“Il vasto territorio, il nome di oppido, i suoi fortini, le muraglia che l’attorniano, i due castelli, le sette porte e le due borgate ci convincono della sua numerosa popolazione… Dopo il 1300 la popolazione cominciò gradatamente ad abbandonare l’antico sito, impiantandosi nella pianura sottostante alla collina nella quale sino allora avea perdurato l’antichissima primitiva  città, ed il Carnivale ci rapporta che nel 1500 Scicli contava 3041 fuochi. Il Pirri ci avvisa che dopo la peste del 1626, la quale in Scicli raccolse 2770 vittime, tuttavia gli abitanti rimasti sommavano al numero di 11074. Nell’anno 1713 Scicli si avea 2665 fuochi (famiglie) col numero di 11076 abitanti.”

Queste sono le notizie raccolte e riportate dall’arciprete Antonino Carioti nel ‘700. Da tali numeri si può avanzare un paragone, anzi si può escluderlo rispetto l’attuale densità di popolazione. La Scicli esistita era una città decisamente più “importante” di quella esistente. Torquato Tasso conosceva l’alta piaggia di Scicli, ma non solo per questi numeri (link alla prima parte dell’articolo: Scicli, città esistita). Ciò che più probabilmente lo spinse ad annoverare la nostra cittadina tra quelle che fornirono forze armate per la Prima Crociata, fu una voce del tutto anacronistica, se considerata per lo scenario storico del suo Poema:

“Per il regolamento delle milizie destinate alla difesa del regno, statuito nel parlamento celebrato in Messina nell’anno 1535, regnando l’imperatore Carlo V, Scicli tra le dieci sergenzie fu scelta per una delle piazze d’armi; e dopo fatta la numerazione de’ fuochi, fu dichiarata la quarta sergenzia…
…e di poi nelle istruzioni della milizia ordinaria riformata dal conte Olivares vicere e capitan generale di Sicilia, stampate in Palermo nell’anno 1595 … … per la sergenzia di Scicli si stabilirono quattro compagnie di cavalli, che doveano completare il numero di 214, le quali compagnie furono così ripartite cioè: Scicli N.51, Modica N.67, Ragusa N. 52, Chiaramonte N. 21, Monterosso N. 6, Biscari N. 3, Gerratana N.2. La fanteria che sottostava al sergente maggiore di Scicli era composta dal numero di 673 pedoni divisi in tre compagnie, la prima delle quali, ch’era quella di Scicli, sommava al numero di 245 pedoni, che si contribuivano cioè da Scicli N. 167, da Chiaramonte N. 78. La seconda compagnia era quella di Modica … La terza compagnia era quella di Ragusa … … per cui le cennate tre compagnie completavano il totale numero di 673 fanti, i quali tutti erano comandati dal sergente maggiore di questa piazza di Scicli.”

Era il famoso Tercio di Scicli!  Il Carioti diventa ancora più interessante quando così precisa:

“La milizia urbana del terzo di Scicli fu più numerosa nell’anno 1544 sul primo nascer di questa sergenzia, specialmente allorquando i Turchi, essendosi collegati co’ Francesi, riunirono quella poderosissima flotta capitanata dal famoso corsaro Barbarossa … perciò si fu che in quella contingenza il terzo di Scicli, composto di duemila e duecento agguerriti soldati, corse in Messina, onde difendere quella importante piazza.”

Senza alcun dubbio, di tali dati dovette aver contezza il Tasso, quando all’indomani della prima edizione della Gerusalemme Liberata (1581), si pose nuovamente alla ricerca di informazioni per affinare la sua opera (la Gerusalemme Conquistata è del 1591). Mi sembra interessante il parallelismo tra la Prima Crociata  del 1095 e le paure per gli attacchi pirateschi dalla seconda metà del ‘500 in poi. Se non altro per le conseguenze folkloristiche che ne sono derivate. Ma non vorrei andare fuori tema, dunque riprendo le redini del discorso. In conclusione di questa lunga carrellata di informazioni storiche e/o pseudoletterarie, vorrei sintetizzare il messaggio che ci lascia la Storia, semmai la si possa considerare maestra di vita (e non lo credo affatto, visto che continuiamo a sbagliare incessantemente): se Scicli raggiunse quella notorietà, quella importanza, non fu probabilmente per grazia divina, né per la volontà di Giove Tonante. Bensì lo si può pensare quale risultato di attività del tutto umane. Può anche darsi che si sia trattato di attività umane involontariamente proficue, senza dubbio. È verosimile che si debba indagare ancora sul contesto, sempre il Carioti scriveva, con eticità da storico stavolta: “La Città di Scicli perché tra le città e terre del Contado di Modica trovasi la più prossima al mare, perciò a preferenza di quelle, sin da’ remoti secoli precedenti il 1300 ha goduto sempre un più esteso dominio nello stato della Contea; e sin da quando Bernardo Caprera ne fu investito, Scicli fu sempre distinta da’ reali governi, per averla riconosciuta abile a difendersi da se stessa dalle piraterie de’ vicini corsari dell’Africa…”

Grande territorio ma da difendere, onori ed oneri, bicicletta e pedale… questo è il senso del discorso. Dunque riconsiderare l’odierno contesto è essenziale per poter pianificare il futuro. Ma, come dicevo nella prima parte di questo articolo, non basta! L’unico sistema che abbiamo, per far sì che anche domani questa nostra Scicli possa esser annoverata come “realmente e storicamente esistita”, è un ridimensionamento del nostro “io”. La banalità di una operosità concreta, nel senso più solidale, ed una occhiata verso le nostre campagne (il contesto) potrebbe essere un buon inizio. A mio parere, di questo bisogna prender coscienza. Altrimenti nessun Tasso, in futuro, canterà le lodi della quotidianità che stiamo vivendo, siatene certi!

Gaetano Celestre