Gaetano Celestre: Platone la sapeva lunga, non era condivisibile per parecchie delle sue teorie (soprattutto per i risvolti pratici di quelle teorie), ma l’intuizione del dialogo come forma di trasmissione dell’idea, è innegabilmente funzionale. Per questo motivo credo sia preferibile la forma “dialogo” e non l’intervista o l’asettico articolo, al fine di approfondire la conoscenza sull’argomento videoarte. Recentemente (31 Maggio e 1 Giugno) ho avuto modo di apprezzare le opere dei videoartisti presentati da C.A.R.M.A., per mezzo delle installazioni lungo via Mormino Penna. Tra i videoartisti e gli organizzatori, avvio immediatamente la discsussione con un compaesano – nonché amico di lunghissima data – Guglielmo Emmolo. Da profano – ma non troppo, interessandomi da tempo su tale ambito artistico  – mi sono chiesto se è possibile individuare delle differenze di linguaggio, delle correnti di pensiero, almeno in via generale. Intuitivamente mi viene da pensare che esistano almeno due grandi gruppi, con grosse differenze anche nel rispettivo contesto particolare, per cui si potrebbe pensare che ci sia un “narrare” più tradizionale, ed uno maggiormente sperimentale, più criptico ed ermetico, nel senso quasi gnostico del termine. Preciso che quando suggerisco una ricerca tendente alla gnosis, lo faccio nel senso più ampio ed etimologico. Resto dubbioso su un punto, mi chiedo se esista veramente una reale differenza tra il narrare in un senso più tradizionalista o meno. Mi chiedo se non si tratti comunque di un problema di gabbie mentali precostituite ed imposte dal “solito” Mercato.

Guglielmo Emmolo: Generalizzando si potrebbe dire che se il cinema narrativo nasce dal matrimonio tra immagine filmica e romanzo, quello sperimentale (e dunque anche la videoarte) nasce dall’incontro tra immagine filmica e sperimentazione sonora. Dunque anche la Videoarte è un linguaggio artistico che, al pari di altri linguaggi di più antica tradizione, si dispiega nel tempo, e proprio per questo motivo, per quanto ci si sforzi di evitare la narrazione e procedere esclusivamente per metafore, è quasi impossibile, in un certo senso, non raccontare: evitare che almeno un seme di narratività non cada in mezzo al flusso audiovisivo. Allo stesso tempo anche nella narrazione più canonica ci sono interstizi che fanno deragliare la storia dai propri binari, punti di vibrazione che sospendono il racconto. E questo spesso avviene quando tra le pieghe della scrittura si impone qualche elemento visivo, o meglio “figurale”. Intendo dire che oggi non bisogna tanto concentrarsi, ideologicamente magari, sul tipo di linguaggio o il tipo di medium che si sceglie di utilizzare, quanto sul portarli oltre se stessi, estenderli, sperimentare. Credo sia questo il punto di partenza per aspirare alla realizzazione di opere veramente contemporanee. Come hai giustamente rilevato, nella selezione che abbiamo curato ci sono lavori che procedono più per metafore e simbolizzazioni audiovisive come ad esempio quelli di Lino Strangis e lavori che procedono in maniera più narrativa come Planets (link) di Igor Imhoff: un’animazione nella quale sono ben riconoscibili i due protagonisti, un personaggio maschile e uno femminile, le cui avventure vengono seguite da una macchina da presa virtuale in un piano sequenza lungo quanto tutta l’opera. Tra i vari aspetti surreali del mondo virtuale costruito da Imhoff quello che mi preme mettere in evidenza è la forte incongruenza tra la dimensione spaziale e quella temporale: nella storia del cinema l’uso del piano sequenza è sempre stato la massima garanzia di quell’unità spazio-temporale della scena che i tagli del montaggio ricostruiscono più o meno artificiosamente, a seconda della bravura di regista, montatore e direttore della fotografia. Tuttavia in un mondo virtuale come quello di Planets  accade che eventi e azioni che sembrano avvenire seguendo una temporalità lineare – secondo un lineare rapporto di causa-effetto – vengano ambientati in strati visivi diversi, continuamente attraversati dalla lunga carrellata in dietro della macchina da presa. Quasi come se il prima si trovasse dentro il dopo, e i vari strati visivi l’uno dentro l’altro. E’ proprio questo tipo di stratificazione spazio-temporale a rendere un’opera come Planets così affine a lavori parecchio lontani dalla narrazione come Impossible Choreography di Lino Strangis, e allo stesso tempo a uno dei tuoi racconti preferiti, ovvero Il giardino dei sentieri che si biforcano di Borges.

