
Il proverbiale strabismo sciclitano
- 7 Novembre 2015 - 9:49
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Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera inviata da un uomo che preferisce firmasi con lo pseudonimo, il quale ci racconta di come Pasolini si spese per Scicli, ma gli sciclitani non si sono mai spesi per lui:
«Il 2 novembre 2014, ricorreva il quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini.
In tutta l’Italia, intellettuale e non, questa data è stata celebrata ricordando il poeta, lo scrittore, il grande uomo di cinema.
In Spagna, addirittura, la televisione di Stato l’ha segnalata come notizia del giorno.
Solo a Scicli questa data è passata quasi inosservata.
Nessuna mostra, nessuna commemorazione pubblica degna di questo nome, nessuna parola a testimonianza di un uomo che si spese in prima persona per dare voce agli aggrottati del quartiere trogloditico di Chiafura. Denunciò, infatti, senza mezzi termini un ambiente padronale chiuso e ancora feudale nel quale Scicli era costretta fino alla seconda metà del Novecento.
Pasolini ebbe parole dure, in quell’occasione, per una casta di gattopardi che aveva trasformato nel tempo un gioiello barocco –gesuitico lo definì per dirlo triste e opprimente- in un inferno di sperequazioni e disuguaglianze sociali. Inferno nel quale la dignità della persona era costantemente mortificata e dal quale la resurrezione sembrava quasi impossibile.
Lui venne insieme con altri intellettuali, percorse le vie di Chiafura come in una mesta via crucis, levò alta, coraggiosa e chiara la sua voce puntando il dito su chi aveva permesso e tollerato quell’infamia.
Le sue parole colpiscono ancora, dure come pietre, l’animo di chi come me è stato figlio di quella gente diseredata e oppressa, erede di quel dolore.
A Scicli, purtroppo, nessuno fino ad oggi ha pensato di rendere un omaggio sincero alla memoria di Pier Paolo Pasolini. E di questo mi dolgo e mi vergogno.
Eppure la città ha commemorato in altre epoche uomini che hanno fatto molto meno di lui.
Penso, per esempio, a quel monumento all’Ingegnere Salvatore Scimone, inaugurato proprio l’anno scorso 2014, in Piazza dei Mille in pompa magna e strepiti solenni.
Non voglio attirarmi, ora, gli strali della famiglia Scimone. Ma ancora, da cittadino sciclitano, qualcuno dovrebbe spiegarmi quale sia stato il merito di un amministratore pubblico che ha cercato di fare solo ed esclusivamente il proprio dovere utilizzando fondi della collettività per opere che lo Stato aveva l’obbligo sacrosanto di eseguire.
Personalmente mi sono sentito offeso da quel monumento perché, volendo riconoscere l’impegno dell’uomo nella sua specifica qualità di Provveditore alle Opere Pubbliche, si perpetuava con esso l’idea di un’elargizione graziosa e feudale che nulla ha a che fare col nuovo e democratico corso dello Stato di diritto.
Il monumento, a mio modesto avviso, andava più opportunamente collocato nell’atrio di palazzo Scimone a ricordare agli eredi l’origine della loro fortuna. E chissà che qualche amministrazione comunale futura, più attenta e illuminata, non auspichi la sua rimozione!
Già la lapide commemorativa, posta sul muro del palazzo, poteva anche restare e bastare.
Scicli ha ricevuto in eredità autentiche vite nei secoli passati.
Penso al Cerraton, il quasi dimenticato Sergente Maggiore della Sergenzia di Scicli, che oltre a soprintendere alla ricostruzione della città subito dopo il terremoto del 1693, ci lasciò un esempio coerente di virtù cristiana oltre agli ingenti averi.
Nonostante i miei vari sforzi non è stato possibile, ahimè!, dedicargli uno spazio pubblico, un luogo che ne attesti la presenza e il passaggio.
Altre città avrebbero innalzato, invece, monumenti e apposto lapidi commemorative. Scicli nulla.
Penso al Miccichè, il cui busto fu ingenerosamente sfrattato da piazza Municipio negli anni del fascismo per fare posto al palco della musica, e mai più ricollocato in uno spazio urbano.
Penso al Decano Carpentieri, la cui opera tuttavia respira il vento della carità che la suggerì solo per il coraggio e la tenacia di alcune persone sensibili.
È uno scandalo assistere al tramonto dell’idea vagheggiata da Pietro Di Lorenzo Busacca di un’eterna istituzionalizzazione del soccorso.
Mi fermo qui.
È troppa l’amarezza.
Beata questa nostra città che non ha bisogno di ricordare i suoi benefattori o, se li ricorda, lo fa solo nel modo sbagliato!
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Un Uomo libero.
luana
Un uomo libero, sei un grande!!!!!!
Cinà
Giusto l’appello in favore del grande Pasolini, ricordiamo solo che nell’occasione della pubblica denuncia delle condizioni di vita degli aggrottati di Scicli fu affiancato da Guttuso, Antonello Trombadori, Elio Vittorini e altri ancora.
Manca una classe intellettuale in grado di valorizzare e rendere attuale la storia della nostra Scicli, prova ne sia lo sgangherato attacco alla famiglia Scimone e al “mondo gesuitico” che lo stesso estensore dell’articolo ne fa, a proposito di strabismo!