di Francesco Camagna

la nascita del linguaggioIntroduzione Il linguaggio fa parte della maggior parte della nostra vita di tutti i giorni. Un mondo senza linguaggio potrebbe considerarsi ancora umano? Anche se gli etologi (coloro cioè che studiano il comportamento animale) hanno ormai accertato che molte specie animali comunicano con sistemi di segni e hanno un loro linguaggio, non sembra proprio che vi siano in natura altri esseri viventi che usano un linguaggio simile al nostro per livello di complessità e di elaborazione. 

Homo Sapiens 10.000 – 100.000 anni fa: un animale bipede si trova riunito in una caverna con la sua famiglia: moglie e figli. Secondo te, in casa, ha il vocabolario? No! Ma allora come comunica con la sua famiglia? Forse a gesti, o forse anche con strani grugniti, ma soprattutto articolando i suoni. Dopo qualche millennio questo bipede verrà chiamato Homo Sapiens, tradotto letteralmente “uomo sapiente”. Perché? Perché iniziò a dare una definizione verbale a ogni oggetto che lo circondava o che vedeva, così ci fu un nome per la caverna, per la clava, per il prato, per gli alberi, per il cielo, per le stelle, per l’atto di correre, di mangiare, ma soprattutto un nome per la moglie e per i suoi figli. Ecco pian piano l’uomo inizia a costruire dialoghi di senso compiuto e a rispondere ai discorsi del suo simile. E fu così che nacquero le prime lingue e non un’unica lingua per un semplice motivo: ogni tribù  abitava in un determinato luogo e quindi ognuna di esse utilizzata e creava dei propri termini e ogni tribù aveva una propria concezione filosofica della vita e dei suoi miti e quindi si costruiva nel tempo una propria tradizione (inizialmente orale). Col tempo queste diversissime tribù ebbero dei punti di contatto e alcune si raggrupparono e si assimilarono: come? In due modi, anzi, in due tipi di rapporti: di pace e di guerra. E dalle tribù, così, si iniziarono a formare i popoli.

Parentesi religiosa Quando parliamo dell’origine del linguaggio non possiamo non mettere in gioco l’ambito religioso, poiché da sempre l’uomo ha avuto una concezione religiosa della vita. Ad Adamo, nel Libro della Genesi, fu dato da Dio il compito di dare un nome a tutte le cose, sia piante che animali che rocce. Ecco qui l’uomo che compiva la prima operazione cognitiva. Poi, come tutti sappiamo, Adamo si lasciò convincere da Eva a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza e qui la lingua compare come mezzo di comunicazione (anzi, di seduzione). La Bibbia, comunque, ritorna anche in altri passi sui problemi della lingua: ad esempio quando gli uomini vogliono innalzare una torre (la celebre Torre di Babele) che raggiunga il cielo ma Dio interverrà  per punire la loro arroganza e come li punisce? Confondendo i loro linguaggi e così, da quel momento in poi, non riusciranno più a parlare la stessa lingua. Il racconto della torre di Babele, in sostanza, è la metafora dell’incomunicabilità e dell’incomprensione tra gli uomini. Nel Nuovo Testamento, lo Spirito Santo discese sugli Apostoli (ovvero Pentecoste) e li mette in grado di parlare le lingue dei popoli tra i quali dovranno diffondere la nuova fede. Anche questo racconto biblico ci mostra come sia antica la riflessione umana sul linguaggio, le sue forme e le sue funzioni. Riassumendo, al di là del fenomeno religioso si può dire che la riflessione sul rapporto tra parole, concetti e cose è il tema centrale della filosofia dalle origini ai giorni nostri.

Oggi si parlano circa 5000 lingue diverse nel mondo e gli studiosi si sono posti il problema se tali lingue  non derivino tutte da una stessa lingua comune. A questo punto dobbiamo tenere conto di due ipotesi opposte tra loro: l’ipotesi monogenetica e l’ipotesi poligenetica, ovvero c’è chi sostiene  che le lingue attuali sono prodotte per differenziazione da un’unica lingua e chi sostiene invece la pluralità dei ceppi linguistici originari. Ed è, in pratica, lo stesso problema che si sono posti gli studiosi dell’origine delle razze umane, dove alcuni sostengono che l’uomo sia comparso in un solo punto (molto probabilmente l’Africa) e di lì poi si sia diffuso e differenziato, mentre altri  propendono per l’ipotesi della comparsa indipendente in aree diverse. Il problema sta nel fatto che noi abbiamo traccia delle lingue usate in passato solo a partire dagli ultimi 6000 anni, cioè da quando è stata introdotta la scrittura, mentre le popolazioni umane usavano il linguaggio già da centinaia di migliaia di anni.

