Matteo Messina Denaro, 61 anni, è morto. L’ultimo stragista di Cosa Nostra si è spento nell’ospedale dell’Aquila dove si trovava ricoverato.

Il capomafia soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora latitante, a fine 2020.

Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Una equipe di oncologi e di infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in gravissime condizioni. Nei 9 mesi di detenzione, il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall’ultimo non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale. Venerdì, sulla base del testamento biologico lasciato dal boss che ha rifiutato l’accanimento terapeutico, gli è stata interrotta l’alimentazione ed è stato dichiarato in coma irreversibile. Nei giorni scorsi la Direzione sanitaria della Asl dell’Aquila ha cominciato a organizzare le fasi successive alla morte del boss e quelle della riconsegna della salma alla famiglia, rappresentata dalla nipote e legale Lorenza Guttadauro e dalla giovane figlia Lorenza Alagna, riconosciuta recentemente e incontrata per la prima volta nel carcere di massima sicurezza dell’Aquila ad aprile. La ragazza, con la nipote del boss e la sorella Giovanna, gli è stata accanto negli ultimi giorni.




Matteo Messina Denaro, noto anche con i soprannomi U Siccu e Diabolik era nato a Castelvetrano il 26 aprile del 1962

Capo indiscusso del mandamento di Castelvetrano e della mafia nel Trapanese, è considerato uno dei boss più importanti di tutta Cosa nostra, avendo esercitato le proprie attività criminali anche oltre i propri confini territoriali, come nell’Agrigentino e, addirittura, nel Palermitano. Uomo chiave del biennio stragista 1992-1993, era ritenuto vicinissimo a Totò Riina e, quindi, conoscitore di oscuri ed importanti pezzi della trattativa Stato-mafia.

Nel 1993 era stato inserito nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo, rimanendo tale per quasi 30 anni fino al giorno del suo arresto, avvenuto il 16 gennaio 2023.

Matteo Messina Denaro è il quarto di sei figli di Francesco Messina Denaro e di Lorenza Santangelo, fratello di Salvatore, Rosalia, Anna Patrizia, Bice Maria e Giovanna Messina Denaro e zio di Francesco e Lorenza Guttadauro. Dopo le scuole medie, s’iscrisse all’Istituto tecnico commerciale, ma si fermò al terzo anno; tentò di riprendere gli studi in un secondo tempo, ma viste le notevoli disponibilità economiche del padre smise di proseguirli e la sua carriera scolastica finì nel dicembre del 1982. Possiede quindi solamente, come titolo di studio, il diploma di terza media, ma parecchi anni più tardi ammette, in uno dei pizzini spediti all’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, che l’errore più grande della sua vita è stato quello di smettere di studiare e che, tornando indietro, avrebbe voluto conseguire una laurea.

In quel periodo, per colpa della miopia, assunse un leggero strabismo e così, per nascondere l’imperfezione, iniziò ad indossare dei Ray-Ban scuri.

Messina Denaro svolgeva l’attività di fattore presso le tenute agricole della famiglia D’Alì Staiti, già proprietari della Banca Sicula di Trapani, all’epoca il più importante istituto bancario privato siciliano, e delle saline di Trapani. Il suo padrino di cresima fu Antonino Marotta, “uomo d’onore” ed ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano, coinvolto anche nella misteriosa morte del bandito avvenuta nel 1950.

Dalla relazione con Franca Alagna nel dicembre del 1996 è nata Lorenza che da piccola ha vissuto in casa della madre del boss Lorenza Santangelo scegliendo poi di prendere il cognome della madre visto che non ha mai conosciuto il padre. Tra le altre relazioni avute dal boss ci fu quella con Maria Mesi, allacciata durante la latitanza e interrotta quando si rese conto che magistrati e forze dell’ordine erano sulle sue tracce; la Mesi verrà anche arrestata per favoreggiamento nel 2000 e nel corso dell’operazione verranno anche scoperti due covi dove si sarebbe nascosto Messina Denaro vicino a Bagheria e Brancaccio, quest’ultimo messo a disposizione dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. La polizia trovò anche alcune lettere d’amore che la Mesi aveva scambiato con il latitante: per queste ragioni l’anno successivo venne condannata a tre anni di carcere insieme al fratello Francesco. Inoltre nel luglio 2006 gli inquirenti trovarono altre lettere d’amore di Maria Mesi a casa di Filippo Guttadauro, che aveva incarico di consegnarle al cognato Messina Denaro.

