image

Pochissimi media hanno dato la giusta rilevanza alle elezioni irlandesi, e alla sconfitta delle ragioni governative. Molto brevemente: i buoni amministratori, quelli che hanno fatto uscire l’Irlanda dalla crisi, riportandola su ottimi livelli di crescita (in percentuali addirittura spaventose se confrontate alle misere cifre decimali italiane), abbassando il tasso di disoccupazione, rispettando i compiti assegnatigli dalle istituzioni comunitarie, e ricevendo da questi ultimi il plauso finale, alla fine sono stati bocciati alle urne. Che cosa sarà accaduto? Le opzioni sono in pratica due, o il popolo non ha capito (non sarebbe la prima volta! Si pensi a quanto accadde al Governo Prodi in Italia), oppure – e propendo per questa ipotesi – i numeri positivi non hanno avuto alcun risvolto materiale nel quotidiano del cittadino irlandese. In tal senso, un buon indicatore, dovrebbe essere il dato che segnala il crescere dei senzatetto, in un Paese che è entrato in crisi a causa della speculazione immobiliare. Il risultato elettorale irlandese dovrebbe generare parecchi dubbi, e conseguenti riflessioni, specie in terra italica (dove lo stato sociale non se la passa bene, e i numeri dell’economia non sono neanche di conforto), eppure – almeno apparentemente – continuiamo a viaggiare incaponiti verso un domani ancora più incerto del presente, lietamente ballando e cantando, magari alzando la voce per non stare a sentire i gufi della terza classe. È inutile, ovviamente, protestare, criticare, o proporre alternative, anche per non rischiare la fine del moscerino che vuole infrangere il parabrezza dell’automobile in corsa. Allora perché si scrive e si blatera ostinatamente, in ogni luogo, virtuale e reale? Forse perché fa piacere sentirsi antipatici, o forse perché il sistema elettorale ci ha reso esenti da opposizione politica (abbiamo bisogno di partiti che si occupino della sola opposizione, purché lo facciano però con serietà ideologica e intellettuale), e quell’unico movimento che doveva rappresentare l’antitesi alla conservazione è divenuto alfiere della protesta inutile, dunque dell’ultraconservatorismo qualunquista. Ammetto che mi ero illuso anch’io, in un primo momento. Cosa resta se non il PD? Sì, lo si critica, è vero, ma non ci sono alternative a Renzi!, non oggi, purtroppo.

Prestando molta cura a non manifestare eccessivi timori, qualche quotidiano, con timidezza, palesa la possibilità di un ingresso a breve in un periodo di stagnazione secolare. Arrivano tardi, lo avevamo già capito da un pezzo. Tutto sommato ammetto che l’aspettativa migliore è augurarselo ancora perdurante a lungo. La mia condizione oziante mi induce a credere che una stagnazione sia sempre preferibile al tracollo veloce. Quando tutto declina lentamente, l’individuo/singolo rischia di salvarsi, sia anche per puro caso. La morte lenta in certi casi è lentissima, sembra quasi “vita” (o “sopravvivenza”). Invece le mie paure, e forse non solo le mie, sono indirizzate a quel momento catartico che appare sempre più inevitabile e da prospettarsi nel breve periodo: le borse sono volatili, i segni positivi non seguono trend diversi dalla schizofrenia e per molti osservatori potrebbe essere in arrivo una nuova bolla finanziaria (nel caso, i decimali in positivo di Renzi, che effettivamente qualcosa ha fatto sino ad ora, verrebbero in un istante spazzati via). Che fare? Proprio niente (meno si fa, meno danni si arrecano), anche perché non è più in potere del cittadino ostacolare alcunché (il referendum contro le trivellazioni probabilmente – a meno di ripensamenti dell’ultimo momento – non sarà da me ossequiato, non lo merita il sistema: da elettore, o decido tutto, o preferisco non giustificare niente). Gli intrecci tra individui singoli nel mondo globalizzato ci hanno resi estremamente dipendenti l’uno dall’altro (d’altro canto, l’individuo lasciato a se stesso era rischioso altrettanto, come è stato ampiamente dimostrato dalle tragedie di inizio novecento), e il pericolo di un effetto domino è avvertito molto meno inconsciamente di quel che sembra. Il primo che fallisce trascina tutti gli altri. Questo grande timore si traduce in immobilità, stagnazione. E allora ci si attacca a tutto quel che come la manna proviene dal cielo, inaspettatamente, a portar profitto economico. Mosè, tuttavia, aveva ben avvertito i suoi di non accumularne di quella roba che veniva mandata dai cieli, perlomeno non oltre il necessario quotidiano. In ambito territoriale, ad esempio, si parla di destagionalizzare gli eventi (quest’anno l’estate è venuta d’inverno, peccato che non se ne sia approfittato mandando i turisti a fare bagni a Cavalarica), ciò al mero fine di attirare eventuali investitori esterni. Si creano dipendenze, per fare sussistenza, invertendo i processi logici.

In principio furono i pomodori, nella nostra area geografica, oggi è l’immateriale patrimonio che è preso di mira, giustificandolo di un imbellettato manto d’eccellenza. Ma sarà realmente eccellente? E quel pomodoro in serra era veramente così buono? E quindi viene da pensare che forse si dovrebbe invece stagionalizzare e adeguarsi alle contingenze, piuttosto che forzarle ai nostri bisogni estemporanei. Vien da pensare che magari se non avessero mai girato la famosa fiction, nella zona, avremmo cercato qualche via più sicura di sviluppo economico e forse sarebbe stato meglio per tutti. È probabile che prima o poi dovremo andare a recuperare quella mediocritas (dal latino: moderazione, via di mezzo, giusto mezzo) popolare che è sempre stato il vero mezzo di intervento creativo nella circostanza storica. Ricordo il Catone di un bellissimo film di Luigi Magni che spiega a Scipione come mai gli è ostile, e perché la Res Publica va tutelata da derive autoritarie, impedendo agli eccellenti di eccellere troppo. Ma sappiamo bene come andarono e andranno le cose, arrivò Augusto, che forse era peggio di Scipione (o almeno non migliore) e stasera tutti saremo davanti alla TV, poiché inizia la nuova serie della fiction.
Gaetano Celestre