Ma quanto è bella la stagnazione secolare
- 29 Febbraio 2016 - 17:49
- 5
Pochissimi media hanno dato la giusta rilevanza alle elezioni irlandesi, e alla sconfitta delle ragioni governative. Molto brevemente: i buoni amministratori, quelli che hanno fatto uscire l’Irlanda dalla crisi, riportandola su ottimi livelli di crescita (in percentuali addirittura spaventose se confrontate alle misere cifre decimali italiane), abbassando il tasso di disoccupazione, rispettando i compiti assegnatigli dalle istituzioni comunitarie, e ricevendo da questi ultimi il plauso finale, alla fine sono stati bocciati alle urne. Che cosa sarà accaduto? Le opzioni sono in pratica due, o il popolo non ha capito (non sarebbe la prima volta! Si pensi a quanto accadde al Governo Prodi in Italia), oppure – e propendo per questa ipotesi – i numeri positivi non hanno avuto alcun risvolto materiale nel quotidiano del cittadino irlandese. In tal senso, un buon indicatore, dovrebbe essere il dato che segnala il crescere dei senzatetto, in un Paese che è entrato in crisi a causa della speculazione immobiliare. Il risultato elettorale irlandese dovrebbe generare parecchi dubbi, e conseguenti riflessioni, specie in terra italica (dove lo stato sociale non se la passa bene, e i numeri dell’economia non sono neanche di conforto), eppure – almeno apparentemente – continuiamo a viaggiare incaponiti verso un domani ancora più incerto del presente, lietamente ballando e cantando, magari alzando la voce per non stare a sentire i gufi della terza classe. È inutile, ovviamente, protestare, criticare, o proporre alternative, anche per non rischiare la fine del moscerino che vuole infrangere il parabrezza dell’automobile in corsa. Allora perché si scrive e si blatera ostinatamente, in ogni luogo, virtuale e reale? Forse perché fa piacere sentirsi antipatici, o forse perché il sistema elettorale ci ha reso esenti da opposizione politica (abbiamo bisogno di partiti che si occupino della sola opposizione, purché lo facciano però con serietà ideologica e intellettuale), e quell’unico movimento che doveva rappresentare l’antitesi alla conservazione è divenuto alfiere della protesta inutile, dunque dell’ultraconservatorismo qualunquista. Ammetto che mi ero illuso anch’io, in un primo momento. Cosa resta se non il PD? Sì, lo si critica, è vero, ma non ci sono alternative a Renzi!, non oggi, purtroppo.
Prestando molta cura a non manifestare eccessivi timori, qualche quotidiano, con timidezza, palesa la possibilità di un ingresso a breve in un periodo di stagnazione secolare. Arrivano tardi, lo avevamo già capito da un pezzo. Tutto sommato ammetto che l’aspettativa migliore è augurarselo ancora perdurante a lungo. La mia condizione oziante mi induce a credere che una stagnazione sia sempre preferibile al tracollo veloce. Quando tutto declina lentamente, l’individuo/singolo rischia di salvarsi, sia anche per puro caso. La morte lenta in certi casi è lentissima, sembra quasi “vita” (o “sopravvivenza”). Invece le mie paure, e forse non solo le mie, sono indirizzate a quel momento catartico che appare sempre più inevitabile e da prospettarsi nel breve periodo: le borse sono volatili, i segni positivi non seguono trend diversi dalla schizofrenia e per molti osservatori potrebbe essere in arrivo una nuova bolla finanziaria (nel caso, i decimali in positivo di Renzi, che effettivamente qualcosa ha fatto sino ad ora, verrebbero in un istante spazzati via). Che fare? Proprio niente (meno si fa, meno danni si arrecano), anche perché non è più in potere del cittadino ostacolare alcunché (il referendum contro le trivellazioni probabilmente – a meno di ripensamenti dell’ultimo momento – non sarà da me ossequiato, non lo merita il sistema: da elettore, o decido tutto, o preferisco non giustificare niente). Gli intrecci tra individui singoli nel mondo globalizzato ci hanno resi estremamente dipendenti l’uno dall’altro (d’altro canto, l’individuo lasciato a se stesso era rischioso altrettanto, come è stato ampiamente dimostrato dalle tragedie di inizio novecento), e il pericolo di un effetto domino è avvertito molto meno inconsciamente di quel che sembra. Il primo che fallisce trascina tutti gli altri. Questo grande timore si traduce in immobilità, stagnazione. E allora ci si attacca a tutto quel che come la manna proviene dal cielo, inaspettatamente, a portar profitto economico. Mosè, tuttavia, aveva ben avvertito i suoi di non accumularne di quella roba che veniva mandata dai cieli, perlomeno non oltre il necessario quotidiano. In ambito territoriale, ad esempio, si parla di destagionalizzare gli eventi (quest’anno l’estate è venuta d’inverno, peccato che non se ne sia approfittato mandando i turisti a fare bagni a Cavalarica), ciò al mero fine di attirare eventuali investitori esterni. Si creano dipendenze, per fare sussistenza, invertendo i processi logici.