Matteo Messina Denaro ricoprì di fatto il ruolo di capo della cosca di Castelvetrano e del relativo mandamento, alleato dei Corleonesi già dalla guerra di mafia dei primi anni ’80. Con il padre messo ko da una salute cagionevole, toccò infatti a Matteo prendere le redini della cosca. Negli anni successivi il collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio (il primo a parlare del suo ruolo all’interno di Cosa Nostra) dichiarerà che si trattava di «un giovane rampante, anche se non è già capo, e suo padre gli ha dato un’ampia delega di rappresentanza del mandamento» (il padre era infatti latitante dal 1990).

Nel primi mesi del 1992 Messina Denaro fece parte di un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani che venne inviato a Roma per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli, facendo uso di kalashnikov, fucili e revolver, procurati da Messina Denaro stesso; qualche tempo dopo, però, il boss Salvatore Riina fece ritornare il gruppo di fuoco, perché voleva che l’attentato a Falcone fosse eseguito diversamente. Su ordine di Riina, Messina Denaro partecipò alla faida mafiosa di Alcamo, conclusasi con un centinaio di uccisioni e “lupare bianche” contro il clan stiddaro dei Greco, e nel luglio del 1992 fu tra gli esecutori materiali dell’omicidio di Vincenzo Milazzo (capo della cosca di Alcamo), che aveva cominciato a mostrarsi insofferente all’autorità di Riina; pochi giorni dopo, Messina Denaro strangolò barbaramente anche la compagna di Milazzo, Antonella Bonomo, che era incinta di tre mesi: i due cadaveri furono poi seppelliti nelle campagne di Castellammare del Golfo. Il 14 settembre dello stesso anno Messina Denaro, insieme a Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano, fece anche parte del gruppo di fuoco che compì il fallito attentato al vicequestore Calogero Germanà, a Mazara del Vallo.

Il 28 novembre 2013 il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè riferirà che l’archivio di Totò Riina, che fu trafugato dal covo del boss nel gennaio del 1993 dopo il suo arresto, sarebbe finito in parte nelle mani di Matteo Messina Denaro, vero e proprio pupillo del boss corleonese. In un’intervista alla giornalista Raffaella Fanelli del 19 settembre 2015, il pentito Gioacchino La Barbera racconterà di aver consegnato personalmente a Messina Denaro una Volkswagen Golf abitualmente utilizzata da Riina con all’interno un carteggio segreto prelevato dalla cassaforte del boss.

Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla continuazione della strategia degli attentati dinamitardi, insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Graviano; Messina Denaro mise infatti a disposizione un suo uomo, Antonio Scarano (spacciatore di droga di origini calabresi residente a Roma), per fornire supporto logistico al gruppo di fuoco palermitano che compì gli attentati dinamitardi a Firenze, Milano e Roma, che provocarono in tutto dieci morti e 106 feriti, oltre a danni al patrimonio artistico. Secondo il pentito Giovanni Brusca fu Messina Denaro a scegliere gli obiettivi degli Uffizi e San Giovanni in Laterano per la sua competenza nel campo delle opere d’arte.

