b-donald11

Ho capito una cosa di questo Paese/Italia, esso è essenzialmente conservatore. Bella scoperta, mi si dirà, l’acqua calda! E non legittimo una difesa alla mia ingenuità neanche se dico che anche la sinistra progressista è spesso conservatrice e le elite culturali – anche quelle di sinistra – sono aristocratiche. Non cito neanche i fenomeni legati al pensiero liberale perché in Italia non esistono più da tempo (mi chiedo se siano mai esistiti) e nemmeno quelli talvolta drammaticamente da macchietta delle posizioni estreme (destra e sinistra, per me pari sono). Allora, chiarito che anche per me, come per Consalvo Uzeda, il partito in Italia è unico, ed è tutto dedito alla conservazione dei privilegi, non resterebbe altro che aderire alla posizione estetica. Purtroppo l’estetica è ambito di cui già si è appropriata una certa classe dirigente, manifestandola persino quale etica per mezzo di talune fictiones più o meno coscienti (meno, nel caso degli insulsi traffichini da codazzo). Dunque si dovrebbe intraprendere un lungo, lunghissimo, dibattito inteso a chiarire perlomeno in maniera accettabile un’etimologia e un significato assumibile comunemente, aprioristicamente, per i termini: estetica, retorica, etica, formalismo. Non è mia intenzione farlo in questa sede, non ne avrei le capacità, e mi scoccia pure un poco.

Da questo punto, per giungere al nichilismo, il passo è veramente breve. E se devo essere sincero, seppur mi dovessi pensare in qualche modo attirato dal mandare a quel paese tutte le cose che in maniera arrogante interpreto come negative, non credo che essa alla fine risulterebbe la migliore delle scelte. Soprattutto perché i nichilisti mi stanno antipatici. Mi segua il lettore volenteroso, ancora per un attimo, non si infastidisca, offrirò una soluzione o la parvenza di esso. A cosa mira l’umanità? Io ho parecchi dubbi su quanto sia legittimo credere che il fine ultimo dell’uomo possa essere il lavoro, l’occupazione seriosa e produttiva, nell’attesa di una assegnazione premi dall’alto dei cieli. Una specie di premio per aver impiegato tutto la vita a caricare la schiena, talvolta sino al punto di spezzarla? A parte il fatto che sono estremamente dubbioso sull’eticità di un sistema che preveda il ringraziamento per l’occupazione da parte del lavorante nei confronti del datore di lavoro, quando la possibilità di trovarsi occupati dovrebbe pacificamente essere di assoluta normalità nel vivere quotidiano, sono abbastanza propenso a credere che il fine dell’uomo sia invece, o dovrebbe essere, una media felicità consortile (un amico mi suggerisce che si dovrebbe rincorrere il benessere comune e non il bene comune). Questa l’utopia! Cari umani, cari lettori, non sarà mai così. Purtroppo, lo dico anche a me stesso, tali vane speranze saranno sempre irraggiungibili. L’uomo che insegue la felicità, di fatto, deve spesso farlo, o a discapito di altri (opzione che non mi sento di consigliare), oppure integrando tale ricerca nel disegno personale di generale disinteresse per la società. Sembra una scelta di destra (individualista), in realtà non lo è. Chiariamolo, ciò che è impossibile va comunque assunto come da realizzarsi in futuro, altrimenti si finisce per appendere il cartello “chiuso” e si fa come quegli eretici che, per liberarsi totalmente dalla corporeità del peccato, eliminavano il problema alla radice (non è consigliabile). Una gran fesseria, se posso esprimermi. Preferisco far finta di non aver capito, e continuare a stare al gioco della vita sociale, magari con la beata stupidità di chi cerca di migliorare egoisticamente il contesto in cui vive. Su tale ultima possibilità si innesta l’eventualità del disinteresse sociale. Ossia: e se a un certo punto preso dal più totalizzante degli egoismi cominciassi a fregarmene anche del contesto? Ovvio, alla fine si vive comunque nel contesto. Ma ammettiamone la possibilità e ammettiamo chi ci si annoi definitivamente di fingere pacifici e supini sorrisi di circostanza alle ragioni dei traffichini da codazzo, di fingersi più stupidi di quanto si è. Si arriva così al punto nodale della discussione: in ogni caso, il disinteresse sociale necessita di una rendita, altrimenti non è perseguibile.

La settimana scorsa, mi sono fermato a parlare con un altro amico (non era quello del “benessere”) – anch’esso si poneva i miei stessi dubbi: serve fare qualcosa? (la domanda è posta proprio nel senso più generale possibile) – e alla fine abbiamo fatto un breve elenco di mestieri (etimologia fantastica: da mesto) che in teoria dovrebbero consentire il disinteresse sociale, pur nella piena tranquillità economica. Lo riporto di seguito:

–         Rockstar di fama planetaria.

–         Onorevole presso il Parlamento italiano.

–         Omosessuale di notorietà televisiva, anche finto va bene (non me ne vogliano a male rappresentanti e sostenitori della lobby, lo so che è pericoloso fare ironie sulla gaiezza, a rischio di pesanti anatemi. Mi pento e mi dolgo. Ma ammetteranno gli interessati che tale indirizzo sessuale fa ormai tendenza nel mondo dello spettacolo).

–         Calciatore in serie A con velina annessa.

–         Personaggio dei fumetti.

–         Astronauta che non vuole ritornare.

–         Attore/attrice porno che scrive su MicroMega.

–         Il prete.

–         Scemo del villaggio che si fa mantenere dai suoi genitori, anche finto va bene (la differenza col punto di partenza sta nell’assimilazione totale).

 

Su tale ultima allettante opzione mi fermo, in ordine agli incentivi statali costituiti in merito.

 

Gaetano Celestre