 

Gaetano Celestre: Restiamo su Platone; nella sua Repubblica criticava gran parte della produzione artistica precedente e contemporanea. Talvolta si tratta di una polemica aspra ed essenzialmente non dialogante: L’arte svilisce i costumi e rammollisce il cittadino della Repubblica. L’arte è persino blasfema, come in Omero, che umanizzava gli Dei nei loro difetti, conducendo ad invertire il processo per mezzo del quale l’idea si muoveva. L’idea di Dio discende dall’iperuranio o ad esso risale? Ci si muove con metodo induttivo o deduttivo, dal particolare all’universale o dall’universale al particolare? La videoarte mi sembra molto vicina a questa contraddizione, al di là del fatto che la verità non si troverà probabilmente neanche in mezzo, ma lungo il percorso indistinguibilmente (la verità è il percorso). Voglio dire, la videoarte mi sembra una delle forme artistiche che meglio potrebbero rappresentare l’apparente incoerenza su cui si fonda la dottrina platonica delle idee. Una contraddizione di cui forse neanche il grande filosofo si rese veramente conto. Ho visto il tuo nuovo video, Caos Phaos #2, e mi ha molto divertito. Intendo “divertire” nel senso che ha solleticato le corde giuste dell’animo. Dal fluire oscuro della non-materia alla luce sfavillante della creazione materiale, in una concezione che va oltre il semplice cerchio del tempo. Forse la Verità non è neanche il percorso, ma il percorso è il percorso, e non è neanche quello che abbiamo immaginato.

Guglielmo Emmolo: Credo che da Platone ad oggi il mondo non sia cambiato moltissimo, più che altro è cambiato il nostro modo di abitarlo. La metafisica di Platone presupponeva un Logos mentre quella odierna non può che essere una metafisica del Caos (link a Caos/Phaos). Un Caos senza il quale il pensiero, privo di spazi di manovra, farebbe soltanto movimenti apparenti restando sostanzialmente fermo, impossibilitato a qualsiasi tipo di evoluzione. È per questo che all’immutabile Iperuranio platonico preferisco il concetto di “Virtuale”. Ovviamente non intendo il virtuale nell’accezione tecnologica, ma filosofica: quella tanto cara a Bergson, Deleuze e Lévy. In questo caso la dimensione virtuale non si oppone al Reale, ma ne rappresenta un’estensione e un potenziamento. Non credo che in un luogo fisico dell’universo, o nella mente umana, possa risiedere l’essenza delle cose, ma piuttosto che ogni cosa porti con se un campo di problematiche, invisibile ad un primo sguardo, che le caratterizza. Il classico esempio del seme è molto esplicativo: la problematica del seme è quella di provenire da un frutto cresciuto su un albero e allo stesso tempo di dover generare un altro albero. Per sapere qualcosa in più sull’ipotetico seme che sta sotto i nostri occhi, non è indispensabile conoscere con esattezza la forma dell’albero che il seme genererà in concomitanza con le circostanze specifiche del caso. Come osserva Eco le vere evoluzioni, tanto in campo artistico quanto in campo scientifico, non vengono né dalla deduzione né dall’induzione ma da un processo mentale, tipico del buon detective, chiamato da Peirce “abduzione”, e genericamente noto come intuizione: ovvero la capacità di scommettere su una soluzione, spesso inusuale, ad un problema, ancora prima di avere tutti gli elementi per provarla. Ovviamente la deduzione e l’induzione saranno utilissime nel verificare e testare la tesi, ma queste presuppongono l’avere già un quadro completo della situazione, e nell’ambito della ricerca – artistica o scientifica che sia – questa è un’illusione che al giorno d’oggi non ci si può più permettere. Penso che questo, con buona pace degli scientisti da un lato e dei fondamentalisti religiosi dall’altro, sia semplicemente un dato di fatto. Secondo Platone l’uomo ha sempre avuto il sentore dell’illusorietà del reale, ed è per questo che ha sentito la necessità di rappresentare e simbolizzare la realtà con un intento consolatorio. In fondo questa osservazione rimane comunque valida per gran parte della produzione culturale (?) di consumo, mentre convince meno se ci si avventura sul fronte della ricerca artistica. Infatti, quando un artista vuole mostrarci qualcosa attraverso il video, non lo ripropone tale e quale a come lo ha visto, ma riprendendolo da un particolare punto di vista o rielaborandone l’immagine in post-produzione, cerca di portarne alla luce i nodi problematici e le contraddizioni interne che lo caratterizzano. Ne consegue che quando un artista – degno di questo nome – altera un’immagine, non compie un intervento meramente decorativo o comunque fine a se stesso, bensì teso a portarne alla luce le virtualità sotterranee. Ecco perché, nonostante i pregiudizi di molti verso le arti tecnologiche, va ribadito che l’uomo mantiene sempre un ruolo centrale nel nuovo scenario digitale, a patto che rispetti la tecnologia che ha creato prima che questa gli si ritorca contro. In fondo sono ormai millenni che noi uomini imploriamo la misericordia di chi dovrebbe averci creati. Per quanto riguarda Caos/Phaos#2 sono contentissimo che tu lo abbia apprezzato. Si tratta di uno sfocato tentativo di mettere a fuoco la dialettica tra ordine e disordine, luce e buio, non solo come opposizione, ma anche come complementarità e reversibilità. In fondo troppa luce acceca ancor più del buio pesto. Pensa a Cecità di Saramago. Per quanto riguarda la Verità ti segnalo che proprio il termine greco “a-letheia” fu tradotto da Heidegger come “dis-velamento” piuttosto che come “verità”, implicando con ciò dinamismo e non staticità, lotta costante tra illuminazione e nascondimento appunto. Ecco perché la circolarità che hai giustamente notato nel video non può che essere imperfetta.