Nell’estate del 1993, mentre avvenivano gli attentati dinamitardi, Messina Denaro andò in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Graviano e le rispettive compagne; da allora si rese irreperibile, dando così inizio alla sua lunga latitanza, perché nei suoi confronti venne emesso un mandato di cattura per un quadruplice omicidio commesso nel 1989, sulla base delle accuse del collaboratore di giustizia Baldassare Di Maggio. Fu però con l’operazione Petrov del marzo 1994, scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pietro Scavuzzo, che emerse il suo ruolo all’interno di Cosa nostra trapanese e, ancora di più, con l’operazione “Omega”, portata a termine dai Carabinieri nel gennaio 1996 con ottanta ordinanze di custodia cautelare sulla base della accuse dei collaboratori di giustizia Antonio Patti, Salvatore Giacalone, Vincenzo Sinacori e Giuseppe Ferro, i quali ricostruirono più di vent’anni di omicidi avvenuti nel trapanese: nel 2000, alla conclusione del maxi-processo “Omega” che scaturì dall’operazione e che si svolse presso l’aula-bunker del carcere di Trapani, Messina Denaro venne condannato in contumacia alla pena dell’ergastolo.

Nel novembre del 1993 Messina Denaro fu tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci; infine, dopo 779 giorni di prigionia, il piccolo Di Matteo venne brutalmente strangolato e il cadavere sciolto nell’acido. Nel 1994 Messina Denaro organizzò un attentato dinamitardo contro il pentito Totuccio Contorno, insieme a Giovanni Brusca; tuttavia, l’esplosivo, collocato in una cunetta ai lati di una strada nei pressi di Formello, dove Contorno passava abitualmente, venne scoperto dai Carabinieri, avvertiti dalla telefonata di un cittadino, insospettito da alcuni movimenti strani.

Per rispondere al regime di 41-bis cui erano sottoposti diversi boss mafiosi, Messina Denaro organizzò l’omicidio dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto, che si era rifiutato di fare favori all’interno del carcere. L’agente venne freddato il 23 dicembre 1995 davanti casa dei suoceri a Palma (frazione di Trapani) mentre era in auto con la moglie, che teneva in braccio la figlia di appena 10 mesi ed era incinta della seconda.

Grazie anche alle rivelazioni di Giovanni Brusca, Messina Denaro finì sotto processo perché sospettato di essere uno dei mandanti delle bombe di Roma, Firenze e Milano. Il 6 giugno 1998, a cinque anni dall’inizio della latitanza, venne condannato all’ergastolo insieme a tutto il gotha di Cosa nostra; gli ergastoli verranno poi confermati dalla Corte d’Assise di Appello di Firenze il 13 febbraio 2001 e dalla Cassazione il 6 maggio 2002.

Il 30 novembre 1998, dopo la morte del padre Francesco (stroncato da un infarto durante la latitanza), Messina Denaro è diventato capomandamento di Castelvetrano e anche rappresentante della provincia di Trapani per Cosa nostra.

Il 16 aprile 2019, nell’ambito delle indagini sulla latitanza di Messina Denaro, vengono arrestati due carabinieri con l’accusa di favoreggiamento alla mafia e, inoltre, viene arrestato Antonino Vaccarino, l’ex sindaco di Castelvetrano che inviava pizzini a Messina Denaro.

A marzo del 2019 viene scoperta una loggia massonica a Castelvetrano, paese natale del boss e di riferimento del clan mafioso, operazione alla quale segue a novembre un blitz antidroga a Palermo, nel quale viene arrestato Antonio Messina, ex avvocato radiato dall’albo e massone trapanese di lungo corso, che teneva i contatti con la criminalità siciliana radicata nel milanese nell’ambito di un traffico di hashish organizzato fra la Spagna, Milano e la Sicilia.

Nel dicembre del 2019 viene rivelato che nel 2015, quando a capo del pool che indagava su Messina Denaro vi era il magistrato Teresa Principato, dal suo ufficio sono scomparsi un computer portatile da dieci pollici e due pendrive, con informazioni riguardanti le indagini e coperte da segreto istruttorio.

Le indagini hanno portato anche a Milano, dove alcuni uomini legati alla ‘ndrangheta e al narcotraffico potrebbero costituire la sua rete di protezione che gli permette di essere latitante.

