SDC17545

Versione Short:

Ancora un pensiero sulle linee guida del PRG (ca puoi è sempri u stissu pinsieru, ma rittu diversu): Previsione e ampliamento di spazi naturalistici, riqualificazione urbana e ristrutturazione agevolata, assoluto arretramento edificatorio di ogni tipo (anche e soprattutto quello con scusa turistica), ed esclusione di sostituzione laddove è possibile il mero e semplice abbattimento (meno case ci sono, meglio è. Tanto sempre ventisettemila siamo).

 

Versione Extended:

La paura del vuoto assilla questa generazione minuziosamente indaffarata. Abbiamo paura di non avere più niente da fare, e allora facciamo pur di fare, anche male. Abbiamo grandi timori di ritrovarci a tu per tu con i nostri pensieri, e allora preferiamo tenerci impegnati pensando lungamente alle cose che dobbiamo fare (cchiù logna è a pinsata, etc, etc…). Abbiamo timore del tempo libero, e dunque lavoriamo (pochi fortunati ormai…tra i quali non sono neanche annoverabile, ma parlo in generale) anche oltre i limiti decenti ed etici. Infine, chi non lavora, occupa il tempo libero impropriamente (ad esempio sui social), pur di occuparlo con qualcosa. In altri termini, manca un momento culturale anche minimo che ci induca a contemplare il vuoto, quello di tempo, che è il più prezioso, ad esempio. Manca l’educazione a coltivarlo nella riflessione interiore non fine alla produzione (il raggiungimento delle estasi, imprescindibile per le dottrine Sufi e orientali in genere). Tutto è ormai fine al profitto, raggiungibile solo per mezzo di competitività (il termine “impresa”, da associare all’ambito preferito, da quello economico-finanziaro a quello bellico), nell’ottica escatologica della crescita continua. Dalla pre-occupazione riguardo il tempo, a quella che pertiene lo spazio, il passo è brevissimo (concettualmente senza interruzioni, probabilmente).

Farò un esempio: nei giorni scorsi, tra amici, si discuteva dell’edificio scolastico adibito da anni a scuola media del paese. La fabbrica, com’è ben noto, da anni è tacciata – forse persino ingiustamente – di essere bruttura architettonica da deprecare a ogni costo. Ebbene, il mio parere (sottolineo che è un parere) è che occorre discutere della faccenda con serenità intellettuale, cioè inquadrando storicamente l’inizio della faccenda edificatoria. L’abbattimento di un simbolo del potere (nel caso specifico quello correlabile all’ordine fondato da Ignazio di Loyola) è sempre da giustificare a posteriori, segnalando asetticamente un cambiamento di verso politico, e piaccia o non piaccia la scienza dello studio storico impone scientificità (oggi sarebbe inutile stare qui a discutere dell’esecuzione di Mussolini. Ciò avvenne, e fu giusto nella contingenza storica, in utilità alla consacrazione di una sconfitta per mezzo dell’eliminazione di un simbolo politico. Uccidere un uomo è un crimine, distruggere un simbolo è politica. Quando entrambe le cose coincidono si apre un problema etico di ordine individuale, per gli esecutori nello specifico. Gli osservatori posteriori non possono più valutarla sotto il profilo etico, perché altrimenti si finirebbe a risalire, o ridiscendere, sino alla vicenda della mela rubata. Dovremmo dunque valutare la raggiunta unità d’Italia come fenomeno permeato da vicende di tipo terroristico, e di violazione di sovranità territoriale. La cosa è ridicola! Scusate la parentesi un po’ cinica). L’abbattimento di quel convento va considerato ideologicamente vicino a quello della chiesa di Santa Maria la Piazza. La differenza sta nella sostanza, poiché nel caso della chiesa si aprì un varco (uno spazio vuoto) che oggi valutiamo essenziale per lo sviluppo non solo viario della città, nel caso del convento all’abbattimento seguì invece un nuovo riempimento. Si potrebbe stare a discutere sulla differenza di qualità nel retro-pensiero di fondo, nella differenza ideologica tra le due epoche, tra le prospettive post-illuministe e quelle paracomuniste, ma è operazione di dialettica da bar.

C’è un altro profilo da segnalare, in favore di questa vituperata struttura adibita a edificio scolastico, ossia l’aspetto estetico e funzionale. Quello estetico, abbastanza banale, per il quale sono disposto a cedere terreno ammettendo che dal punto di vista architettonico l’edifico risulta piuttosto fuori luogo, ma che in altro contesto non sfigurerebbe (ricordo che il contesto brasiliano è parecchio alternativo a quello barocco. Ed è probabile che la struttura anzidetta, fuori dal centro storico, farebbe un’impressione diversa), in merito al quale non aggiungo altro, e poi l’aspetto che più di ogni altro merita rispetto, quello della funzionalità. Sfido chiunque a dirmi di non essersi mai riparato sotto quei portici. Arrivo subito alla prima conclusione. Qualora si apra una discussione, e questa riguardi il rifacimento della sola facciata, non potrò che considerare l’evenienza con grande sfavore, per tutti i motivi sino a ora elencati, e soprattutto nel timore orrorifico di vedere cancellare una bruttura perché venga sostituita da un’altra ancora più brutta (cosa probabile visti i tempi). Sarebbe dunque auspicabile che l’eventuale discussione prospettata verta sul completo abbattimento dell’edificio, e che simbolicamente l’area venga poi lasciata “vuota” (perfetta allegoria della società contemporanea, se vogliamo vederla con ironia).

Seconda e ultima riflessione conclusiva: l’esempio addotto lo ritengo funzionale ad altra discussione, di più ampio respiro, riguardante una variante alle linee guida generali del PRG. Sento dire un po’ da per tutto che le domande più frequenti vertano sul cosa fare dei beni culturali, panoramici e ambientali. Le soluzioni non mi interessano. Ciò che con umiltà mi sento di suggerire è di contemplare l’inutilità, il vuoto, riconoscendolo però come pregio e bene dell’umanità. Gli spazi verdi sono belli perché vuoti, non perché c’è la pizzeria in mezzo; San Matteo è bella perché sta lì, persino decadente, non perché oggetto di risocializzazione coatta per mezzo di invasioni turistiche (non facciamo del Colle un parco giochi, non piacerebbe neanche ai turisti, ve lo assicuro); le spiagge sono belle perché pulite (quando lo sono!), non per lo stabilimento balneare o per il villaggio turistico adiacente. Mi auguro fortemente che le linee guida per la variante al PRG contemplino l’utilità del vuoto, dello spazio privo di occupazione umanoide. Arretriamo, in funzione della riflessione!

Gaetano Celestre