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Il Partito a vocazione maggioritaria era probabilmente uno degli auspici inevitabili nel processo di mutazione del centrosinistra. Avrei senz’altro preferito proseguire il cammino evolutivo sulle concezioni eurocomuniste di Berlinguer, o ancora meglio arrivare alla sostanza della riunificazione di tutto l’orbe socialista.

Le cose sono andate diversamente; il Partito “compromissorio” di Veltroni, al suo esordio, andò persino bene, alle “politiche” addirittura meglio di tutte le incarnazioni successive, e però non avendo mai raggiunto la maggioranza necessaria, gradualmente la vocazione si è trasformata in mero espediente transattivo. Ovvio chiarire che il compromesso in questione è risultato tutto al ribasso, a discapito degli ideali, poiché l’aggregazione di entità moderate (o così per dire, moderate per simbolo, di facciata), sondate e rinvenute fuori dal Partito, si è poi giustificata nelle forme della richiesta di numeri per vincere, quindi in funzione di una infida collusione attuata per affiliazione. Infine, questi meccanismi, non potevano che condurre alla deprecabilissima competizione leaderistica interna. L’effetto è di democrazia schumpeteriana: chi vince detiene il potere, con tanti saluti e bacioni al collettivismo. La Sinistra si è inguaiata da sola, diciamocelo, avviluppandosi nelle spire di un progresso ideologico mai cercato fino in fondo, spesso manifestandosi in implicite posture reazionarie e conservatrici. E ora si ritrova, minoritaria, prigioniera di un Partito conquistato – probabilmente – da altri. Ne prendano atto i compagni, Landini, Bersani; il movimento operaista non ha più senso, o se lo ha è marginale (elitario?); il sistema industriale è cambiato. Esiste una enorme base possibile di reietti dalla società produttivista, a questi occorre rivolgersi. Rimango tesserato, ma solo per attaccamento alle speranze (io che non credo alla “provvidenza”), o più realisticamente perché credo che da qualche parte bisogna ripartire, e il PD è sempre casa mia, fino a prova contraria o espulsione.

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L’autocritica va fatta, e la ripartenza deve essere autorevole, ma non certo per tornare indietro. I partiti vanno rifondati ideologicamente. Più specificamente la Sinistra può cercare l’unità solo sforzandosi, dapprima teoreticamente e poi in quel misto tra praticità e teoria che è stata la sua fortuna agli albori del ‘900, esprimendo una declinazione moderna – tecnologista – di quel moto universale di solidarietà progressista che ci siamo abituati a identificare come aspirazione comunitarista. Il moto diverrà gradualmente centripeto, solo se si renderà allettante l’aspirazione d’opposizione avversa al sistema predefinito della maggioranza. Sia chiaro a tutti che la maggioranza – più o meno consapevole che sia – è sempre reazionaria. In alto per il mantenimento dei privilegi, imo per la paura dell’ignoto. Non voglio certo dire che si debba rifondare il partito di nicchia, quello buono solo per fare opposizione, dire NO (così ho votato al recente referendum, con molti dubbi e nessuna voglia di festeggiare), e mai – per carità di Lenin!!! – mai che abbia ad entrare nella stanza dei bottoni. Piuttosto spero che ci si adoperi per conquistare la fiducia di quanti hanno paura, e prima ancora di quanti hanno abbandonato la sgangherata imbarcazione a causa della disillusione. C’è bisogno di sana, pura, sobria, opposizione, non di aspirazioni governative sempre a discapito della purezza ideale. La sintesi, il compromesso, non può essere conseguenza della ricerca di numeri per vincere, né tantomeno sottomesso agli interessi particolari.

Bene, tutto quel che ho scritto si infrange nel vergognoso muro delle leggi elettorali; quella regionale – la cosiddetta “ammazzavanasia”, mi suggeriscono – ad esempio è stata chiarissima: caro elettore, se voti fuori dalle coalizioni (qualcuno si è azzardato anche a chiamarle alleanze “strategiche”), della tua preferenza resterà un flatus da postumi digestivi. E quindi, chi c’imu a fari a vutari? Chi vuonnu ‘sti cincu stiddi, e ‘stu Renzi? E simu a peri…

Gaetano Celestre