E’ immensa la gioia del cuore per il nuovo Santo Padre, Francesco. Lo accogliamo come un dono di Dio, perché così l’abbiamo tutti atteso nella preghiera che i singoli, le comunità e le chiese locali hanno intensificato durante il “tempo brevissimo “ del Conclave. Lo Spirito Santo ha lavorato molto per il discernimento che i Cardinali hanno dovuto realizzare. I Cardinali sono stati docili al lavorio dello Spirito così compiendo la volontà di Dio. Un fatto difficile da cogliere e valutare in termini sociologici e con occhi semplicemente “umani”.

La Chiesa evento umano-divino, è l’opera di Dio in mezzo agli uomini. Perciò occorre la fede per guardarla con occhi adeguati e viverla nella sua vera realtà. E’ la fede del popolo festoso raccolto in piazza S. Pietro che attendeva pregando e pregava attendendo. In questa piazza ho avuto la gioia di trovarmi anch’io e posso testimoniare l’emozione spirituale (e non solo o semplicemente psicologica) dei più giovani e dei meno giovani, quando la fumata bianca annunciò al mondo che oramai il nuovo papa c’era. Un tempo interessante “quello che passa tra la fumata bianca e la prima comparsa” del vescovo di Roma. E’ tempo “singolare” che ovviamente viene sottovalutato dai media, proiettati sui pronostici d’intrattenimento. Eppure soprattutto in quel lasso di tempo si è maggiormente avvertito la “realtà” del papa: chiunque fosse stato il papa, il papa c’era. C’era, a dar sicurezza e custodia alle nostre vite, a incoraggiare – per il solo fatto che c’era – il cammino della nostra speranza in un futuro più felice; c’era, a rifondare nel segno della comunione l’intera Chiesa cattolica, dandole un nuovo respiro e aprendo un nuovo orizzonte alla sua credibilità nel mondo; c’era, ad aiutare l’umanità di oggi a riscoprire la sua vocazione e la sua verità di popoli orientati all’amore, alla solidarietà, alla pace, alla giustizia; c’era, a riprendere la nuova evangelizzazione, perché il Vangelo si testimoni nel mondo intero, propiziando nella vita di tutti una esperienza umana “bella e buona”, secondo Gesù, il “bel pastore che offre la vita per il suo gregge”.

Quando il papa che c’era, mostrandosi da quella finestra, ha fatto vedere il suo volto e ha dichiarato con il suo nome – Francesco – la sua missione, allora la gioia di quel tempo singolare d’attesa si è moltiplicata. Dal suo atteggiamento, dal suo porsi in servizio per il popolo, chiedendo al popolo preghiera e benedizione, appellando alla fiducia reciproca, orientando alla fraternità nel Signore, si è capito subito che l’attesa orante di questi giorni aveva ricevuto una risposta dallo Spirito: è possibile continuare, sulla scia degli ultimi pontefici, in nostro viaggio nella santità, con una Chiesa sempre più credibilmente vicina ai poveri e che si fa interprete di ogni povertà, non solo materiale, ma anche spirituale e morale.

“Io, vescovo di Roma, preso quasi alla fine del mondo”: sono frasi che troveranno le loro diverse interpretazioni. Nel frattempo la “fine del mondo” era stata annunciata nel dicembre 2012 e di fatto una “fine di certo mondo” si sta progressivamente consumando. Questo “vescovo di Roma” è “preso” per un compito ora chiaro: annunciare il nuovo mondo che Gesù morendo e risorgendo a introdotto nella nostra storia. Questo nuovo mondo, parla il linguaggio dell’amore che i tanti santi con il nome di Francesco (quello di Assisi, quello di Sales, quello di Paola e il Saverio etc. etc.) hanno parlato. Viva papa Francesco, padre e custode dei poveri, guida sicura della barca di Pietro nel travaglio di questo nostro secolo. Noi, vescovo e popolo, ti benediciamo e per te e per tutta la Chiesa non mancheremo di pregare incessantemente.

Mons. Antonio Staglianò