Si terrà giovedì 18 Gennaio alle ore 10, nella piazzetta antistante la chiesa Santa Caterina da Siena di Donnalucata, la commemorazione della morte dei carabinieri Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, avvenuto per mano della ‘Ndrangheta il 18 gennaio 1994.

Una corona d’alloro sarà deposta in memoria sul monumento loro dedicato.




IL FATTO

Una trappola mortale per due carabinieri uccisi da un commando mafioso in provincia di Reggio Calabria. Si chiamavano Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, 31 e 36 anni, entrambi sposati, due figli il primo, tre il secondo. I due, entrambi appuntati, originari rispettivamente di Scicli in provincia di Ragusa e di Taurianova, nel Reggino, erano in servizio al Nucleo Radiomobile della Compagnia di Palmi. Sono stati crivellati a colpi di mitraglietta calibro nove e kalashnikov.

“Pronto, centrale? Volevamo segnalarvi che una macchina, sull’autostrada, ci sta seguendo. Proviamo a richiamarvi più tardi”. La voce dell’appuntato Vincenzo Garofalo arriva chiara in caserma. “Dateci notizie al più presto”, risponde il collega. Passano interminabili minuti nel silenzio. Della “Gazzella” non ci sono più tracce. Che cosa è successo? Un inferno.

Un inferno di fuoco, al quale hanno tentato disperatamente, quanto inutilmente, di sottrarsi. Garofalo e Fava erano sulla “Gazzella” e solo all’ultimo istante si sarebbero resi conto di essere il bersaglio del commando della ‘ Ndrangheta.




Garofalo e Fava sono morti all’ istante.

Hanno cercato di difendersi, hanno tentato la fuga, forse uno di loro ha risposto al fuoco. Per duecento metri (sono rimaste lunghe tracce di gomma sull’ asfalto), con un disperato zig-zag hanno cercato di evitare la pioggia di proiettili. Ma il commando omicida ha avuto il sopravvento. Addirittura uno dei sicari, al termine della corsa, quando l’auto dei carabinieri si è bloccata, è sceso e da distanza ravvicinata ha sparato una raffica finale, un simbolico colpo di grazia come quello che i nazisti sparavano alla nuca delle loro vittime.

“E’ un massacro, è un massacro”, ripete con gli occhi lucidi il colonnello Massimo Cetola, allora comandante provinciale dell’Arma, una volta giunto sul posto!