affermazione professionale e nella realizzazione nel privato.
Difatti, tutti i miei sforzi sono stati negli ultimi mesi e saranno sempre più rivolti in quella direzione, rendendomi perciò impossibile adempiere adeguatamente alle funzioni che la carica di Segretario richiede ed impone.

D’altro canto, non ritengo opportuno né giusto che il Presidente assuma per sé la responsabilità di quanto avvenuto e prodotto o non raggiunto dal Club, reputando invece che il nostro lavoro sia stato sempre improntato sullo spirito di squadra e sul gruppo, e quindi nella convinzione che, come è stato per gli onori, le responsabilità di ogni fallimento o problema per il Club, dalla data della nostra elezione, gravino su tutti noi ed in parte su chi prima si è impegnato aspirando ad una carica, ad una bella medaglietta da appendere, e poi, non avendo ricevuto onorificenza alcuna, è venuto meno al suo impegno costringendoci a sopperire alla sua inopia ed assenteismo sino a costringerci alla sua estromissione.
In tal senso, mi ritengo e dichiaro quindi responsabile primo di quanto non raggiunto e del fallimento del nostro progetto ideale, condiviso con il Presidente, finalizzato a ricondurre l’associazione al suo ruolo ed alla sua natura escludendo ogni impegno o finalità elettorale (non di politica nel senso migliore del termine, per riprender quanto scritto da Gaetano), avendo mancato, come sopra detto, al mandato conferitomi e non avendo potuto supportare con il nerbo necessario il Presidente in questa lotta di “trincea”, all’uso sempre più strumentale e politico delle associazioni cittadine, obliandone la natura e finalità primigenia di mezzo per la tutela di beni di valore storico, dell’ambiente e di tutto ciò che è cultura e comunità in tal senso.

Ad ogni modo, al fine di dirimere ogni ulteriore possibile dubbio o quesito, mi consta ribadire che, anche volendo tralasciare le superiori considerazioni, correttezza istituzionale e coerenza vogliono che allorché il Presidente, con cui si è stati eletti ed a cui è legato il proprio mandato, rassegna le proprie dimissioni, il Segretario ha, a mio modo di vedere, comunque l’obbligo di rimettere il proprio mandato, proprio perché l’operato ed il lavoro del secondo è indissolubilmente legato da rapporto fiduciario, ancor prima che istituzionale, a quello del primo, e tutto al fine di consentire la individuazione di un nuovo Presidente ed un nuovo Segretario che possano lavorare insieme ai progetti futuri del Club alle stesse condizioni.
Tanto detto, è con profondo dispiacere, quindi, che rimetto al Direttivo del Club UNESCO di Scicli il mio mandato, certo della comprensione di tutti i suoi componenti e consapevole del gravame che questo atto comporta per il Direttivo stesso, che invito a voler indire al più presto nuove elezioni, individuando sin da subito uno o più referenti temporanei al fine di adempiere le formalità necessarie alla vita del club e alla individuazione di nuovi Presidente e Segretario.
Scicli, 21.01.2016
Dott. Guglielmo Pacetto