Molti di coloro che leggono questo articolo, magari il 19 luglio del 1992 non erano ancora nati. Chi c’era,però ricorderà le auto sventrate dal tritolo e i lenzuoli bianchi che coprivano quel che rimaneva dei corpi di Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e  Claudio Traina, tutti servitori dello stato, tutti agenti della scorta del Giudice Paolo Borsellino, anche lui un servitore dello stato, anche lui  morto in quel pomeriggio d’estate di diciannove anni fa, in quella  che è stata definita “La Strage di Via d’Amelio”. 

Solo due mesi prima Paolo Borsellino, aveva perso nella “Strage di Capaci”, l’amico e collega Giovanni Falcone. Borsellino lo sapeva che sarebbe arrivato anche il suo momento, – “devo fare in fretta, adesso tocca a me”-,  sapeva del carico di esplosivo arrivato a Palermo e a lui destinato, sapeva che era un uomo morto che camminava, sapeva anche che, andare a trovare sua mamma in via Mariano d’Amelio era pericoloso. Ma Paolo Borsellino era prima di tutto un uomo, un uomo che amava la propria madre, e non poteva rinunciare a vederla, anche se per l’ultima volta;Borsellino amava il suo lavoro, amava la sua terra. Fino alla fine della sua vita Borsellino, nel tempo che gli rimaneva dopo il lavoro, amava incontrare i giovani per renderli protagonisti della lotta alla mafia, quei giovani che anche oggi, saranno presenti a Palermo, in via d’Amelio, per non dimenticare.

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.”(Paolo Borsellino)

 

 

Giovanni Giannone