Da La Sicilia del 17 giugno

di Carmelo Riccotti La Rocca




Si terrà domani mattina (18 giugno) l’interrogatorio di garanzia nei confronti di Davide Corallo, il carabiniere di Giarratana arrestato con l’accusa di essere l’assassino del cuoco modicano Peppe Lucifora. Il Gip, ascoltate le richieste del Pubblico ministero e la difesa della persona raggiunta da ordinanza di misura cautelare in carcere, rappresentata dai legali Lo Giudice e Tomasello, deciderà se far rimanere in carcere Corallo o applicare un’altra misura cautelare.  L’arresto del militare, che ha prestato servizio a Buccheri, rappresenta certamente una svolta importante nelle indagini a 7 mesi dal brutale ed efferato omicidio avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 novembre nella palazzina al terzo piano di Largo 11 febbraio, nel quartiere “Dente”.  La svolta alle indagini è stata rappresentata dall’esito dei rilievi dei Ris effettuati sia a casa di Lucifora che in quella di Corallo e messi a confronti. I risultati smentirebbero quanto dichiarato dal militare dell’Arma nel corso dell’interrogatorio che si è tenuto nella sede del comando provinciale di Ragusa e che è durato oltre 7 ore. In quella occasione Davide Corallo avrebbe ammesso di avere avuto una relazione omosessuale con il cuoco modicano, ma anche che l’ultima volta in cui era entrato nell’abitazione del quartiere “Dente”, risale a oltre 15 giorni prima dell’omicidio.




Le tracce biologiche trovate nell’appartamentino di 60 mq del popolare quartiere della città della Contea, invece, direbbero che Davide Corallo in quella casa c’è stato in prossimità del delitto. Sarebbero state trovate impronte dell’uomo e tracce biologiche in bagno. Inoltre, anche se l’esame autoptico ha rilevato che Peppe Lucifora non avrebbe avuto rapporti sessuali nelle ore precedenti la sua morte, nell’appartamento sarebbe stato trovato del liquido seminale riconducibile a Davide Corallo. Ma cosa è accaduto tra i due? Perché usare così tanta violenza nei confronti di Lucifora tramortito con un pugno e poi, mentre era in stato di incoscienza, finito con una mano stretta al collo? Sin dall’inizio quello del cuoco dell’ospedale Maggiore di Modica è apparso come un omicidio d’impeto, di rabbia, ma è davvero così? Per gli inquirenti il movente è passionale. Quella sera Lucifora, da quello che si è saputo, avrebbe cenato con un amico che non sarebbe stato Corallo che, quindi, avrebbe raggiunto il 57enne dopo a casa. Sin dall’inizio una testimone ha raccontato che, tra l’1 e le 2, tra sabato e domenica, ha sentito dei forti rumori provenire dall’abitazione di Peppe Lucifora: “è come – ha detto – se stessero spostando dei mobili”. Era forse scoppiata una lite e il cuoco modicano stava cercando di sfuggire dalle grinfie del suo carnefice?

 

A gettare benzina sul fuoco in questi giorni è arrivato padre Giovanni Stracquadanio, reggente del Duomo di San Giorgio. Lui, che Peppe Lucifora lo conosceva molto bene, non crede al solo movente passionale, ma ci potrebbe essere dell’altro. In due interviste rilasciate all’emittente televisiva “Video Mediterraneo”, il sacerdote ha fatto diverse rivelazioni che lasciano trasparire scenari inediti e insospettati.

La prima è che giovedì scorso Davide Corallo si è presentato, insieme ad un amico, nella chiesa nel duomo ed ha fotografato la statua di San Giorgio. “Io non l’ho visto – ha dichiarato Stracquadanio –, me lo hanno riferito alcuni parrocchiani”, e poi ridendo ha aggiunto: “dicono che l’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto”.

 

La seconda rivelazione del parroco è ancor più sensazionale e potrebbe avere anche un certo peso specifico nelle indagini. Stracquadanio ha tirato fuori la storia di un testamento fatto da Peppe Lucifora del quale oggi nessuno sa nulla, compresi i familiari. “Dopo che è morta la madre, nel dicembre 2014 – dice Stracquadanio al giornalista Marco Scavino – Peppe mi ha detto di aver fatto finalmente testamento. Gli ho risposto se l’avesse a casa e lui mi ha invece detto di averlo fatto e lasciato dal notaio Terranova”. Nell’intervista, inoltre Stracquadanaio fa riferimento a soldi e droga, poi questa esclusa nel corso della chiacchierata. Insomma, per il parroco di San Giorgio il movente passionale è troppo debole, ma bisogna scavare più a fondo. “Chi può escludere che Peppe Lucifora prestasse soldi?” afferma don Stracquadanio come se prestare soldi fosse un mestiere. E non sembra fare riferimento alla generosità di Peppe Lucifora. Infine, il sacerdote, ha anche detto che nell’ultimo periodo, il cuoco modicano, generalmente allegro e gioioso, sembrava molto preoccupato, era moltoserioso e pensieroso. Lui diceva che era stanco per via del lavoro, ma col senno di poi, quello stato d’animo forse celava dell’altro. Sorpreso, per le parole di padre Giovanni Stracquadanio, il legale della famiglia Lucifora, l’avvocato Ignazio Galfo che, pur avendo scelto in linea generale la strada del silenzio non intervenendo mai ufficialmente nel corso di questi 7 mesi, ha auspicato che quanto detto dal parroco del duomo di San Giorgio sia stato messo agli atti dagli inquirenti

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