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L’editoriale di apertura dell’Indice di Maggio (“Il giorno in cui il computer scrive il romanzo”, di Federico Bottino) segnala, per l’ennesima volta sulla Rivista, ma mai con ridondanza, la progressiva evoluzione nei rapporti tra intelligenza artificiale e tecnologia della letteratura (la letteratura, occorre ricordarsene, pertiene già ai rapporti tecnologici, lato sensu: la penna d’oca, la penna a sfera, la digitazione su tasti; ma in senso quasi ontologico si può dire che la letteratura già sia tecnologia dell’espressione di pensieri). Pare che anche le dinamiche di Borsa si predispongano ormai ad essere risultato di processi assegnati ad algoritmi, persino quando in bilico tra la ricerca di un eventuale profitto, di un utile economico, e il surplus della mera speculazione finanziaria; non stupisce quindi che entro certi limiti anche l’estro poetico venga affidato alle matematiche operazioni di riordino dati da parte di un pensatore meccanico. Memoria e fantasia sono i presupposti dell’atto di generazione, la creazione.

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Quindi se della memoria di un computer nessun lettore ha mai minimamente dubitato (“Ho chiesto a Lotaria se ha già letto alcuni miei libri che le avevo prestato. M’ha detto di no, perché qui non ha a disposizione un elaboratore.  M’ha spiegato che un elaboratore debitamente programmato può leggere un romanzo in pochi minuti e registrare la lista di tutti i vocaboli contenuti nel testo, in ordine di frequenza. – Posso così disporre subito d’una lettura già portata a termine, – dice Lotaria, – con un’economia di tempo inestimabile. Cos’è infatti la lettura d’un testo se non la registrazione di certe ricorrenze tematiche, di certe insistenza di forme e di significati? La lettura elettronica mi fornisce una lista delle frequenze, che mi basta scorrere per farmi un’idea dei problemi che il libro propone al mio studio critico. Naturalmente alle frequenze più alte sono registrate delle sfilze d’articoli, pronomi, particelle, ma non è là che soffermo la mia attenzione. Punto subito sulle parole più ricche di significato, che mi possono dare un’immagine del libro abbastanza precisa.” Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979), riguardo la fantasia accetteremo i progressi sin qui conseguiti, e con fede ci disporremo in attesa di ulteriori miglioramenti tecnologici. Intendo dire che, inseriti i dati, indi le diverse casistiche del possibile immaginabile in relazione combinatoria, non si capisce perché anche la fantasia non debba rientrare tra gli atti gestionali di un software di simulazione, cioè in un programma di intelligenza artificiale (entro certi margini invalicabili, ribadisco!, chiaramente non quelli preordinati per qualche sacro dogma, ma sempre riferendoli a … a… Boh?!? … non so neanche quali possano essere effettivamente tali limiti invalicabili! Immagino che ad esempio un pesce non sappia sorridere, per un limite muscolare).

Per cui dal pezzo di Bottino, senza stupirmi troppo, traggo alcune notizie rilevanti: nel 2014 è stato programmato un software, sotto l’acronimo Moss “(Moral Storytelling System), in grado di scrivere favole in autonomia partendo da una determinata morale che si vuole trasmettere al lettore”. Apprendo, nel contempo, che “Moss può spaziare tra 22 emozioni che gli permettono di dare maggiore profondità ai personaggi e un più forte coinvolgimento rispetto alla trama, oltre al fatto di garantire una coerenza con la morale prescelta al momento dell’avvio.”; inoltre nel medesimo articolo viene riportato che un “Team giapponese di ricercatori … ha iscritto a un concorso letterario un computer, autore di un romanzo breve” e che tale opera “ha superato le prime selezioni del concorso ed è giunta, con grande sorpresa di tutti, in finale” (su 1.450 romanzi: Wow!, ottimo, bravo computer, complimenti e felicitazioni. Presto il Nobel, per quel che ormai –  e forse da sempre – vale!). Ma c’è un qualcosa che senz’altro occorrerà non tacere, affinché il lettore abbia ben chiatroppo si è atteso e tergiversato, or giunto è tempo d’onorare i nostri impegni cultuali. Sprofondare nei gorghi ombrosi del tempo per riaffiorare tra i freschi flutti della timpa caruta, lì dove in striature velate le acque sorgive si mescolano alle salse in un vorticoso salire e ridiscendere. Gli istupiditi pesci striati, a guardar stupefatti il concepimento della forma nella sostanza. Volto l’occhio svelto al lido sabbioso non distante, in poche bracciate sarà agevole, piacevole, giungere laddove ci ergeremo prima su un piede e poi sull’altro, e finalmente saremo eretti. Così ossequieremo le divinità estive e ro come così tante sono le schifezze in giro, e tanto il fondamento oggettivo di tale sicura valutazione, che sarà facile convincere la gran parte dei lettori che un computer non produrrà certo peggiori articoli di quelli che vengono pubblicati quotidianamente nei blog di informazione locale, per esempio. In fondo, basterà inserire i dati (il limite naturale probabilmente consiste proprio nella prognostica capacità casistica del programmatore) e attendere qualche attimo per il calcolo di un risultato mediamente accettabile, così evitando all’umanità futuri noiosi, boriosi, inutili spargimenti di inchiostro. Il vantaggio è netto, io credo. E dunque, cari umani, giornalisti, ma anche vanesi romanzieri, portatori sani di naturale intelligenza e razionalità (e irrazionalità), o si comincia a scrivere meglio (magari solo più utilmente, basterebbe), o preferibile sarà affidarsi alle intelligenze artificiali, le quali perlomeno potremo programmarle per non essere infidamente faziose. …e poi che risparmi, pensate!, quanti evitati esosi stipendi di sedicenti giornalisti e comunicatori di frottole.
Gaetano Celestre

 

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