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Un mio amico ha pubblicato un post su Facebook, nel quale paventava il rischio di un ritorno alla cementificazione a tappeto su Scicli. I bombardieri stanno ancora volteggiando nel cielo azzurro dagli anni ’80 a oggi, hanno eseguito rifornimento in volo piuttosto che atterrare, e ora sono pronti a un nuovo passaggio radente sulle aree in un primo tempo dimenticate. Durante la seconda guerra mondiale, uno dei bombardieri più temuti era lo Junkers Ju 87 (il famoso Stuka). Sul velivolo furono montate delle sirene, in qualche modo simulanti urla umane, allo scopo di demoralizzare militari e civili sotto attacco. Oggi le sirene, nel senso più seducente e odissiaco, sarebbero invece funzionali a indurre spropositi da esagitata gaiezza, e il richiamo traviante potrebbe simulare il suono della parola “turismo” (magari immaginando che a esso possano essere ancorate le linee guida per una nuova variante al PRG, dimenticando – intenzionalmente o meno, a seconda dei casi – che i flussi turistici sono in calo ovunque e che in ogni caso sono aleatori e tutt’al più stagionali; non considerando le statistiche nazionali, i trend e che, lì dove il turismo raggiunge indicizzazioni sostanziali, il settore trainante è comunque quello legato alle attività agricole e rurali. Solo per chiarire ciò che penso in merito: ben venga un turismo di tipo naturalistico, a cemento zero, pur privo dell’illusione che su di esso, in via primaria e basilare, si possa fondare lo sviluppo economico di un territorio. Assolutamente da evitare è il turismo fondato su villaggi, strutture alberghiere e affini, che apporta più cemento che vantaggi. L’ospitalità migliore è quella casereccia-familiare-compagnonesca).

Questi i concetti espressi dal mio amico, che ho reso vagamente in termini nozionistici di aeronautica militare, per trasmettere il sentimento del rischio che auspico di accrescere in chi legge. Procurato allarme che sia, o no, non è questo il fine dell’articolo presente. Sul post del mio amico hanno commentato in tanti, tutti genuinamente scandalizzati da simili possibilità prospettiche. Eppure sarebbe da tentare un esperimento, ossia di far pubblicare a qualcuno un post di segno opposto, che con i buoni termini della mediazione induca al buon umore, all’ottimismo, perché dopo anni di declino del settore primario (dovuto a tanti motivi intrinseci alla società siciliana e al non-cooperativismo connaturato alla stessa, malgrado quanto scrivesse Sciascia della nostra provincia di qualche tempo fa. Ma più utile ai fini elettorali è tirare in ballo la maledetta e caina Europa, che fa sempre brodo), finalmente si potrà fondare lo sviluppo sull’interesse manifestato dai visitatori stranieri, magari attirando capitali da fuori. Un vecchio pallino suddista, quello del sedersi aspettando che gli altri remunerino la beatifica visione. E in fondo, qualcuno crede che sia possibile metterlo in pratica facendo vedere la stanza di Montalbano, o mostrando le vie percorse dal cane intelligente e la chiesa sull’altura verniciata a nuovo (pazzesca l’idea che circola in questi giorni, del luogo come auditorium e sede di concerti. Inverosimile per le criticità preventivabili in termini di sicurezza e per la forte discordanza intellettiva emergente al pensiero che nella via della cultura c’è già un palchetto inutilizzato).

Non è necessario tentare l’esperimento, basandomi su recenti e personali vicende facebookiane, ho contezza del fatto che molti commentatori difenderebbero a spada tratta le ragioni di un turismo da sviluppo persino aggressivo. Al di là delle tifoserie, la questione è più semplice di quanto si creda, ed è la solita della moglie alcolizzata e i recipienti ancora carichi di vino. La via della mediazione sarebbe quella intrapresa sotto l’auspicio della minore invasività cementizia possibile, di correlare il turismo (in forma accedente) all’agricoltura, e via dicendo. Ma è questo realmente possibile oggi? Nel momento in cui le tifoserie sono funzionali alla confusione – propizia alle oculate malefatte dei più furbi – ognuno porta argomenti a vantaggio della propria tesi, traendoli dall’esperienza facebookiana o dal sentito dire comune, così come ho fatto io sino a questo punto.

