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Nei giorni scorsi, una fortunata occasione mi ha consentito di essere presente ad una visita di “sopralluogo” in contrada San Biagio e Truncafila, assieme ad un paio di ragazzi di EsplorAmbiente (uno di essi mi ha poi invitato a “scrivere qualcosa”). La perlustrazione era finalizzata ad un controllo preventivo in vista della manifestazione in programma per giorno 24 Novembre (non scendo nei particolari, poiché probabilmente ci saranno già in giro delle ottime locandine informative, del tutto più esplicative di un qualsiasi tipo di mio tentativo in tal senso). Salto i convenevoli – che sarebbero pur legittimi e giustificati – sulla qualità dell’iniziativa, su quanto sia lodevole, etc, etc…, per giungere immediatamente al nocciolo della questione. Quello che in realtà credo interessi di più all’associazione e a me stesso è sicuramente che l’area venga valorizzata il prima possibile, adibita a parco, e risulti così scongiurato per sempre l’utilizzo alternativo come immondezzaio o che altro. Le ragioni del Parco di Truncafila (Gurgano, l’enigmatico toponimo con cui la zona era nota nell’antichità) risiedono tutte nella sua “eccezionale” capacità di simbolizzazione di un territorio, che comprende non solo Scicli ma l’intera area ibleo-ragusana. L’immagine simbolica di cui sto parlando non è altro che la storia di “normalità” che ha così “eccezionalmente” permeato le umane gesta della popolazione locale, in tutte le epoche attraversate.

È un mio vecchio refrain, questo della “normalità”: non esistono individuali eccellenze in questo territorio, ma solo singolari normalità che in complesso rendono un eccellente panorama generale. Ovviamente mi riferisco anche (soprattutto!!!) a quei vantaggi naturalistici di cui siamo contingentemente (altri direbbero provvidenzialmente) tenutari, nostro malgrado. Nel corso della passeggiata, riflettevo – anche io, mio malgrado – sul vantaggio di non avere in zona una Monna Lisa qualunque, e dunque essere salvi dall’assalto di frotte di guardoni esagitati con appendice a forma di macchina fotografica. Lo stesso vantaggio di non avere il Colosseo o le Dolomiti, ed anche il vantaggio di esser stati dimenticati per secoli, addirittura di esserci noi stessi dimenticati per secoli. Solo l’averla dimenticata, ci consente oggi di avere la chiesa di San Matteo più o meno integra (negli anni ’80 se ne sono ricordati, e gli hanno posto a coperchio un tetto in cemento armato che è una disgrazia annunciata!)…poiché è probabile che se le funzioni religiose fossero continuate al suo interno,  nessuno ci avrebbe salvato da una “ripizzatura” ottocentesca, bella o brutta che sarebbe venuta.

tr03Dinamiche non dissimili sono ravvisabili nel caso del pozzo del Giudeo – a proposito della visita prevista giorno 24 – e cioè indubbio che se non fosse stato dimenticato, probabilmente sarebbe stato anche sostituito da un pozzo più moderno, con meccanismi e congegni più evoluti, ma meno affascinanti. Quante cose si sono anche irrimediabilmente perdute per dimenticanza? Probabilmente tante, ma statisticamente meno di quelle che abbiamo rovinato ricordandocene.

tr04I sepolcreti di contrada San Biagio, ad esempio, non raccontano certo le morti dei nipoti di Achille ed Ettore, o di grandi eroi dal cimiero imponente e la lunga asta… ma potrebbero essere le storie di quei primi coloni provenienti da Corinto (viste i tanti piccoli incavi nella roccia, potrebbero essere le storie di quei primi figli dell’integrazione con le popolazioni da qualche tempo indigene, di coloro i quali ancora avevano sangue siculo). Storie di normalità che vanno ad innestarsi su un panorama, paesaggisticamente ormai da tempo compromesso, a causa di mano umana. Anche questa è una storia di normalità, il risvolto negativo dell’esser dimenticati, e dell’asserci dimenticati…o dell’aver ricordato cose che forse era meglio lasciare nel dimenticatoio.

tr05Ed è esemplificativa la conclusione della passeggiata, sul ciglio di una enorme voragine. Una vecchia – spaventosa – cava ormai in disuso che qualche buontempone, di quelli che vengono a chiedere voti ed offrire caffè, aveva pensato bene di poter adibire a prossima discarica comprensoriale. Il non-naturale burrone è un fondamentale punto di vista sull’abisso dell’umanità, pregi, difetti e superfluità incluse. Se l’uomo sa adattarsi all’ambiente, molto meglio sa farlo la Natura, quando riesce a riappropriarsi di un proprio spazio rifunzionalizzandolo nel miglior modo possibile, nello specifico come riserva naturale. Quando capiremo che la vera ricchezza di questo territorio, l’eccellenza (per utilizzare ancora un termine ormai più che abusato), è tutta da ricercare nella normalità delle circostanze generali che ci circondano, forse riusciremo anche a pensare ad un futuro sviluppo di questa area geografica. Un futuro che non può prescindere da un obbligo d’interesse rinnovato per l’agricoltura; una smitizzazione delle sirene della ricettività turistica come risorsa indiscriminatamente consegnata a tutti, quasi come un’imposizione morale da perseguire a tutti i costi (voglio dire che non tutti potremo vivere di turismo, che è utile, ma non basta…ed è giusto che sia così, se non si preferisce prostituire il territorio alle masse dei “guardoni”); ed un risorgimento culturale-civico di cui si sente assoluto bisogno, più che mai in questi giorni tendenti in verità al “triste”. Grazie e buon lavoro, ai ragazzi di EsplorAmbiente.

Gaetano Celestre

 

P.S. Quarchi paruledda supiecchiu havissi pututu spenniri ppa Chiesa di Santu Blasi, dai cui prende nome la contrada stessa. E magari avrei dovuto ricordare anche che i primi atti notarili che riportano il toponimo sono del 1575. Mentre, in merito alla chiesetta stessa, non avrei fatto male a riportare notazioni riguardo una visita del Vescovo di Siracusa, databile intorno al 1669. Nunn’erunu cosi ‘i picca…ma preferii farivi ‘stu suttaspeci di inno alla normalità, ca cunchiuru in dialetto, propriu ppi siri u cchiù normali possibili.  

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