…a dire il vero, qualcosa del nostro panorama balza subito agli occhi. Lo lasciavo intuire in un articolo di qualche settimana fa. Mi riferisco alla scarsezza di alberi, in contraltare al prolificare continuo di capannoni, serre e abitazioni seriali. Tutte cose, queste ultime, certamente poco gradevoli alla vista. I romani per primi, pensarono bene di disboscare l’isola – è risaputo – al fine di adibirla a granaio della Capitale. Del resto, per i latini, i boschi erano solo un momentaneo impedimento, contingente ostacolo al grande progetto urbanistico e viario. L’utilità del bosco poteva essere ravvisabile solo come mezzo per irrobustire e allargare la flotta. Il bosco, cioè, lo si poteva intendere solo come mera selvicoltura. Non dissimili furono idee e intenti dei nostri borbonici governanti settecenteschi, in un rinnovato interesse verso le intensive piantagioni cerealicole. E ancora nel 1808, l’abate Paolo Balsamo, scrivendo delle nostre zone in generale, così rimarcava:

La Contea sarebbe più fruttifera, e più leggiadra, se vi fussero dei boschi; maggiormente che il suo suolo vi è adattissimo. In nessun luogo di Sicilia si è forse tanto, e così mal a proposito, quando ivi dissodato, e le legna vi sono presente per modo scarse, e care, che si commettono frequentemente dei furti di alberi di ogni sorte da certi malvagi, i quali gli tagliano di notte, e gli riducono sollecitamente in carboni, per vendergli in Malta ad altissimo prezzo.

Com’è finita? Che oggi, dove è possibile, tagliamo fusti, sradichiamo carrubi e non ci permettiamo speditamente con gli ulivi solo perché talune malnate leggi ce lo impediscono. Al resto ci pensa quel santo flagello del punteruolo rosso.
Si tratterà di “retrocultura”? Badate che io ci credo a queste superstizioni. Ognuno ha il background che si merita: gli americani hanno il blues, e noi la musica napoletana!
Ad ogni modo il disboscamento continua ancor oggi, ciò avviene tanto all’interno del perimetro urbano, quanto fuori.

Esito, o causa di tutto questo, sono ad esempio quegli obbrobri che ci ostiniamo a chiamare villette a schiera. Non comprendono la presenza di alcun “verde” abbellimento, neanche nei progetti. I disegni per i rifacimenti di piazze (vd. Mazzareddi) e luoghi pubblici in restyling, talvolta acconsentono magnanimamente a qualche sparuto alto fusto privo di consistente frondosità, ma niente di eclatantemente ombroso. Le ulteriori conseguenze sono gli “sragionamenti” estivi. Sarete d’accordo anche voi, cari lettori, che la ricognizione è spesso infruttuosa, quando in pieno giorno, sotto i pesanti colpi del maglio afoso, vaghiamo disperati per le viuzze del paese in cerca di un refrigerio fatuo come l’ombra stessa. E le nostre teste subiscono quel troppo calore che ci conduce ancora una volta a progettare e ingegnare così insanamente nuove orribili abitazioni, capannoni e mostruosità d’ogni sorta, in un continuo andamento circolare delle nostre sventure culturali e panoramiche. Certo, dispiace per come stanno andando le cose oggi. Lo stesso Balsamo, in particolare su Scicli – contraddicendo su quanto detto del resto della Contea – scriveva:

Scicli nel totale è piuttosto graziosa, perché cinta da colline vestite leggiadramente di alberi, e la maggior parte siede in pianura, ed è ornata da alcune strade, le quali essendo bastantemente larghe, nette, ed acconciamente selciate si possono dir belle in una città di provincia.

Ritorno ancora una volta ad un vecchio discorso già fatto su queste pagine, riguardante la vera bellezza del nostro comprensorio geografico, risiedente esclusivamente nella assoluta “normalità” della condizione paesana. Riappropriarsi di tale normalità è un obbligo per Scicli. E forse un buon inizio sarebbe quello di riconsiderare l’ornamento arboreo della vana Villa Comunale (Penna). Poi, dopo aver finalmente trovato un senso ed una funzione realisticamente apprezzabile per quella struttura, si potrebbe anche cominciare a pensare di aprirla (con continuità quotidiana)!

Gaetano Celestre