A febbraio 2020, dopo la cattura del boss Salvatore Nicitra, uno dei capi della Banda della Magliana, le indagini hanno portato anche a Roma, perché Nicitra aveva forti legami con Cosa nostra di Agrigento, che si ritiene finanzi la latitanza di Messina Denaro. Nicitra era attivo nel settore del gioco d’azzardo e delle slot-machines, e aveva legami con dei boss albanesi.

Tra il 15 e il 20 giugno 2020 vengono arrestati numerosi fiancheggiatori di Messina Denaro, dapprima Francesco Domingo ritenuto boss di Castellammare del Golfo e al vertice tra le articolazioni mafiose trapanesi e di collegamento con Cosa nostra americana. Insieme a lui sono state denunciate undici persone e viene indagato pure il sindaco della città, Nicola Rizzo. Infine, è stata perquisita la residenza anagrafica del boss latitante a Castelvetrano e vengono indagate a vario titolo quindici persone tra la Sicilia e Caserta, mentre tra gli arrestati figurano Giuseppe Calcagno, che svolgeva il compito di “postino” nella consegna degli ordini tramite pizzini, e Marco Manzo, che rappresentava Matteo Messina Denaro nelle varie riunioni dell’organizzazione criminale.

Il 21 ottobre 2020 viene condannato all’ergastolo dalla corte d’assise di Caltanissetta per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio.

La sera del 13 settembre 2021, dopo un’indagine della procura di Trento, un uomo scambiato per Denaro fu erroneamente arrestato in un ristorante a L’Aia. Si trattava in realtà di un turista originario di Liverpool e residente in Spagna, che si trovava nei Paesi Bassi per assistere al Gran Premio d’Olanda di Formula 1. L’uomo è stato rilasciato nei giorni successivi dopo essere stato sottoposto a un test del DNA dal risultato negativo.

Un’importante rivelazione sulle patologie accusate dal superlatitante giunse nel novembre 2022 da Salvatore Baiardo, imprenditore di origini siciliane che all’inizio degli anni ’90 gestì la latitanza dei fratelli Graviano in Piemonte: nel corso di un’intervista concessa al conduttore televisivo Massimo Giletti su La7, Baiardo rivelò che Messina Denaro era gravemente malato e che proprio per questo meditava di costituirsi nell’ambito di una nuova “trattativa Stato-mafia” mirata all’abolizione silente del 41-bis e dell’ergastolo ostativo.

Il 16 gennaio 2023, dopo quasi trent’anni di latitanza, Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai Carabinieri del ROS con la collaborazione del GIS, in Via Domenico Lo Faso, un vicolo nei pressi della clinica privata La Maddalena a Palermo, nel quartiere San Lorenzo.Il boss era in procinto di effettuare, sotto il falso nome di Andrea Bonafede, una seduta di chemioterapia.Messina Denaro al momento dell’arresto non ha opposto resistenza e ha confermato la sua identità. In manette è finito anche l’autista, Giovanni Luppino, con l’accusa di favoreggiamento.

Subito dopo l’arresto, Messina Denaro è stato trasferito con un volo militare all’aeroporto di Pescara e, da lì, nella casa circondariale dell’Aquila, venendo sottoposto al regime carcerario previsto dall’articolo 41-bis. La scelta di questo penitenziario è dovuta alla presenza al suo interno di una sala di medicina oncologica, dove il boss avrebbe potuto proseguire le cure, e alla vicinanza con Roma.

Una settimana dopo, il 23 gennaio, i Carabinieri del ROS hanno arrestato, a Tre Fontane, Andrea Bonafede, geometra cinquantanovenne di Campobello di Mazara, con l’accusa di associazione mafiosa per aver prestato la propria identità a Messina Denaro durante la sua latitanza. Bonafede è stato accusato di avergli fornito, oltre ai documenti falsi, un appartamento in vicolo San Vito a Campobello, in cui Messina Denaro ha trascorso gli ultimi mesi di latitanza, e un’Alfa Romeo Giulietta nera, acquistata a nome della madre di Bonafede. Date le considerazioni del GIP di Palermo, tutta la vicenda si è sviluppata nel 2020, dato che il 13 novembre 2020 Messina Denaro è stato operato, per un tumore al colon, presso l’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo presentandosi con la tessera sanitaria prestata da Bonafede, e l’autovettura da lui usata risulta essere stata acquistata in un concessionario di Palermo il 27 luglio 2020.

