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Sono un buon lettore di fumetti, di ogni tipo (no graphic novel, preciso. Sono ancora legato alla novella scritta). Sono anche convinto che nella apparente semplicità dei fumetti, per adulti o per giovani e giovanissimi, si possa cogliere qualcosa di quello “spirito del tempo” che tanto pericolosamente è stato più volte interpretato nelle fasi più nefande della storia umana. Intendiamoci, cerco di interpretarlo anch’io, ma certamente non per ergermi a Fuhrer di un qualche popolo. Invece provo – più alla don Abbondio – a parare le eventuali pedate in arrivo. È presunzione anche la mia, del resto: a rigor di logica non trovo ragioni per sentirmi così importante/rilevante, nella società che mi fa contesto, da temere pedate “particolari”, indirizzate solo esclusivamente a me. Di quelle che giungono a tutti, generalizzate e generalizzanti, non ho notizia. Evito il complottismo come la birra analcolica, da quando se ne è appropriato il cinque stelle. Dunque, per quel che posso saperne, il resto del mondo se la sta passando alla grande e io leggo fumetti. Quelli per i più giovani, in particolare quelli della Disney, mi hanno sempre affascinato. C’è in questi ultimi un sottile indirizzo morale latente, per cui uno sprovveduto potrebbe essere indotto a credere di aver a che fare con un tentativo di indottrinamento, e invece si tratta proprio di quello “spirito del tempo” di cui scrivevo prima.

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Poco prima di prendere sonno, in una delle nottate scorse, mi è passata davanti agli occhi la vignetta che come foto ho scelto a corredo principale dell’articolo (vd. più su). È un estratto da una storia risalente al 1975, più che spirito del tempo, ricerca archeologica: Il genio della lampada, nel tentativo di soccorre la banda bassotti nel loro criminale auspicio di profitto, si proietta in un futuro lontano al fine di rapinare una banca. Il futuro delineato nelle immagini è quello classico delle auto volanti, dei grattacieli altissimi e delle pistole laser. Io nel ’75 non c’ero ancora, però ricordo benissimo i sogni ad occhi aperti di cui si viveva un decennio dopo, e ancora mi pizzicano le palpebre a causa del collirio televisivo che le irrorava in continuazione. Dagli anni ’80 del Novecento al nuovo millennio attendevamo uno stravolgimento tale da risultare senz’altro ingiustificato, per lo stacco di anni che separava quel presente da quel futuro. Tuttavia, oggi possiamo affermare che in fondo quei sogni tecnologici, zitti zitti, quatti quatti, li abbiamo davvero realizzati. La disillusione è probabilmente di origine psicologica; attendevamo lo straordinario e invece è tutto normale. Come sempre! Il futuro che stiamo vivendo, a posteriori, non rende per nulla l’effetto del meraviglioso, alla “ritorno al futuro”, che tutti ci aspettavamo, questo è il problema.

In realtà dovremmo essere molto contenti di quel che abbiamo fatto nel settore delle tecniche, persino di quelle politiche (era impensabile un intervento diretto dell’elettore individuato, negli anni ingessati del Pentapartito). E invece d’un tratto ci siamo tutti intristiti, non sogniamo più futuri eclatanti, neanche a scadenza cinquantennale. Anzi, ipotizziamo catastrofi a breve. Non c’è modo migliore, per invecchiare precocemente, che cominciare – da trentenni – a curvare la schiena e deambulare in piazza con le mani incrociate dietro. Be’, perlomeno io ho fatto così, e spero che funzioni. Basta convincersi, perché le cose accadano. Senza dubbio i motivi di questo lugubre presente (che poi così lugubre non è, anzi per le possibilità di benessere potrebbe essere una contingenza edenica) sono da rinvenire nell’abbassamento della qualità intellettuale, nell’incapacità a trovare aristocrazie di merito in grado di saper amministrare la cosa pubblica, nello spreco indiscriminato e inconsapevole di risorse, e nella scarsa eticità di fondo in ognuno dei consociati, che è conseguenza in gran parte proveniente dall’ebete arrendevolezza che ci contraddistingue. In fine, la ragione del disastro possibile è nello scarso utilizzo della Ragione. Dunque fine dei sogni, fine delle ideologie e delle utopie. La necessità di cose normali ed essenziali da fare per contingenze immediate, ci castra in questo limbo freddo e senza ragione. Così quando pensiamo a qualcosa, e immaginiamo nel nostro infinitesimale piccolissimo, il risultato assomiglia alla foto segnalatami da mio padre (la allego in fondo al pezzo): una asettica cucina moderna (“sembra un laboratorio di chimica”, suggerisce sempre mio padre). Addio cara Estia, protettrice del focolare domestico, addio gioie della tannura, mura affumicate come residui di gloriose imprese da tavola conviviale, ci rivediamo al prossimo ciclo temporale. Come l’ultimo dei Feaci vi saluto, divinità avite, voi abili ipostasi di un universo rurale e gustosissimo. Solo il ricordo rimane delle ‘rancine con la cotica, del sugo di maiale, le scacce di prezzemolo, i pastizzi di verdura, e la piacevole indolenza da postuma pesantezza di stomaco, da sorbire come un digestivo dinanzi alle braci ancora calde.

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A beneficio del lettore eventualmente in dubbio, una chiosa per chiarire che in ogni caso c’è da restar sereni, le cose alla fine si aggiusteranno da sole. Dell’Impero Romano che cadeva neanche ci accorgemmo, il cielo che cadde nell’anno Mille non provocò poi così tanti dolori al capo e per un tizio che si impone imperatore sulle teste che rotolano, sempre disponibile è una Sant’Elena. Intendo dire che, malgrado il risultato increscioso del Partito d’Azione alle Elezioni del ’46 (il c.d. partito degli intellettuali conseguì un misero 1,5%), ci siamo barcamenati sino a qui, più o meno onorevolmente (forse più meno che più), senz’altro garantendoci una tendenziale agiatezza generale. Se ne deduce che malgrado le catastrofi, reali e fittizie, o le crisi, temporanee e croniche, gli assestamenti e l’equilibrio si raggiungono sempre. Occorre solo, nel contempo di questi periodi d’indugio, peritarsi di evitare scossoni pericolosi (le pedate in arrivo). Tale accorgimento lo si può condividere con altri (e sarebbe il far politica), o esercitarlo in solitudine (l’unica opzione possibile, nel caso in cui tutte le scelte elettorali preferibili lascino profetizzare un simpatico disastro da macchietta finale. Penso alle coalizioni probabili per le prossime amministrative sciclitane). Tutto si aggiusta, evviva don Abbondio, evviva l’immaginazione al potere.

Gaetano Celestre