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Festa di paese e banda musicale; il binomio fa parte di una necessaria e ineludibile dialettica dell’immaginario di ogni buon socio urbanizzato. O per meglio dire, di quel cittadino che è ancora figlio del gran Novecento, secolo di orrori ma anche di grande progressi civili. La Banda di paese è la colonna sonora delle commemorazioni, e degli eventi legati alle tradizioni, in generale. Mahler diceva che tradizione non è culto delle ceneri, ma custodia del fuoco, e se questo è il comandamento del progressista razionale, io penso di averlo riconosciuto nella giornata – Open Day – organizzata dalla Banda musicale di Scicli domenica 9 Ottobre presso la Villa Penna. Mi auguro che la giornata abbia piacevole seguito, in più occasioni. Non voglio scrivere un articolo celebrativo dell’evento particolare, e tanto meno fare una rassegna giornalistica a trascrizione di quel che ho visto e sentito, non è il mio mestiere. Piuttosto preferisco segnalare il momento come manifestazione di vitalità culturale del paese. Per essere più specifici, è lodevole l’intento della Banda di incontrare il resto della cittadinanza. In un momento storico in cui le tradizioni sono ritornate ad essere oggetto dell’interesse cittadino, la Banda musicale paesana è senz’altro tra i riferimenti principali cui collegare qualunque tipo di ragionevole convivenza. Il ripristino delle tradizioni, o re-interessamento dei giovani, forse sta avvenendo più in funzione commerciale che altro, a dire il vero. In ragione di aspettative di guadagno dal settore turistico, ahimè. Preferirei –  è una mia opinione – che il cittadino si interessasse del suo passato per una questione puramente culturale, o in funzione della buona condotta civica. Ma sono fiducioso per il futuro, poiché in fine probabilmente “tutto fa brodo”, forse.

Mio nonno era nella banda, dunque sin dalla mia primissima infanzia mi sono trovato ad osservare (prima ancora che ad ascoltare) le dinamiche della musica itinerante. Erano passeggiate procedimentali musicate che ho sempre vissuto con interesse, seppur in qualche modo “laterale”, tanto che ancora oggi – laicamente – preferisco procedere a fianco i musicisti. Del passato: non posso negare il sereno sorriso, per come esso si allarga mentre scrivo, al pensiero della beatitudine provata (e ora ricordata), quando mio nonno mi prendeva per mano e mi portava a sentire la banda, dietro qualche simulacro (la processione, per l’appunto). Chiaramente la banda non è solo legata alle tradizioni religiose, ma è ad esempio il giusto mezzo di rinvigorimento delle lotte politiche di ogni tempo. Forse è in seguito alla mia furiosa infatuazione politica sinistrorsa che ho riscoperto la Banda nell’ultimo decennio. L’orlandesca arrabbiatura di cui si alimenta la passione politica, subisce fortemente la fascinosa virilità promanata dalle marcette. Accadeva così anche a destra, in effetti, specie nel corso di quel notoriamente sciagurato ventennio del Novecento. A proposito di fascismo, nel corso dell’Open Day ho avuto modo di poter visitare una interessantissima mostra di oggetti, divise e strumenti che riguardano la banda sciclitana. Tra gli oggetti che hanno richiamato la mia attenzione, le partiture: leggendo e interpretando i brani nelle scalette adottate per le manifestazioni pubbliche in Piazza Municipio, per come si susseguono grossomodo dal ’29 al ’41, se ne trae sommariamente una graduale uniformazione sociale alle direttive di pensiero nazionalista. In qualche modo occorre segnalare al cittadino che la nostra storia è leggibile, non solo come riflesso, ma anche come partecipazione, nell’attività bandistica. Il patrimonio culturale che porta con sé una banda di paese, in vivace cammino lungo le vie dei secoli, è di valore inestimabile. Non si sottovaluti il rischio di perdere questo enorme contenitore di sogni che è la banda, e non si dia per scontata la permanenza qualora non sia alimentata dall’interesse – pur anche laterale – da parte di ogni sciclitano. Non vedo un rischio concreto, è vero, la banda gode di un buon stato di forma, per quel che capisco con sguardo da esterno. E non è più certamente la banda degli artigiani, come mio nonno, cioè di chi suonava per allietare il tempo altro rispetto quello lavorativo. Oggi, la banda non solo è scuola per musicisti, come lo è sempre stata, ma è anche ricettivo oggetto di interesse delle scuole. Molto probabilmente – da ignorante in materia –  una benvenuta conseguenza del progresso tecnico (e senz’altro anche tecnologico), è da tempo penetrata nell’ossatura strumentale (orchestrale) tramite i componenti della Banda, ed è da contrassegnare in una forma di semiprofessionismo generalizzata.

Tuttavia, da sognatore, non nascondo di essere ancora attratto da quel senso di ingenuità popolare, o meglio ancora di quel lavoro di inestimabile valore che è l’inconsapevole costruzione del mito. Gli usi e le consuetudini folcloriche, senza essere altisonante coi termini, sono la base di fondazione dei prossimi miti. Una società senza mitologia non ha ragione d’essere, una società senza banda che accompagna i propri simulacri, in gloria o come memento mori che sia, non è mai esistita e non potrà esistere.

Il poeta di Recanati scriveva:

Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.

Sin dalla mia primissima infanzia, lo squillare delle campane (la squilla!) l’ho sempre associato a quello degli ottoni, potente suono, frammezzo ai legni e le chiassose percussioni. Il ricordo si fa attuale e si proietta su un futuro ameno da garantire anche a chi verrà dopo, su questo si fonda il contratto di lieta convivialità cittadina.

Gaetano Celestre

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