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Ieri notte mi sono svegliato di soprassalto al pensiero che il prossimo sindaco di Scicli potrebbe non conoscere Charlie Parker, o non aver mai ascoltato Schubert. Nel dormiveglia ho anche giustificato una simile balzana questione, sotto il piano della sensibilità artistica da rilevare, della necessaria conoscenza della storia estetica richiesta, imprescindibile oggi che tanto si parla – forse a vanvera – di “bellezza”, e – data ad esempio la figura del sassofonista menzionato, nel suo miserevole circostante ambientale di disagio – del giusto peso che i candidati assegnano alle situazioni patogenetiche di una società imbarbarita congiuntamente alle possibili/eventuali escatologie artistiche.

Così ho sentito l’impulso di rileggere – chiaramente per sommi capi – il Contratto Sociale di Rousseau; per rammentarmi quel passaggio dove si lascia intendere che una aristocrazia di merito (non generazionale, né di censo) sarebbe in teoria da preferire alla classica forma di democrazia, segnalando negativamente il possibile meccanismo di rappresentanza a fazioni (Rousseau è probabilmente tra i sostenitori del concetto moderno di democrazia diretta, non mediata da partiti; strumento tra l’altro pericolosissimo quando non sostenuto dalla opportuna conoscenza e coscienza dell’elettore). Mentre mi trovavo in tali ambasce sono incappato in una terribile massima dello stesso: “Il popolo può conquistare la libertà, ma non mai recuperarla!” e su queste parole mi dibatto ormai da ore. Ho chiesto ad amici e parenti, ma nessuno mi ha saputo fornire un “come” sul cosa fare per far qualcosa. Forse per sfuggire al senso morale delle imminenti responsabilità di cui sono investito, in qualità di facente parte del corpo elettorale, ho preso in mano le Etimologie di Isidoro di Siviglia, e di male in peggio, ahimè, quasi pescando a caso, ecco che mi imbatto in queste parole: “La notte deriva il proprio nome dal verbo nuocere, in quanto nuoce agli occhi: è illuminata dalla luna e dalle stelle precisamente per non apparire disadorna e per consolare tutti coloro che di notte lavorano, nonché per offrire condizioni confortevoli a quegli animali che non possono sopportare la luce del sole.”

La finale risoluzione etimologica di Isidoro (Nox a nocendo dicta) è il culmine di un procedere per induzioni, dal particolare al generale. Ossia – raccogliendo le informazioni particolari – è senz’altro vero che l’oscurità notturna noccia alla capacità di chiara visione umana, altrettanto lampante è che luna e stelle adornino la volta celeste, così come fuor di dubbio risulta che tali segni celesti siano punto di riferimento in funzione delle più varie attività lavorative (si pensi alla navigazione d’altri tempi, ma anche all’ideale di elevazione di chi si travagliava nella legge morale dentro di sé), e non v’è alcuna necessità di soffermarsi su quanto le tenebre giovino ai rapaci nella consueta attività di caccia; ogni elemento è per sé veritiero, o verosimile, ma nell’insieme circoscrive una descrizione (generale) della notte in qualità formali-estetiche opinabili (forse mistificanti), perlomeno al giudizio della ragion critica di noi moderni deduttivisti (noi che dovremmo in primo luogo procedere dal generale al particolare, per cercare di rappresentare con maggiore e moderna scientificità le circostanze dell’esperienza). È ragionevole il mio pensiero, o no? E allora perché così tante faccende del quotidiano, a partire da certuni articoli di giornale per finire alle affermazioni amene e autorevoli manifestate allegramente in campagna elettorale, sembrano smentire i processi logici che conducono all’approssimativa ricerca della Verità? Fischio nel buio, per farmi coraggio.

Gaetano Celestre