La Sicilia del 4 aprile

di Carmelo Riccotti La Rocca




In questi giorni d’emergenza la Caritas diocesana di Ragusa è in prima linea per portare aiuti alle famiglie che necessitano di beni di prima necessità. Le oltre quattrocento richieste d’aiuto giunte in meno di 48 ore, danno la misura dello stato di bisogno in cui versano centinaia di persone. Chi viveva di lavoro occasionale e non ha accantonato somme per affrontare le emergenze, si sta trovando oggi impossibilitato a poter acquistare cibo e altri beni di prima necessità. La Caritas è scesa quindi in campo, tramite il coordinamento del Comune di Ragusa e il gruppo della Protezione Civile, con un obiettivo ben preciso: nessuno deve rimanere escluso dagli aiuti. Nessuno deve restare indietro. Tutto questo è possibile grazie ai volontari che non si sono mai tirati indietro, agli imprenditori, pronti a mettere mano al portafoglio o fornire merce e, ancora, a tanti cittadini che contribuiscono come possono alla causa. “La situazione si conferma di grande difficoltà – commenta il direttore della Caritas diocesana di Ragusa Domenico Leggio – e si comprende come il sistema produttivo e del lavoro sia saltato e ha subito un arresto importante, determinando situazioni anche drammatiche, come stiamo toccando con mano in questi giorni. La nostra Caritas continuerà a maggior ragione ad essere vicina a chi sta vivendo queste sofferenze”.

La settimana scorsa un’azienda che opera nel settore dell’ortofrutta ha donato 100 cassette di prodotti agricoli assortiti per distribuirli alle famiglie messe in ginocchio dall’emergenza e, fortunatamente, di esempi come questo se ne contano a decine. Cibo nelle case, ma anche un letto dove dormire a chi ne ha bisogno. Rimane sempre aperto pure questo fronte per la Caritas di Ragusa che cerca di venire incontro anche alle esigenze di chi, nell’era del «restiamo a casa» una casa non ce l’ha. In Italia vi sono più di 55 mila persone senza dimora, persone che vivono per strada, in alloggi precari e insicuri, in promiscuità e in condizioni igieniche precarie se non del tutto assenti. In questo periodo di emergenza coronavirus i loro problemi vengono accentuati dalla solitudine, dalle chiusure o limitazione di servizi essenziali (pasti caldi, mense al coperto, docce, centri di ascolto), dalla carenza di informazioni e di strumenti per prevenire la diffusione della pandemia.

“Anche a Ragusa- si legge in una nota della Caritas- ci sono diversi uomini e donne senza dimora e in grave disagio abitativo. Il servizio Caritas, unico nella città a occuparsi specificatamente di loro, anche in piena emergenza, è disponibile a incontrare gli homeless del territorio per valutare l’orientamento. Purtroppo, al momento, le 14 persone accolte esauriscono i posti letto messi a disposizione dalla diocesi e dalla Chiesa di San Michele”. Non ci sono posti letto, ma una mano d’aiuto si dà sempre, per questo chi ha bisogno assistenza può farsi avanti e chiedere anche attraverso il centro di ascolto del capoluogo ibleo. Immenso il lavoro dei volontari che in alcuni giorni, in un solo dì, hanno portato assistenza anche a 40 persone. Se questo è il lavoro estenuante svolto nelle città, rimane poi altissima, forse anche più di prima, l’attenzione per gli stranieri che si trovano nella fascia trasformata del ragusano, con particolare riferimento alla zona di Marina di Acate. Gli invisibili, come spesso vengono definiti gli stranieri impiegati nei campi, continuano a lavorare in agricoltura; non hanno i dispositivi di protezione e continuano a vivere in precarie condizioni abitative, ammassati in vere e proprie catapecchie. Il rischio contagio è molto alto e basterebbe un solo caso positivo a mettere in pericolo un’intera comunità che vive nel sommerso. In questo momento a Marina di Acate il presidio, che accoglieva circa 50 famiglie a settimana, è chiuso per evitare assembramento di persone, ma il filo diretto tra i componenti della Caritas e i lavoratori è sempre attivo. Nel pomeriggio di ieri una delegazione dell’organismo che fa capo alla diocesi di Ragusa, guidata dal responsabile immigrazioni della Caritas, Vincenzo La Monica, ha raggiunto Marina di Acate per portare assistenza ai lavoratori e alle loro famiglie. Sono state consegnate mascherine, guanti, cibo e altri beni di prima necessità. “Qui la situazione – spiega La Monica –è ancora più drammatica di quanto già non lo fosse. Molti imprenditori, forse per paura di controlli più serrati- hanno lasciato a casa tanti lavoratori impiegati in nero. Quasi nessuno ha l’auto quindi, vivendo a diversi chilometri di distanza dal centro abitato, non possono andare a fare la spesa. Oltre al cibo manca l’acqua corrente e potabile”. Al momento la Caritas sta dando priorità ai nuclei familiari con minori, raggiungendo la fascia trasformata due volte a settimana, ma descrive una situazione allo stremo.  Nei giorni scorsi il sindaco Usb (Unione sindacale di base) sia a livello nazionale che provinciale, ha chiesto ai Comuni un atto di coraggio: smantellare i ghetti che si trovano in molte zone agricole e predisporre un piano abitativo per sistemare le migliaia di famiglie di stranieri che vivono nel sommerso, in condizioni abitative e igieniche precarie.