Carissimo Daouda,

ti scriviamo anche questo mese, in punta di un autunno ricco di umidità e di sole, quel sole che tu, da ivoriano e ormai da tempo lavoratore del ragusano, conosci bene.

Dallo scorso 2 luglio di questa estate non abbiamo avuto più tue notizie e adesso non vorremmo che con l’estate ormai alle spalle passi in secondo piano anche l’interesse per la tua storia di dignità e di fatica.

Una storia che, i volontari di Libera lo scrivevano il mese scorso, parla a ognuno di noi come interrogativo proveniente da un grido di Giustizia e di Uguaglianza ancora non del tutto ascoltato.

Ti scriviamo anche oggi con il mare Mediterraneo negli occhi, qui in un angolo a sud-est della Sicilia, dinnanzi all’altra isola di Malta che da noi arriva persino a intravedersi nelle belle giornate.




Coscienti che quello dinnanzi a noi è lo stesso mare che negli anni è diventato la barriera, il muro più pericoloso al mondo, un vero e proprio cimitero liquido in cui ogni giorno si trovano a morire fratelli e sorelle che, come te, ci hanno dato il privilegio del desiderio di venire a investire in Europa le proprie energie e i propri carismi. Alcuni come te ce l’hanno fatta a raggiungere, attraverso il mare, la terra ferma, in particolare questo fazzoletto di terra siciliano, a sud di Tunisi, ricchi di quei sogni di un mondo e un futuro diversi, di quella speranza che tu avresti voluto condividere – anche personalmente – con la tua famiglia con la quale ti saresti dovuto ricongiungere in Costa D’Avorio proprio nel corso di quest’estate, se non fossi scomparso misteriosamente, a biglietto aereo già fatto per il 22 luglio, lasciando a casa tua ad Acate financo il tuo passaporto. Le leggi in vigore ti avrebbero infatti finalmente concesso di ritornare in Africa per riabbracciare i tuoi cari che in questi anni hai mantenuto con il sudore del tuo lavoro.

Il nostro mare, dobbiamo prenderne atto, è diventato la barriera, il confine più pericoloso al mondo per chi tenta di attraversarlo, dove si muore di più in assoluto.

Un muro e un confine che, come evidenziano gli amici di Mediterranea, si moltiplicano anche nella nostra terra ferma, anzitutto con la negazione dei diritti della nostra Carta Costituzionale che purtroppo non si traducono più automaticamente nei doveri di ciascuno di noi.

Abbassare la guardia sulla tua scomparsa, caro Daouda, significherebbe anche giustificare ancora una volta quel razzismo e quel suprematismo bianco che da tempo non vengono più avvertiti come una profonda ferita alla nostra Costituzione.




Tu, da mediatore culturale, sei stato e sei un “artigiano della parola”,  ma anche un operaio che si pone domande sullo sfruttamento del lavoro, in un contesto in cui la competizione del mercato iperliberista viene scaricata sulla compressione dei salari come strumento di abbattimento dei costi, sul lavoro nero, con l’interconnessa evasione contributiva e fiscale da record. E’ questa la cifra più chiara della disgregazione sociale delle “comunità di interesse” che, invece, un tempo univano imprese e lavoratori a credere nell’art. 1 della nostra Costituzione, nella convinzione del valore di incarnare e di essere (forse oggi dovremmo dire di “essere stati”?) una Repubblica fondata sul lavoro.

In un momento in cui sono confermati gli accordi Italia-Libia sui respingimenti in mare per mano dei miliziani libici, travestiti da guardia costiera, a volte, come ci rivelano le inchieste del giornalista Nello Scavo, infiltrata dalle mafie dell’altra sponda del mediterraneo, mafie a cui sono subordinati i veri trafficanti di uomini che arricchiscono la liquidità delle organizzazioni criminali;

in un momento in cui il rimbalzare sui muri e confini di morte, dal mare alla terra, sembra l’ovvio destino che deve attraversare chi nasce – secondo il pensiero unico – dalla parte sbagliata del mondo, come se fosse inesorabilmente condannato ad un’esistenza “da vite di scarto”;

In un momento in cui noi siamo almeno un poco coscienti di tutto questo, la tua scomparsa, caro Dauda, come quella di tanti fratelli e sorelle invisibili, ci sembra inaccettabile! Sappiamo infatti che il lungo percorso che ha portato a questa barbarie delle civiltà non è al di fuori delle nostre responsabilità di ogni giorno, delle nostre scelte feriali.

