A sette mesi dalla scomparsa di Daouda Diane, sono in tanti a chiedere di conoscere la verità, sapere dunque che fine ha fatto il giovane ivoriano, sparito da Acate.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO una lettera di appello firmata da un Sacerdote della Diocesi di Noto, Don Paolo Catinello, parrocco di San Giovanni Battista (Avola), da sempre impegnato nella lotta contro le povertà e nell’accoglienza degli immigrati.




La disgrazia degli individui senza status giuridico non consiste nell’essere privati della vita, della libertà, del perseguimento della felicità, dell’eguaglianza di fronte alla legge e della libertà di opinione (formule intese a risolvere i problemi nell’ambito di determinate comunità), ma nel non appartenere più ad alcuna comunità di sorta…”. (Hanna Arendt)

Con le parole di Hanna Arendt voglio iniziare questa mia lettera che ha lo scopo di chiedere ancora una volta verità e giustizia per il giovane ivoriano Dauda Diane, scomparso da Acate da ormai 7 mesi.

Forse si tratta di schiuma della terra che possiamo anche dimenticare, o di un essere umano che interpella non solo la nostra umanità ma anche il nostro orgoglioso modello di civiltà che vorremmo esportare in altre parti del mondo?

Quale la colpa di questo ragazzo ivoriano, modello di lavoratore e di perfetta inclusione sociale? Forse il fatto che ha denunciato le condizioni disumane in cui versano tanti lavoratori? Forse il desiderio legittimo, per sé e per altri amici, di avere il minimo rispetto delle norme di sicurezza? forse questo indifeso ragazzo africano ha mostrato le rughe di un paese e in modo particolare di una regione che non considera più il lavoro come fonte di partecipazione umana al progetto della creazione di Dio ma solo come fonte di guadagno fine a se stessa?

Forse Dauda ha aperto un sentiero di affrancamento da quelle forme di dipendenza che rendono l’uomo schiavo?

Forse l’ivoriano ci ha dato una grande lezione di civiltà ricordandoci quello che diceva Levinas : “il confronto con il volto, costringe l’uomo a ripensare i fondamenti della sua cultura. Bisogna passare, dal principio dell’identità al principio di alterità, dal primato dell’io al primato dell’altro.”

Come mostrare a questa Società che esiste ancora un briciolo di umanità autentica e credibile, solo se facciamo nostro il principio di responsabilità che passa inevitabilmente per il fare memoria e non dimenticare.

Responsabilità per l’altro non significa avere rispetto dei diritti e delle libertà altrui, ma “prendersi cura “della sua libertà, dei suoi diritti. Il semplice riconoscere i diritti degli altri, il rispetto della libertà altrui, dice Lèvinas, è molto importante, ma non cambia l’altro.

Solo nell’ottica della responsabilità, possiamo passare da una società dove “l’uomo è per l’uomo un lupo” ad una società dove “l’uomo è per l’uomo un uomo”.

Solo se si pone, al centro di tutto la responsabilità, si semina nel mondo quel germe di “umanità”, da cui può nascere la pace. La libertà non è un valore acquisito da difendere. La libertà è un progetto verso cui tendere.

Se non rispondo di me chi può rispondere per me? e se rispondo solo di me sono ancora io?

Vorrei chiudere rivolgendo una domanda tratta dal libro del Genesi a coloro che sanno qualcosa sulla scomparsa di Daouda, ma ancora non hanno avuto modo di parlare: Sono forse io il custode di mio fratello Dauda Diane? Carissimi, eludere questa domanda corrisponde a tradire la nostra umanità, il che significa non avere futuro.

Don Paolo Catinello