È un sistema fallace questo, il database popolare non fornisce elementi utili alla strutturazione di un programma politico, perlomeno non sono utili se non filtrati dall’ideologia di fondo che si vuole perseguire e dal buon senso. Gli amici del mio amico sono percentualmente anticementificatori, dunque saranno contrari a ulteriori colate pretestuose. Gli amici di chi vuole cementificare saranno invece favorevoli, anche cogliendo qualche buona scusa temporanea. Tra gli uni e gli altri, la maggioranza non è realmente ben informata, e non sa che entrambi gli aspetti potrebbero avere luogo e convivere pacificamente, se predisposti in ordine a quei limiti ideologici e di buon senso di cui prima (ad esempio, una declinazione realmente progressista potrebbe essere questa: l’affare turismo, come detto prima, legato alla questione ambientale-naturalistica, sulla scorta di una trainante agricoltura cooperativista e rinnovata nel metodo, fuori dall’esclusività serricola; le ambizioni edilizie ristrette necessariamente e assolutamente alla riqualificazione. E tanta ce ne sarebbe da intraprendere, anche abbattendo interi fatiscenti quartieri).

L’esempio classico che porto spesso sulla fallacia del sistema fondato sul rilevamento dati dal contenitore sociale è quello del post sui socials riguardante i fatti criminosi particolarmente efferati. Se i parlamentari dovessero stare ad applicare ciò che il popolo sente in un dato momento storico, o ciò che è interpretato da quei sentimenti (era il sistema di diritto della Germania hitleriana), la pena di morte sarebbe già stata reintrodotta la settimana dopo la sua esclusione dal novero delle pratiche legali. E se un allenatore, ogni sabato mattina, dovesse ascoltare i consigli degli avventori di tutti i bar d’Italia, è probabile che a lungo termine scarsi risultati raggiungerebbe la sua squadra. La democrazia partecipativa di tipo grillino non funziona, se non nel margine sondaggistico e statistico. Qualcosa in più di curiosità e spigolature. La reale necessità del nostro tempo è quella di una politica che sappia prendere le migliori decisioni per il suo popolo, e che traduca democraticamente in azioni amministrative ciò che esso stesso non è capace di esprimere neanche in parole e richieste. La migliore democrazia si fonda sulla qualità di questi interpreti, intenti coscienziosamente a decifrare il possibile, il ragionevole, tra le aspettative di un popolo, ciò a prescindere da quanto rabbiosamente e incautamente si scriva su un social o si dica al bar. La nuova politica prepara l’opinione pubblica alla decisioni che occorre prendere, è formativa, ed è capace anche di incassare le lamentele infondate. È dunque una politica nuova quella che riesce a dire NO, e non è accondiscendente alle richieste non funzionali al buon andamento del sistema generale. Intendiamoci, la vecchia politica è già abilissima a scontentare, e però a questa non lietezza non seguirà mai il contraltare positivo. Aspettiamo la nuova politica, moderata eppure autorevole, realmente alternativa a tutto quello che ci è stato propinato perlomeno dagli anni ’90 in poi. Aspettiamo una politica che sia faro e non che segua i bagliori fatui di quanto si dice per strada sull’onda di improvvise frenesie demoralizzanti o di promettenti, esaltanti e imprecisate/imprecisabili aspettative. Aspetto qualcosa del genere, …ma con sfiducia e rassegnazione, perché sarà una lunga attesa.

 

La foto che correda l’articolo non ha alcun nesso con quanto scritto (forse), essa compare in funzione sperimentale, per verificare l’abilità di un cesso ad attirare l’attenzione del lettore (probabilmente meglio sarebbe andata con la classica donnina nuda).

Gaetano Celestre