CopertinaDurante il periodo natalizio a Scicli, presso la libreria Don chisciotte, è stato presentato il libro “Madonne d’ ogni giorno” scritto dalla siciliana Gabriella Grasso (di Leonforte). Di seguito una interessante recensione a firma di Giuseppe Nativo:

Così come nella mente umana esiste una vita nascosta, allo stesso modo ne esiste una, altrettanto nascosta, nella mente degli autori e dei loro personaggi, creature narrative evocate talora da una dimensione ormai dimenticata e distante anni luce dalla odierna mentalità. Si tratta, a volte, di una letteratura semplice che racconta le sue storie al lettore incatenato nel cerchio di quel meraviglioso che riporta in vita con la parola, mediandolo spesso dalle realtà vissute in altre epoche e talvolta rese grottesche dal ricordo.

Madonne d’ogni giorno” opera prima della sicilianissima Gabriella Grasso, Euno Edizioni (Leonforte 2013, pp. 80), ha questa particolarità, compreso il titolo che già richiama evocazioni dal sapore antico. Il motivo conduttore del volumetto è il mondo femminile che ruota attorno all’atmosfera stagnante di un piccolo paese, Roccalumia, in un’assolata Sicilia dal volto arcaico e rurale di oltre mezzo secolo addietro. Una dimensione in cui la sensibilità femminile, non di rado, viene ad essere denudata, offesa e calpestata sia nella dignità che nella integrità fisica.

Protagoniste indiscusse, dunque, le donne viste però nel loro antico vezzo quotidiano del pettegolezzo attraverso cui si sa tutto di tutti, anche se, talvolta, in maniera distorta da una realtà più cruda della fantasia.

Una quotidianità che si presenta grezza, da risvolti grotteschi e chiusa in una quasi obbligata rassegnazione del proprio destino di donna: quello di soccombere al volere maschile fortemente ancorato al senso dell’onore e della parola data considerati come sentenze senza possibilità di appello.

Il cosiddetto occhio sociale è un coro unanime che condanna senza tregua l’apparire senza mai approfondire l’essere.

L’animo maschile, in apparenza puro e duro come una roccia, è frantumato e polverizzato da quello femminile le cui grazie (in particolare quelle anatomiche) fanno talora perdere la testa anche ai preti.

Quella che descrive Gabriella Grasso è, in fondo, una dimensione umana vista attraverso le sofferenze, i sacrifici, le vessazioni di una società fatta di uomini ma dove la vera forza motrice è la donna. Di qui l’esigenza dell’autrice di scrivere otto storie tutte al femminile snocciolate in una incalzante sequenza, sfornata da due vicine di casa (Vastiana e Concettina che si ritrovano affacciate alla finestra), che si dirama a macchia d’olio toccando tanti tasselli di vita tutti intersecati dalla presenza di “donna Prizzita”, la “mammana” del paese che tutti conoscono e di cui lei conosce gli intimi segreti.

Una “donnetta piccola e sparuta”, un tipo asciutto, “secca e tesa come uno spago”, dal carattere burbero e scontroso ma che dà anima e corpo alla sua professione correndo “tutto il giorno ora entrando ora uscendo dalle case di questo e di quell’altro per portare aiuto alle partorienti” e facendo “sgravare le femmine, fossero esse di uomini o di animali”. È lei che, con l’esperienza maturata negli anni, stabilisce “i tempi del travaglio e del parto” aiutandosi “con le lune e mai sbagliava”.

Una scorza dura quella di “donna Prizzita”, originata da un’infanzia molto sofferta tanto da un punto di vista sociale quanto affettivo, che nasconde, forse, una sensibilità superiore e che viene, in parte, svelata nel finale a sorpresa: una sorta di riabilitazione post mortem.

Quello della giovane autrice è un linguaggio semplice e talora stringato che viaggia in parallelo con il ritmo della narrazione in cui la parola disegna luoghi, ambienti e circostanze che nell’oblio del trascorso riempiono il presente.

 

Giuseppe Nativo