In principio furono i pomodori, nella nostra area geografica, oggi è l’immateriale patrimonio che è preso di mira, giustificandolo di un imbellettato manto d’eccellenza. Ma sarà realmente eccellente? E quel pomodoro in serra era veramente così buono? E quindi viene da pensare che forse si dovrebbe invece stagionalizzare e adeguarsi alle contingenze, piuttosto che forzarle ai nostri bisogni estemporanei. Vien da pensare che magari se non avessero mai girato la famosa fiction, nella zona, avremmo cercato qualche via più sicura di sviluppo economico e forse sarebbe stato meglio per tutti. È probabile che prima o poi dovremo andare a recuperare quella mediocritas (dal latino: moderazione, via di mezzo, giusto mezzo) popolare che è sempre stato il vero mezzo di intervento creativo nella circostanza storica. Ricordo il Catone di un bellissimo film di Luigi Magni che spiega a Scipione come mai gli è ostile, e perché la Res Publica va tutelata da derive autoritarie, impedendo agli eccellenti di eccellere troppo. Ma sappiamo bene come andarono e andranno le cose, arrivò Augusto, che forse era peggio di Scipione (o almeno non migliore) e stasera tutti saremo davanti alla TV, poiché inizia la nuova serie della fiction.
Gaetano Celestre
Cinà
Stamane una persona mi ha detto che è proprietaria di sette case.
Bene penso lei sia una persona benestante – ho asserito con un sorriso io -.
In realtà – mi ha risposto – fra poco non avrò più soldi per pagare le tasse di quelle case e sarò costretta al fallimento.
Perché – le ho chiesto tra l’ingenuo e l’incuriosito -.
Perché – ha controbattuto – l’unico modo di sopravvivere oggi è quello di vendere tutto il più rapidamente possibile e andare via dall’Italia, cercando un paese in cui vi sia ancora um minimo di giustizia sociale per dare un futuro ai miei figli.
Fine della storia!
Gaetano Celestre
A parte il caso specifico, eventualmente “limite” per la quantità abnorme di immobili (sette case sono tante davvero!), la faccenda cui lei fa probabilmente riferimento è realmente preoccupante e riguarda chi – ahimè, poveraccio lui – può vantare proprietà anche di un solo immobile. Figuriamoci tutti quei che si sono ritrovati a ereditare il surplus dell’abitazione di villeggiatura, frutto del lavoro dei nonni, ad esempio. E sarebbe interessante capire se è possibile operare una distinzione in merito, tra questo tipo di accumulo da “roba” tipicamente siciliano, e quello che deriva dall’attività capitalista vera e propria. Nel caso, in zona, i comunisti sarebbero in tanti ad essere stati – magari inconsciamente – capitalisti. Non allarghiamo i confini della riflessione pertinente a questo commento, ritorno al tema da lei suggerito. Sono convinto che associare l’ISEE ai sistemi di previdenza sociale, potrebbe risultare addirittura criminale. Ma che resta da fare se non osservare? Lei crede che a qualcuno – inteso in numero rilevante e nelle forme della correttezza intellettuale, non del gretto interesse “particulare” – importi realmente qualcosa di quello che ci stiamo dicendo? Facciamo discussione perché ci resta solo questa, e per fortuna che ce la lasciano ancora. Ma non c’è da temere, in fondo. È una dittatura sottile quella del generale vociare confuso, passa per libertà agli occhi dei più. E guai a contraddire le masse, si inferociscono. Per ora lasciamogli Montalbano, che perlomeno li rasserena nelle loro ansie serali. Poi c’è il Calcio, i cavalli, u Gioia, e magari vien da pensare che tutte queste parole siano un abuso da ubbie incontrollate. Pessimismo vano e inutile, non produttivo. Non val la pena neanche cercare una ragione tra le posizioni, mi creda. Non si dimentichi, poi, che c’è anche chi non può scappare.
Gaetano Celestre
Einstein scriveva a Croce: “La filosofia e la ragione medesima sono ben lungi, per un tempo prevedibile, dal diventare guide degli uomini, ed esse resteranno il più bel rifugio degli spiriti eletti; l’unica vera aristocrazia, che non opprime nessuno e in nessuno muove invidia, e di cui anzi quelli che non vi appartengono non riescono neppure a riconoscere l’esistenza.”
Non mi sogno neanche minimamente di dichiarare la mia appartenenza a una alta società di questo tipo, tuttavia non nascondo di mantenere viva l’ambizione a rincorrerla. Magari è proprio tale attività che perseguiamo in questi commenti, nella discussione tutta.
Cinà
Caro Gaetano, rovistando tra vecchi appunti ho casualmente ritrovato uno scritto con dei pensieri attribuiti (alcuni dubitano dell’orinalità, ma poco importa!) ad un signore con un nome strano: Toro Seduto capo tribù dei Hunkpapa Sioux (Lakota) vissuto nell’ottocento negli Usa. Forse c’entrano poco con i pensieri di cui sopra, o forse sì. Mi piace condividerli con i lettori di Nove tv:
“È strano, ma vogliono arare la terra, e sono malati di avidità. Hanno fatto molte leggi, e queste leggi i ricchi possono infrangerle, ma i poveri no. Nella loro religione i poveri pregano, i ricchi no. Tolgono denaro ai poveri e ai deboli per sostenere i ricchi e i potenti.
Sette anni fa abbiamo stipulato un trattato con l’uomo bianco. Ci ha promesso che la terra dei bufali sarebbe stata nostra per sempre. Adesso minacciano di prenderci anche quella. Dovremmo cedere, fratelli? O invece dire loro: “Dovrai uccidermi prima di impossessarti del mio paese”.
Siete ladri e bugiardi. Vi siete presi le nostre terre e ci avete resi emarginati.
Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete.
Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro.
Il guerriero per noi è chi sacrifica se stesso per il bene degli altri.
È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a se stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell’umanità.
Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, abbattuto l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche.
Quando sarai pronto a morire sarai grande abbastanza per vivere.
Se il grande spirito mi avesse voluto bianco, mi avrebbe creato così. Ha messo nei vostri cuori alcuni desideri ed altri nel mio… ben diversi. Non è necessario per un’aquila essere un corvo”.
Gaetano Celestre
Bellissimo messaggio per l’umanità!