Non c’è dubbio che le lingue attualmente parlate siano il risultato di un processo di differenziazione linguistica che è avvenuto nel corso degli ultimi millenni. L’evoluzione delle lingue è molto rapida rispetto all’evoluzione genetica.

Pastori Arii o Indeuropei  Quei pastori che abitavano, alcune migliaia di anni fa, i territori continentali dell’Europa centro-orientale, non erano più dei selvaggi preistorici ma ormai uomini coscienti della loro natura di esseri superiori. Erano nomadi, cioè cambiavano spesso la loro residenza per via dei loro armenti sterminati, fino a che arrivarono a valle e poi, da nomadi, scoprirono l’agricoltura e diventarono semi-nomadi e poi sedentari, ovvero rimaneva fissi in un luogo per meglio badare al loro raccolto. Soprattutto preferivano insediarsi nei pressi di fiumi e mari. Costoro la storia li definisce col nome di Arii o Indeuropei. Ma non erano un solo popolo bensì tante genti che, nonostante avessero lo stesso gruppo etnico, ciascuno parlava un proprio linguaggio che aveva alcuni caratteri comuni a quello degli altri. Gli Arii, essendo nomadi, si spostarono in tutte le direzioni: a sud verso l’India, a est verso le terre già occupate da genti della mongolia, a sud-ovest dove c’erano i semiti, i camiti, nelle isole e penisole del Mediterraneo, o anche a sud con i neri delle grandi foreste africane. Mano a mano arrivarono anche in Europa dove si divisero e dove formarono grandi gruppi.

Riassumendo, tutti questi popoli discendevano da un unico ceppo iniziale, gli Indeuropei appunto.

I gruppi linguistici I gruppi linguistici appartenenti alla grande famiglia indeuropea sono 12: latino, progenitore del nostro italiano: in origine era costituito da numerosi dialetti, che Roma riunificò in un unico linguaggio col suo strapotere politico e culturale, e poi diffuse in tutti i territori sottoposti al suo dominio. Seguono poi il celtico, a cui appartengono l’irlandese, lo scozzese e il dialetto dell’isola di Man, il gallese, il cornovagliese e il bretone; il germanico, col gotico, l’islandese, il norvegese, lo svedese e il danese, il tedesco, l’inglese e il frisone; il gruppo slavo, da cui si originarono le moderne lingue russa, polacca, ceca, serbo-croata e bulgara; il greco, dagli antichi dialetti fino al greco moderno; l’albanese; il baltico, con l’antico prussiano, il lituano e il lèttone; l’armeno; l’iranico, con l’antico persiano e l’avèstico, fino al persiano moderno, l’afgano, eccetera; l’indiano, in antico rappresentato dal vèdico e dal sanscrito classico, fino alle numerose lingue indiane moderne; e, infine, tre altre lingue, ormai defunte, l’osco-umbro, che era parlato nell’Italia centro-meridionale, l’ittìto, parlato dal grande popolo degli Ittìti, nell’antica Asia Minore; e il tocàrio, parlato nel Turchestàn orientale e nella Battriana, regione asiatica corrispondente allo’odierno Afganistàn.

Natura innata del linguaggio Ammettendo l’ipotesi unitaria del linguaggio si rafforza anche la tesi di coloro che sostengono che il linguaggio è innato nella specie umana, una sorta di caratteristica del suo patrimonio biologico, formatasi gradualmente nel corso del processo di evoluzione. Quest’idea non è nuova: Aristotele e Cartesio ne avevano parlato.

In conclusione possiamo affermare che i vantaggi evolutivi per la specie umana sono stati enormemente accresciuti con l’invenzione della scrittura che consente la conservazione e la trasmissione delle informazioni di generazione in generazione al di là delle limitate capacità di “immagazzinamento” delle cellule  del cervello umano.