Il 7 febbraio è stato arrestato il dottor Alfonso Tumbarello, medico campobellese legato alla massoneria locale che avrebbe curato Messina Denaro durante la latitanza, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico; Tumbarello, inoltre, è stato accusato di aver firmato le richieste di cura per la clinica dove il boss è stato catturato. Insieme al Tumbarello è stato tratto in arresto Andrea Bonafede classe ’69, cugino e omonimo del geometra campobellese Andrea Bonafede ’63, accusato di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravati dal metodo mafioso. L’uomo avrebbe recapitato le ricette mediche al boss .

Il 3 marzo è stata arrestata Rosalia Messina Denaro, sorella del boss e madre del suo avvocato Lorenza Guttadauro, accusata di aver gestito la cassa di famiglia e la trasmissione dei pizzini che il boss mandava a familiari e collaboratori. Il 16 marzo sono stati arrestati due coniugi, Emanuele Bonafede, nipote del boss di Campobello Leonardo Bonafede, e Lorena Ninfa, accusati di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dal metodo mafioso; secondo gli inquirenti, i due avrebbero favorito la latitanza del boss ospitandolo presso la propria abitazione. Il giorno seguente sono state indagate per favoreggiamento personale e procurata inosservanza della pena altre quattro persone, tra cui la figlia di Leonardo Bonafede, che aveva intrattenuto una corrispondenza con il boss.

Matteo Messina Denaro, durante l’interrogatorio in carcere e davanti al GIP, ha ammesso di aver ordinato il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo negando però di aver ordinato il brutale assassinio e scaricando la responsabilità del delitto su Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia che dal 31 maggio 2021 è tornato in libertà.

Il 13 aprile è stata arrestata l’insegnante Laura Bonafede, la figlia del boss di Campobello, con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati dall’aver agevolato Cosa nostra: avrebbe fatto parte della rete di complici che ha protetto Messina Denaro durante la latitanza incontrandolo di persona al supermercato di Campobello ancora due giorni prima del suo arresto, provvedendo alle sue necessità di vita quotidiana, condividendo con lui un linguaggio cifrato e curando con maniacale attenzione la sua sicurezza; nel contempo è stata indagata anche la figlia della donna. Laura Bonafede è anche la moglie di Salvatore Gentile, uno degli uomini di fiducia di Matteo Messina Denaro, utilizzato dallo stesso come basista per assassinii commessi a Campobello; Gentile è stato condannato all’ergastolo nel maxi-processo “Omega” per aver partecipato negli anni ’90 insieme a Messina Denaro agli omicidi di Pietro Calvaruso e Nicolò Tripoli.

Il 5 settembre la posizione processuale nei confronti di Andrea Bonafede (’69) si aggrava, viene contestata all’imputato l’accusa di associazione mafiosa in aggiunta ai reati precedenti di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena, lo stesso giorno in cui doveva esserci la sentenza per i reati in precedenza contestati. Messina Denaro si sarebbe rivolto all’uomo in un momento estremamente delicato, il giorno dopo in cui ha scoperto di essere malato di tumore, Bonafede attiva una nuova scheda telefonica che secondo gli inquirenti è stata in uso al boss, tra il nuovo numero e l’originale in uso al Bonafede vi è traccia di numerose chiamate, situazione assai anomala che contribuirà all’aggiunta del nuovo capo d’accusa.

Dopo un’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute ed alcuni giorni di coma irreversibile,Matteo Messina Denaro muore, oggi25 settembre 2023 all’età di 61 anni in una stanza di massima sicurezza nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, a causa del tumore del colon di cui era affetto.