L’occasione della visita fu data dalla lettura di un brevissimo passo del “Sicilia Templare” di Salvatore Spoto:

“A Modica, in provincia di Ragusa, la trecentesca chiesa di San Giacomo, per secoli sarà centro di culto per questo santo.”

Se ne legge  in relazione alla presenza nel nostro territorio dell’Ordine di San Giacomo (Sant’Iago) della Spada. Il culto jacopeo, molto sentito in gran parte dell’Europa medievale, è suffragato ancora in Modica da un affresco riguardante il martirio del Santo, all’interno della chiesa rupestre di San Nicolò Inferiore, nel pieno centro cittadino. Non è inutile ricordar in proposito l’usanza ormai da tempo dismessa di procedere in pellegrinaggio notturno, dalla città sino alle sponde del torrente Modica-Scicli; e proprio lì, dove oggi poggia uno dei piloni del Ponte Gurrieri, si rintana la chiesetta di San Giacomo già citata. Si trattava di una processione luminosa, poeticamente rimembrante la più famosa e lattiginosa visione stellare – questa accezione preferiva parlarne Franco Antonio Belgiorno – la Via Lattea, utilizzata come guida da quei Pellegrini in viaggio da Saint Jean Pied De Port a Finisterre.

Rilevata la venerazione locale del Santo con la Spada – abbastanza ovvia in periodi di armi, amori e audaci imprese – non è altrettanto poco significativo appuntare la persistenza in Ragusa, in tempi a noi recenti, dello stesso Ordine Iacopeo, nella specifica veste di Matamoros, e così non sorprenderà troppo vederlo in tal posa campeggiare effigiato sul frontone della chiesa omonima all’interno dei graziosi Giardini di Ragusa Ibla. Si tratta di un San Giacomo dalle sembianze sangiorgesche (sarebbe interessante indagare, per capire quanta coscienza ci sia stata nel dare adito alla possibile confusione). Ivi, all’interno in gran copia, il simbolo della spada crociata sortisce nell’animo del visitatore lo scopo di illuminare riguardo talune supposizioni, persino in merito a quelle ancora inespresse alla coscienza, ad esempio per raffrontare il simbolo con uno degli elementi più sorprendenti della chiesa Modicana: la croce a quattro triangoli convergenti, ancora agevolmente osservabile, malgrado le intemperie ne abbiano smussato i contorni. Per mezzo dei segni scaturisce l’ipotesi, piuttosto realistica, di un locale percorso viario ad interesse gerosolimitano. Un collegamento viario rurale che vien facile immaginare nell’abbrivio principiare nei pressi di Sampieri, da Marsa Shiklah (sino alla metà del Settecento, lì era situato il caricatore dei Cavalieri di Malta), e che passando da Scicli (accenno solamente ai legami tra la Terra Santa e i Francescani del Convento della Croce, così come non si deve dimenticare l’altrettanto illuminante Croce di Malta innalzata sul campanile della contigua chiesa rupestre del Calvario) conduce prima a Modica (San Giacomo) e infine a Ragusa (donde poi si prosegue sino a incrociare l’antica via Francigena Fabaria).

Vale la pena menzionare, a proposito di Ragusa, la Chiesa di Santa Maria dell’Itria, “Maria protettrice del buon cammino (Odigitria), una Madonna soccorritrice del pellegrino, quello che veniva accolto nell’antico Hospitale annesso alla chiesa stessa. In realtà, sino al 1629 – anno di ricostruzione della chiesa ad opera dell’Ordine dei Cavalieri di Malta – l’edificio sacro era intitolato a San Giuliano. Ma questa non è altro che l’ennesima conferma di una massiccia presenza nel territorio ibleo di ordini succedanei a quello Templare.

Massimo Oldoni (Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo. Paesaggi umani ed ambientali del pellegrinaggio meridionale), in uno studio sulla via Francigena di Sicilia, descrive un reticolo di vie che a varie tappe collegava i maggiori centri siciliani per condurre i pellegrini al porto di Messina  e infine lasciarli salpare verso i luoghi sacri della cristianità (Roma, Gerusalemme, Santiago). La funzione delle vie era quindi la medesima di quella più famosa Francigena che culmina sui Pirenei, da ciò deriva l’utilizzo improprio del termine dalle nostre parti. Mi sembra ovvio pensare, a questo punto costruisco la mia ipotesi su tali basi, che dovettero esistere delle strade di collegamento a tale via francigena siciliana (percorsi di collegamento alla via di collegamento). S’immagini il tipico viandante medievale, dubbioso sulla banchina del molo di Sampieri, appena giunto magari dall’Africa (o da Malta), e il tortuoso sentiero da percorrere che gli si prospetta ancora all’interno dell’Isola. Egli avrà necessità di un ristoro cadenzato nel suo difficile cammino.

Queste le riflessioni, negli istanti immediatamente precedenti l’ingresso nella chiesetta di San Giacomo. Pensieri, ipotesi e fantasie che ebbero il tempo del viaggio in auto lungo la fiumara. Dopo sovvenne la contemplazione concreta: la particolarità degli archi gotici, la magnificenza dell’abside a “mandorla”, gli affreschi e ciò che resta di un meraviglioso Cristo Pantocratore.

Gaetano Celestre