Le risultanze e le sintesi del convegno di studi “Cento anni dopo” dalla strage di Passo Gatta (1921/2021), svoltosi in due giorni all’Auditorium “Pietro Floridia”, sono assai interessanti vuoi per le conclusioni, in qualche modi inedite, vuoi per gli spunti che possono costituire ipotesi di lavoro e di confronto per ulteriori approfondimenti.

Valutiamo che l’obiettivo che il convegno di studi promosso dalla CGIL di Ragusa, dalla Scuola di Formazione Politica e Culturale “Virgilio Failla”, dall’A.N.P.I., dal Centro Studi “Feliciano Rossitto”, dall’Università di Catania e dal Comune di Modica abbia soddisfatto le attese degli organizzatori che nell’ultima giornata hanno potuto contare sulla presenza di due attente scolaresche: quella dell’Alberghiero “Principi Grimaldi” e quella dell’ITC “Archimede”.

L’eccidio di Passo Gatta segna uno degli epigoni di uno scontro sociale violento, frutto della contrapposizione di classe tra una borghesia fondiaria e il proletariato bracciantile.

L’assenza di una mediazione sociale generò scontri, risultato dell’intransigenza di un fascismo squadrista e violento che si scaricava contro chi anelava a socializzare le terre e che vedeva nei socialisti, forti del consenso popolare, il nemico da abbattere.

La strage di quel 29 maggio del 1921 fu preceduta da altri attentati che determinarono un clima pesante e pericoloso.

A Modica il 18 aprile del ’21 viene bruciato il Circolo socialista, il successivo 19 aprile i fascisti occupano il Palazzo di Città e costringono l’amministrazione comunale a dimettersi. Il 20 aprile di quell’anno i fascisti assaltano l’abitazione dell’on. Vacirca.

Il 29 maggio a Passo Gatta il fuoco fascista nel corso di una manifestazione di lavoratori, causò la morte di sei manifestanti: Vincenzo Carulli, Rosario Liuzzo, Raffaele Ferrisi, Agostino Civello, Carmelo Pollara e Carmelo Vacirca. Quattro i feriti gravi.

Questo il contesto e il clima in cui si consumò quella tragedia in pieno biennio rosso che toccò quasi tutti i centri della provincia dove squadre fasciste provocarono terrore con atti di straordinaria violenza.

Nei fatti, come ha sottolineato il prof. Giovanni Di Rosa, si registrò una saldatura tra lo squadrismo fascista e il capitalismo agrario. Un accordo tra fucile e banche. Quel clima di intimidazione e di violenza costrinse 18 amministrazioni nel siracusano, il territorio ibleo allora ne faceva parte, guidate dai socialisti alle dimissioni.

Il prof. Giovanni Di Rosa ha rimandato al mittente il metodo storico, di nuovo conio, che valuterebbe le responsabilità degli opposti estremismi: vittime e carnefici sullo stesso piano. Non andò così perché i morti furono da una sola parte: ventuno quelli del circondario di Modica e sette a Passo Gatta.




Il quadro in cui avvennero quelle azioni a delinquere destinate ad efferati omicidi è stato illustrato con dovizia di particolari dal prof. Giancarlo Poidomani. Il quale ha invitato ad uno sforzo di lettura di quel periodo, sostenendo che la storia va letta nella sua interezza. Lo storico parte dalle condizioni di vita tragiche delle famiglie contadine le quali aspiravano, legittimamente, ad una migliore condizione di vita attraverso lo strumento di una rivoluzione sociale che i socialisti massimalisti proponevano in comizi con toni accessi e a volte virulenti. Però la violenza era di matrice fascista. Altro che rivoluzione bolscevica che in Italia non poteva attecchire e da qui la reazione fascista che si esplicò con atti di violenza che costrinse i sindaci socialisti, democraticamente eletti, alle dimissioni.

Il movimento operario, non ancora consistente la costituzione del PCI, non riuscì a contrastare la reazione fascista che trovò divisa la sinistra: spaccati i socialisti, assenti ancora i comunisti così il fascismo ebbe il sopravvento.

Quello che accade quel giorno di cento anni fa a Passo Gatta lo descrive il giornalista Giuseppe Calabrese già autore di un pamphlet sul numero speciale del Corriere di Modica sostenendo la propria tesi su testimonianze dirette raccolte negli anni ottanta.

Raffaele Colombo all’epoca dei fatti aveva quattordici anni. “Erano circa le otto del mattino di quel 29 maggio e già il delegato di

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