Gaetano Celestre: Dalle idee alla pratica, ancora su Platone, anche se ormai ci ha decisamente stancato: nei giorni scorsi passeggiavo tra le installazioni con Lino Strangis (link a A New Big Bang for a New Home), come te uno dei protagonisti dell’evento, sia in chiave organizzativa che sostanzialmente artistica. Partendo dall’analisi dei suoi due video, nel passaggio che intercorre tra la visione critica della “deriva” umana, si toccava l’ambito scettico ma solo per approdare ad una nuova riva ipotizzabile, dal punto di vista Etico. Per l’appunto, dalle idee alla pratica. Il futuro dell’umanità immaginata nella stabilità delle relazioni sociali, ridimensionata nell’idea che in passato si è vissuto oltre i limiti ragionevoli. Una sensazione politica ed economica attualissima, non a caso esternata recentemente dal Pontefice sudamericano Bergoglio. Sudamerica non citato a caso, infatti il noto videoartista mi spiegava che a Cuba, in un sistema politico che in parte ha i suoi riferimenti ideologici primordiali proprio nella Repubblica di Platone, la televisione pubblica trasmette regolarmente e ha nel palinsesto un’ampia programmazione videoartistica. Alla luce dei quotidiani dubbi occidentali, è davvero possibile definire come inferiore il sistema cubano – almeno da un punto di vista strettamente estetico – rispetto al nostro consumistico liberismo illiberale? Vorrei cercare di individuare le differenze essenziali tra uno spot della Nike ed una opera di videoarte, per capire se la discrepanza risiede tutta negli intenti sottintesi (estetici o etici) e se è utile da un punto di vista liberale supportare politicamente un sistema o l’altro. Infine, in che modo è giusto farlo? Ciò potrebbe servirci, in quella ricerca abduttiva che tu suggerisci, soprattutto per capire quali potrebbero essere le conseguenze.

(Still  da Impossible Choreography di Lino Strangis)

Guglielmo Emmolo: A molti è ormai chiaro che il PIL non è l’unico parametro per mettere a confronto le società. E tra l’altro anche su quel fronte in occidente il piatto piange sempre più. Il modello cubano non è certo privo di contraddizioni, perché senza una consapevolezza piena da parte di ogni individuo è difficile fare realmente comunità, è difficile evitare che il più furbo e il più potente prevalgano comunque. Non sono un gran conoscitore di quella realtà, ma trovo lodevole il fatto che la videoarte abbia ampio spazio nei palinsesti televisivi cubani. Da questo punto di vista la sinistra italiana, che per decenni ha gestito la cultura, ha enormi responsabilità. Ancora oggi, con le tanto sbandierate centinaia di canali del digitale terrestre, che avrebbero dovuto differenziare sempre più i contenuti, la videoarte non trova spazio nei palinsesti. Ad ogni modo credo che il compito, o meglio la specificità, di un artista non sia quella di caldeggiare questo o quel modello politico-economico, ma di guardare oltre puntando a ciò che oggi sembra irraggiungibile. Senza questa propensione all’utopia molti passi in avanti non sarebbero stati possibili. Come proprio Lino ama spesso ripetere, l’artista deve essere l’avanguardia della società. Inoltre un opera di ricerca – come i video che abbiamo proposto a Scicli – rimanendo aperta, presuppone una partecipazione attiva da parte di chi osserva, vuole essere completata dall’atteggiamento critico dello spettatore, dalla sua riflessione. Abituare il pubblico a questo tipo di fruizione, invece di continuare ad adeguare l’arte alla ristrettezza mentale della massa, produrrebbe cittadini più critici ad ogni livello sociale. Invece sui media è tutto un proliferare di messaggi unidirezionali che ti invogliano a comprare un prodotto piuttosto che un altro, o a votare per Tizio piuttosto che per Caio: dallo spot televisivo al giornalismo più o meno celatamente propagandistico. Come ha spiegato Marco Maria Gazzano, intervenendo in videoconferenza alla presentazione del testo “La Videoarte nel mondo del software” (a cura di Lino Strangis) che si è svolta Sabato scorso alla galleria Quam, “il lavoro che fanno gli artisti è quello di spiegare la complessità del presente senza rinunciare all’idea della complessità stessa”. In conclusione, oltre al professor Marco Maria Gazzano per il suo intervento, voglio ringraziare a nome del C.A.R.M.A.  Piero Chiariello presente fisicamente e audiovisivamente con una sua opera, Sasha Vinci e Clang per la collaborazione, Albergo diffuso, tutti coloro che hanno offerto i loro spazi per l’evento, ma soprattutto Antonio Sarnari e Tecnica Mista senza i quali non sarebbe stato neanche immaginabile organizzare un’esposizione di questo tipo.

(Still da Caos/Phaos#2 di Guglielmo Emmolo)