In un momento del genere, definito il punto più basso dei livelli di sfruttamento praticato alle nostre latitudini, da un lato ci rivolgiamo a chi in questo momento sa e tutt’ora tace per i propri particolari egoismi, per il proprio tornaconto e interesse, o anche per paura, ricordando che tacere sul bene violato significa cooperare con il male, come ci ha insegnato il pastore Marting Luther King, profeta dell’Uguaglianza.

Dall’altro lato però ci chiediamo: avremo il cuore e il coraggio di appassionarci, senza mollare, alla tua storia, che è anche quella di tanti nostri fratelli incappati nei briganti, fratelli che attendono ancora un samaritano, una persona che indipendentemente dal proprio credo, fede o idealità politica, si faccia prossimo senza pensare alle conseguenze di cinico calcolo? Avremo l’onestà intellettuale di riconoscere la nostra quota parte di responsabilità nella mancata inclusione nella società di fratelli e sorelle come te, dal cui lavoro dipende una parte importante della nostra economia nella produttiva terra nel sud-est ibleo, la cosiddetta “fascia trasformata”?

Oggi, in definitiva, caro Daouda, la tua vicenda drammatica, è una importante occasione per tutti noi per decidere da che parte stare, per intraprendere quelle azioni atte a rivendicare Verità e la pratica umanizzante della Memoria, come Impegno per la felicità condivisa e la promozione del bene comune. Perchè nessuno si deve sentire più solo nella propria lotta.

Ed è rinnovando questo impegno che oggi ricordiamo chi 9 anni fa qui a Sampieri venne scaricato dal barcone, preso a cinghiate dai trafficanti e poi lasciato morire.

Rivolgiamo quindi le seguenti domande a noi stessi e all’opinione pubblica:

– è possibile, e cosa comporta per tutti noi, definire e prendere coscienza del contesto di degrado economico-sociale, di omertà diffusa e di paura rispetto ai potentati locali, in cui tragedie come queste avvengono?

Un quotidiano, il Manifesto, ha fatto notare senza mai essere smentito che l’azienda in cui lavorava Daouda è conosciuta anche per i suoi precedenti per mafia, in particolare per riciclaggio di rifiuti.

– le telecamere di sorveglianza dell’azienda in cui si trovava Daouda proprio il giorno della scomparsa erano in manutenzione. Se è vero che si tratta di una mera coincidenza, per contro, quali sono state le reali azioni intraprese per facilitare le operazioni di indagine? Come scrive su Repubblica la giornalista Alessia Candito: “Neanche un cane o un gatto spariscono così. Con la tecnologia che rende tutto e tutti tracciabili, come è possibile?”

Facciamo e ci poniamo tali quesiti con la fiducia negli inquirenti che stanno facendo il loro lavoro,

con la speranza che chi è a conoscenza dei fatti accaduti collabori al più presto con le Istituzioni, con l’impegno che da parte nostra non ci stancheremo di cercare risposte.

Per te, Daouda, e per tutti gli invisibili che il pensiero dominante vorrebbe relegati al ruolo di “dannati della terra”, ma che invece per noi sono compagni di viaggio, veri e propri poeti sociali – come afferma Bergoglio – di un mondo diverso, di nuove terre promesse di cui non vogliamo e non possiamo fare a meno.

Il Presidio in formazione Libera Pozzallo-Ispica

Il Coordinamento Provinciale di Libera Ragusa